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Monti e Scalora: Città storiche e rischio sismico, Serve una strategia progettuale prestazionale

Il recente terremoto nell’Italia centrale ha ribadito, ove ce ne fosse ancora bisogno, la necessità di intraprendere azioni urbanistiche appropriate per proteggere i paesaggi storici urbani dai rischi naturali. Le riflessioni di seguito sviluppate intendono però delineare un metodo progettuale per il restauro “antisismico” delle città storiche più ampio, profondo e articolato di quanto la componente emotiva del momento potrebbe suggerire.

L’obiettivo è quello di definire un approccio integrato che miri a considerare tutti i diversi aspetti che concorrono a definire il carattere di un “luogo”. Con ciò vogliamo sottolineare la nostra intenzione di collocare il progetto di restauro urbano e di rafforzamento antisismico entro un quadro tecnico e scientifico culturalmente consapevole delle criticità naturali e ambientali di un territorio, ma anche pronto a far leva sulle risorse disponibili, comprese quelle culturali ed estetiche.

Ecco quindi che le città storiche possono diventare un laboratorio di progettazione, il più possibile partecipata, dove: a) si formulano e si definiscono gli obiettivi di rigenerazione, specie nel caso di sistemi urbani danneggiati da eventi sismici, b) si elaborano idee di “restorazione” e trasformazione degli spazi e c) si immaginano configurazioni e funzioni integrate con le specificità dei territori.

Il linguaggio normativo
Ma come è possibile superare un linguaggio normativo troppo spesso organizzato su formule dal contenuto generalista, prive di un confronto critico con la realtà, oppure improntato ad una rigida concezione vincolistica degli interventi ammissibili, incapace di controllare i significati sistemici e relazionali delle architetture? Opuscoli, studi tecnici riguardanti vari settori applicativi, trattati, manuali, codici di pratica, guide, capitolati di appalto, regolamenti edilizi, linee guida, raccomandazioni internazionali (di presunta portata universale) concorrono certamente a migliorare la conoscenza del patrimonio architettonico e costruttivo, arricchendo la conoscenza lessicale e sintattica dell’edilizia e sviluppando un fondale ricco di suggestioni storiche, tecniche e formali, ma contemporaneamente possono prestare il fianco a interpretazioni schematiche, e quindi dannose ai fini della conoscenza e della conservazione. Il rischio che si intravede con preoccupazione è la propensione ad attivare da parte degli attori del processo, sia in fase di analisi sia in fase di progetto, quella rischiosa equazione che ad un abaco dei danni fa corrispondere un abaco degli interventi, ovverosia la presentazione di una serie di soluzioni e/o ipotesi d’intervento automatiche e acritiche rispetto a ogni problema tecnico individuato.

Una via d’uscita ideale a questo difficile problema potrebbe essere l’emanazione da parte delle Autorità competenti di piani urbanistici di tipo prestazionale, da sviluppare nel verso della costruzione di indirizzi e criteri metodologici capaci di garantire precise regole di comportamento per gli interventi sia alla scala del comparto e dell’unità edilizia, sia a quella della singola unità immobiliare. Un tale approccio normativo viene a definire diversi livelli operativi di trasformabilità del costruito storico, dalla pura e semplice conservazione alla trasformazione, dalla riqualificazione alla nuova costruzione ed anche alla demolizione delle parti incongrue, quali sopraelevazioni e superfetazioni. Esso prefigura inoltre la possibilità di una più precisa formulazione del progetto edilizio da parte del tecnico incaricato, in coerenza con i criteri prestazionali stabiliti del Piano, sulla scorta di un’accresciuta conoscenza del manufatto. In questo senso, diventa molto utile costruire delle “guide” in grado di indicare i percorsi conoscitivi sviluppati dall’Ente durante gli studi sui tessuti urbani e delle “norme figurate” con funzione descrittiva degli ambiti di trasformazione e delle possibilità di intervento, che gli utenti potranno assumere ed interpretare criticamente per redigere i progetti esecutivi. Nel tempo sarà così possibile per le amministrazioni comunali formare ed implementare una raccolta di casi reali.

Unitamente alle guide e alle norme figurate è necessario organizzare un elenco ragionato degli elaborati da redigere per gli interventi sul costruito storico. In altri termini, si tratta di elaborare norme e strumenti prestazionali in grado di saper valutare i caratteri strutturanti del paesaggio urbano e le criticità morfologico-spaziali presenti, ponendo il ruolo del progetto in posizione centrale rispetto alle scelte da adottare nei singoli casi in esame.

Il rispetto della forma urbana in ogni singolo progetto
Su questa base ciascun progettista si troverebbe ad operare all’interno di una griglia prestabilita proveniente da uno studio di livello superiore, cosicché, sotto la guida comune di un siffatto piano prestazionale, pur operando nel tempo con individui progettisti differenti, si riuscirebbe a conferire a tutto l’insediamento urbano una qualità estetica e architettonica criticamente controllata e una prestazione sismica sufficientemente uniforme.

