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Ristrutturazione degli immobili tutelati: una storia infinita non priva di contraddizioni

La Circolare del Consiglio Superiore del Lavori Pubblici n. 7944 dell’11 agosto scorso ha forse fatto sorgere qualche aspettativa nei non pochi casi di edifici soggetti a vincolo paesaggistico in attesa di ristrutturazione.

Ristrutturazione degli immobili tutelati: si può fare ?L’interpretazione data non pare però aderente all’attuale dettato legislativo che, nella sua espressione generica, estende comunque la tutela a tutti gli edifici vincolati dal d.lgs. n.42/2004, imponendo la conservazione di “sagoma, prospetti sedime e caratteristiche planovolumetriche e tipologiche” oltre, evidentemente, del volume, sia a quelli della Parte II (Beni Culturali) sia a quelli della Parte III (Beni Paesaggistici).

Se le attese di una interpretazione più permissiva restano deluse, le considerazioni di merito valgono una più attenta considerazione in vista, perché no?, di una possibile riformulazione dell’attuale disciplina che l’Autore approfondisce nella sostanza.

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Ristrutturazione degli immobili tutelati

Fa discutere la recente circolare del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici dell’11 agosto 2021, n. 7944 che dà un’interpretazione estensiva al dettato dell’articolo 3, lett. d) del DPR 380/01 a proposito (neanche a dirlo) della ristrutturazione edilizia su immobili vincolati così come modificato dal d.l. (cosiddetto) Semplificazioni del 2020 poi convertito in legge n. 120/2020.

Anche su questa rivista ne abbiamo dato conto nell’articolo “Ristrutturazioni demo-ricostruzione con diversa sagoma e volume in zone vincolate: nuovi chiarimenti del CSLLPP” riportandone in modo sintetico i contenuti (v. InGenio 19.08.2021).

Interpretazione che ha suscitato non condivisione in quanto ritenuta da molti commentatori non coerente con il dettato di legge e con altre interpretazioni ministeriali e giurisprudenziali.

Vista la delicatezza del tema e l’autorevolezza della fonte riteniamo utile anche noi farne occasione di dibattito, ampliandone però il perimetro visto che l’argomento e la prassi instauratasi meritano un inquadramento complessivo anche di contenuto e di metodo che vada oltre la mera interpretazione.

L’occasione si presta infatti ad una disamina:

  • di stretta interpretazione tecnico-giuridica del dettato legislativo (de jure condito)
  • di valutazione di merito tecnico-sostanziale che possa anche essere orientamento futuro al Legislatore (de jure condendo)
  • di analisi critica della coerenza del dettato legislativo agli obiettivi e della invasiva prassi della metodica interpretativa delle norme instauratasi.

 

L’oggetto del dibattito: quale vincolo per gli immobili

Nella citata Circolare il Consiglio Superiore del Lavori Pubblici opera una distinzione tra immobili soggetti a vincolo del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio a seconda che siano disciplinati:

  • dalla Parte II del Codice (Beni Culturali oggetto di vincolo specifico sulla base di caratteristiche individuali del bene opportunamente esaminate e ritenute meritevoli di tutela dalla Competente Soprintendenza) o 
  • dalla Parte III del Codice (Beni paesaggistici soggetti ad un vincolo generico ex lege in virtù della loro collocazione in ambiti territoriali meritevoli di un valore d’insieme).

Sulla base di questa distinzione di catalogazione (frutto di una diversa e analitica disamina del bene - nel primo caso - ovvero di un sommario inquadramento territoriale – nel secondo caso -) il Consiglio Superiore del Lavori Pubblici ritiene di poter dedurre che quando la legge n. 120/2020 modifica l’articolo 3, lett. d) richiedendo che “per gli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio” sia conservata non solo la “sagoma” (già imposta dalla disciplina previgente), ma anche “prospetti, sedime e caratteristiche planovolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria” si voglia riferire ai soli immobili vincolati ex Parte II (i Beni Culturali con vincolo specifico) e non anche a quelli vincolati ex Parte III (i Beni paesaggistici soggetti a tutela generica ex lege).

