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Riforma delle professioni - Intervento di Leopoldo Freyrie, Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti

Leopoldo Freyrie, Presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, fornisce la sua opinione in merito alla Riforma delle professioni

Abbiamo atteso trent’anni – invano - l’attuazione della Riforma delle professioni. Ora il rischio è quello di trovarci di fronte ad un progetto assai sghembo, dannoso per lo sviluppo del Paese e non idoneo a garantire ai cittadini servizi professionali efficienti ed etici.

Alcune delle norme contenute nello schema del Dpr di Riforma, infatti, non sono coerenti con le intenzioni programmatiche del Governo e che, invece, gli architetti italiani avevano apprezzato nella loro articolazione generale e nella loro finalità: sembrano anacronistiche e lontane dalla realtà nella quale i professionisti italiani operano, ma, soprattutto, stridono con il comune buon senso che chiederebbe norme e regole tese a semplificare modalità di accesso e di svolgimento delle libere professioni.

Sono questi i motivi che ci hanno indotto a chiedere al Ministro Severino – dopo averla ringraziata per aver affrontato il tema della Riforma nei tempi promessi – di correggere, in particolare, i capitoli del Dpr che riguardano il tirocinio ed i Collegi disciplinari terzi. In entrambe i casi è infatti lampante che il Governo contraddice sia il mandato del Parlamento che il fine, tante volte preannunciato, di garantire un accesso meritocratico ma rapido al mondo del lavoro, nonché quello di garantire ai cittadini un giudizio imparziale laddove il professionista iscritto ad un Albo leda le norme etiche.

Più che un tirocinio, in grado di garantire la capacità professionale, quello previsto si configura piuttosto come una vessazione in termini di tempi e di costi, del tutto contraria ai principi comunitari e allo spirito della legge che vuole regolamentare. Viene previsto, in sintesi, un iter, dall’iscrizione ad una Facoltà di architettura fino all’iscrizione all’Albo, che nei casi migliori di studenti che non vanno fuori corso, avrà una durata di non meno di sei anni e mezzo anni a fronte degli attuali cinque, oltre al tempo necessario per l’Esame di Stato. Se l’intento è quello di diminuire gli iscritti ai nostri Albi, il Governo lo dichiari con chiarezza: ponendo, però, le selezioni a monte dell’Università, non a valle, quando un giovane ha già speso anni della sua vita e molti soldi per diventare un professionista!

Quanto ai Collegi disciplinari, come avevamo previsto e come è stato confermato dai pareri di costituzionalisti ai quali ci siamo rivolti - l’uso del DPR ha fatto sì che per architetti, ingegneri, avvocati e altre professioni la norma non abbia la forza di cambiare il modello attuale, come ammesso nella relazione illustrativa dello stesso DPR. Tutto rimarrà così com’è, senza le garanzie di terzietà del Collegio previste dalla legge e che il Consiglio Nazionale degli Architetti aveva, invece, anzitempo invocato. Peraltro il modello previsto per gli altri Ordini è peggiore dell’attuale: scegliere i componenti del Collegio tra i primi dei non eletti ai Consigli degli Ordini mischia impropriamente scelte “politiche” dell’elettorato con scelte che dovrebbero basarsi solo sull’esperienza e sull’equità dei candidati.

La fondatezza delle nostre osservazioni - proprio sui punti sopraindicati - trova conferma nel recente parere del Consiglio di Stato cui il Governo ha inviato lo schema di Dpr e che ha pesantemente criticato non poche parti del provvedimento messo a punto dall’esecutivo.

Quanto poi alle Società tra Professionisti è estremamente positivo e ne siamo soddisfatti che la bozza di decreto ministeriale preveda l’impossibilità anche per il socio investitore di partecipare – così come previsto per i professionisti - a più società, in modo da scongiurare, per quanto ci riguarda, qualsiasi subordinazione del mercato della progettazione al capitale. L’obbligo però di iscrizione, per le società multidisciplinari ad un solo Ordine professionale, quello relativo all’attività prevalente della Società finirà per creare un pasticcio, in primis, sul fronte della individuazione della stessa attività prevalente e, conseguentemente, su quelli che riguardano la disciplina ed i versamenti contributivi.

Molte le zone grigie contenute nella bozza di decreto che contiene i parametri da utilizzare nel caso di contenzioso giudiziario e che – a quanto sembra - diventeranno i nuovi riferimenti tariffari nella contrattazione con i clienti. Da questa nuova versione delle tariffe scompare il rimborso per le spese sostenute per svolgere le attività di progettazione con il risultato che l’importo finale del compenso risulterebbe inferiore persino alle tariffe calcolate in base alla vecchia legge del 1949 ed aggiornate trenta anni fa, nell’87. Ma c’è di più: una clausola contenuta nella bozza del decreto consentirebbe al giudice di rivedere il compenso al ribasso fino al 60%. Di conseguenza anche le stazioni appaltanti potrebbe ridurre dello stesso valore il compenso da porre a base d’asta che poi deve essere ovviamente ribassato in sede di offerta dai progettisti. Se così fosse c’è da aspettarsi tempi duri per gli architetti italiani, ancora più duri di quelli che stiamo pagando alla crisi economica e a quella gravissima del settore dell’edilizia.