Ogni progettista deve però sviluppare la consapevolezza che gli edifici interagiscono tra loro sviluppando una correlazione che non è solamente strutturale (il flusso delle forze orizzontali e/o verticali nelle pareti resistenti), ma è anche, e soprattutto, di natura formale e spaziale, legata alle modalità di sviluppo e trasformazione delle cose nel corso del tempo. L’individuo progettista deve cioè saper guardare all’edificio, non già come ad un manufatto esistente da studiarsi hic et nunc nella sua strutturazione attuale (la diagnostica non è tutto!), bensì come al prodotto di una serie di processi costruttivi/distruttivi, di una sequenza di modificazioni occorse in un tempo di lunga durata.

Gli edifici antichi in muratura sono infatti molto spesso delle entità complesse, raramente realizzate in maniera sincrona, in cui possono coesistere porzioni originali, parti ricostruite o aggiunte, livelli diversi di conservazione, condizioni statiche differenti. È compito del professionista ricostruire tale mosaico in tutta la sua articolazione e problematicità, mantenendo il più possibile un approccio conoscitivo permeabile e flessibile nella ricezione di informazioni di diversa natura: storica, documentale, architettonica, tecnologica, meccanica, etc., ed estendere lo studio, se non a tutto il tessuto (questo livello informativo rientra nei compiti dei piani urbanistici), almeno al contesto circostante l’unità di interesse.

Alla conclusione del processo interpretativo sarà possibile ricostruire le modalità trasformative del manufatto nella sequenza in cui esse si sono succedute nel tempo. Ciò consentirà di distinguere fra le pareti murarie di un edificio (o di un aggregato), quelle il cui vincolo reciproco è di immorsamento (pareti sincroniche, cioè costruite nello stesso tempo), dalle altre posizionate in semplice aderenza/adiacenza (pareti diacroniche, cioè costruite in tempi differenti).

È immediato comprendere come questa informazione, acquisita in maniera assolutamente non distruttiva, ma su base puramente interpretativa, abbia una ricaduta di fondamentale importanza nella costituzione del modello meccanico di un edificio, consentendo al progettista di disporre i vincoli fra le pareti in maniera corretta. Allora anche una rigida idea di rafforzamento sismico, se si confronta con uno studio critico della struttura fisica degli edifici, se riconosce la forma dei luoghi come struttura processo, può prevedere all’interno delle sue possibilità operative interventi quali la ricostruzione di pareti oppure la riqualificazione formale di cellule murarie o la demolizione di volumi provvisori ed incongrui, indirizzando i propri sforzi alla comprensione critica di qualcosa di più complesso e maggiormente dotato di significato.

Secondo questo modo di procedere, anche le limitazioni geometriche imposte dalla normativa tecnica (spessori murari, distanze tra muri di controvento, eccetera) possono trovare nel progetto una risoluzione attraverso l’attivazione di risorse materiali in una porzione di tessuto più ampia di quella relativa al singolo edificio, ovvero coinvolgendo nella distribuzione delle forze sismiche un maggior numero di cellule. Al tecnico è quindi richiesta una particolare sensibilità critica che va oltre la semplice conoscenza delle regole applicative: il processo della conoscenza, e ancora di più quello della progettazione dell’intervento, ha un andamento necessariamente iterativo, fra continui rimandi e affinamenti, alla ricerca della soluzione ottimale.

L’esercizio non è ovviamente privo di rischi, ma il professionista si accorgerà della quantità e della qualità di informazioni utili che potrà ottenere dagli elaborati a corredo del Piano per lo sviluppo del proprio modello di calcolo e del proprio progetto di rafforzamento sismico.

Ma il Piano non è solo un corpus di regole.

Riprogettare le città storiche dopo i terremoti
Un aspetto speciale da considerare è quello che attiene all’esperienza estetica degli spazi. Questa componente mira apertamente a valorizzare lo spazio urbano ed architettonico e la sua dimensione percettivo-cognitiva, proponendosi di rivalutare il rapporto fra Spazio Quantizzato e Spazio Vissuto.

Lo Spazio Quantizzato di una città storica è lo spazio che si manifesta attraverso una serie di misure oggettive e tecniche, derivate da formule e norme relative ad alcuni aspetti architettonico-urbanistici, oppure dalle condizioni d’uso o ancora, per l’appunto, dalle capacità sismiche degli edifici. Lo Spazio Vissuto (definizione del geografo francese Armand Frémont) è invece lo spazio che riguarda la componente emotiva ed affettiva (soggettiva), oltre che sociale, cognitiva, funzionale e comportamentale, del complesso rapporto tra persona e ambiente costruito. Le città, i quartieri, le case possono considerarsi delle realtà psicologiche, affettivamente connotate, non indifferenti al livello di cognizioni, valutazioni, emozioni, sentimenti ed affetti suscitati nelle persone che li vivono.

L’atto della percezione fa entrare direttamente in gioco le nozioni di forma e memoria. Nello sviluppo del rapporto fra forma e memoria risulta particolarmente interessante la dimensione della memoria collettiva o di gruppo. Per funzionare, questo tipo di memoria ha bisogno di una serie di modelli di riferimento, su cui il gruppo sociale riannoda il proprio passato e ricostituisce la propria tradizione; allo stesso tempo, nello sforzo di adeguarli alle strutture sociali del presente, la comunità degli abitanti produce il progetto del proprio futuro. Questo procedere ricostruttivo della memoria collettiva è a sua volta collegato alle modalità di percezione (e memorizzazione) spaziale dei luoghi con i quali intratteniamo relazioni esistenziali.

L’osservatore procede all’interpretazione e alla ricostruzione intellettuale della forma visiva, istituendo una stretta relazione fra il deposito di informazioni conservate nella sua memoria e la percezione cognitiva dello spazio urbano che egli sperimenta. Questo significa che il suo sguardo non si accontenta della superficie delle cose, ma è pronto a cogliere la produzione del passato, e al contempo le anticipazioni e gli annunci del futuro possibile. Non uno sguardo totalizzante e riassuntivo, ma uno sguardo capace di riconoscere la “personalità del luogo”. Dispositivi, figure e schemi spaziali contenuti nel corpus della città, se utilizzati nel progetto come possibilità di espressioni formali, hanno quindi la capacità di evocare nella memoria dell’osservatore elementi urbani radicati a vari livelli di profondità temporale.

Con ciò si lega lo spazio urbano percepito, e il piacere estetico da questo generato, al “sentimento d’appartenenza” a un luogo. In particolare, l’adozione di una simile prospettiva di sostenibilità ambientale dell’intervento, curando appropriatamente il senso dell’orientamento e l’identificazione percettiva delle parti urbane, consegue l’effetto di mitigare gli effetti psicologici del terremoto sul comportamento emotivo degli individui.

La storia morfologica delle città diviene allora un’antologia di modelli e regole organizzative del paesaggio con cui interpretare i processi evolutivi, senza mai discostarsi dalla realtà socio-culturale alla quale si appartiene, dai bisogni e dalle aspirazioni reali degli abitanti. Si riescono così a stabilire con coerenza i termini del problema estetico, associando i principi formali ai contenuti reali, all’interno di un progetto organico e unitario con l’ambiente in cui l’opera si posiziona e in cui l’uomo vive.
Questo dovrebbe essere uno degli obiettivi prioritari di chi vuole riprogettare le città storiche dopo i terremoti: gli spazi progettati o costruiti dovrebbero suscitare nel fruitore il desiderio di viverli e frequentarli, generando emozioni positive e creando – o, piuttosto, ri-creando – un sentimento di autentica appartenenza.

Dunque, la metodologia proposta non si occupa meramente degli aspetti estetici, ma persegue una visione integrata e complementare delle opere. Entro questo ambito si inseriscono i progetti realizzati dagli scriventi a Ortigia, ad Ascoli Piceno, a Gaeta, a Paganica e a Crotone (cfr. Bibliografia). In altre parole, essa mira a conseguire contemporaneamente sia la conservazione delle permanenze di “lunga durata” (il “vincolo”), sia la produzione di nuove relazioni e nuove forme (“la possibilità”) per il soddisfacimento di esigenze sociali, economiche, funzionali e di sicurezza sismica. Vincolo e possibilità costituiscono i poli estremi di un’alternativa, ben consapevoli che nei loro spazi intermedi si costituiscono i modi di agire per mezzo delle buone pratiche tecniche.

Ed è proprio in questi spazi intermedi che il tecnico “risignifica”, caso per caso (ma non a caso), i reciproci rapporti di permanenza e variabilità degli oggetti in una strategia di progetto capace di conferire ordine ai materiali esistenti, pur diversi o scomposti oppure abbandonati o danneggiati da un evento sismico.

Ringraziamenti
Con riferimento alla normativa prestazionale, si rimanda anche alle Norme Tecniche di Attuazione dei Piani di Ricostruzione dei centri storici dell’Area Omogenea 9 colpiti dal terremoto del 2009, coordinatore Luigi Sorrentino della Sapienza Università di Roma.


Bibliografia
Scalora, G., Monti, G. 2010. La conservazione dei centri storici in zona sismica. Un metodo operativo di restauro urbano. Academia Universa Press, Milano, ISBN: 978-88-6444-0019.
Scalora, G., Monti, G. 2013. Città storiche e rischio sismico. Il caso studio di Crotone. LetteraVentidue Edizioni, Siracusa, ISBN: 978-88-6242-0785.