 

Sulla mera interpretazione del dettato legislativo (de jure condito)

Anche noi riteniamo che l’interpretazione non sia condivisibile perché non è supportata dal dato letterale della norma che quando parla di immobili tutelati fa riferimento generico al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio senza distinguere il tipo di vincolo (specifico o ex lege).

La questione però non ci pare liquidabile così semplicemente e - stante anche l’autorevolezza dell’Organo che l’ha espressa - merita un approfondimento sulle motivazioni che l’hanno indotta.

Perché, ancorché non si ritengano congrue le deduzioni finali, non vi è dubbio che l’analisi della diversa valenza dei vincoli specifici e quelli paesaggistici condotta nelle premesse dal Consiglio Superiore non è affatto peregrina e forse, sulla quella base, sarebbe opportuno diversificare anche il tipo di tutela.

 

L’incongrua azione del Legislatore 

La difficoltà interpretativa delle norme nasce spesso anche dall’incoerenza tra gli obiettivi dichiarati e il contenuto dei provvedimenti che il Legislatore assume poi per perseguirli.

E’ ben noto che l’obiettivo del d.l. n. 76/2020 (poi l. 120/2020) era “norma urgente” per semplificare e incentivare l’edilizia allargandone le maglie e (lo si dice sempre) ridurre la burocrazia.

Per questo è intervenuto sulla tormentata definizione di “ristrutturazione edilizia” (ricostruttiva) estendendo in essa anche la possibilità di operare la demolizione e ricostruzione “con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche …..” ed anche con “incrementi volumetrici”.

L’innovazione - dobbiamo pur dirlo – anche se molto enfatizzata nella comunicazione divulgativa era più di facciata che di sostanza, perché la modifica della sagoma e del sedime era già consentita nella previgente stesura che richiedeva solo la conservazione del volume e va da sé che, se l’unico vincolo era il volume, già potevano essere cambiate le caratteristiche planovolumetriche e tipologiche.

Per di più, la pignolesca precisazione dei parametri da conservare potrebbe essere considerata ultronea per gli edifici vincolati ai sensi della Parte II del Codice, che sono sempre soggetti al vincolante parere della Soprintendenza la quale, proprio in sede di progetto, ha la possibilità di esaminare (e imporre) nel merito specifico quali siano gli elementi da conservare. Il che è più coerente con la specificità del vincolo.

L’unica vera innovazione apportata dalla legge n.120/2020 era la possibilità di incremento volumetrico condizionata però …. dall’essere finalizzati alla “rigenerazione urbana” per “espressa” disposizione di legge o di piano urbanistico.

Tralasciamo qui le difficoltà applicative (ben dimostrate dalle sette pagine che la circolare interministeriale MIT e MIPA del 2.12.2020 ha speso per interpretare solo due articoli della modifica) e sottolineiamo invece che, mentre nella versione previgente gli edifici vincolati ex Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici la demo-ricostruzione dovevano conservarne (solo) la sagoma (e, ovviamente, il volume), ora invece nella legge n. 120/2020 si richiede “la conservazione della sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planovolumetriche e tipologiche”.

 

L’aggravio del vincolo sugli immobili tutelati anche solo ex lege

E’ evidente un aggravio delle condizioni di vincolo ricostruttivo.

Imporre la conservazione del sedime e, ancor più, dei prospetti e delle caratteristiche tipologiche ha senso per un edificio di cui si siano indagate specificamente questi parametri e li si siano ritenuti meritevoli di conservazione; un po’ meno quando il vincolo è “a prescindere” basato solo sull’occasionale inserimento dell’edificio in un’area soggetta a tutela per valori complessivi di paesaggio.

Anche perché la modifica della legge n.120/2020 ha esteso tale vincolo generico non solo alle aree a valore paesaggistico, ma anche a quelle delle “zone omogenee A” e a “quelle assimilabili”(!).

In sostanza il vincolo è ampliato sia per prescrizioni specifiche di conservazione sugli edifici che per ambiti territoriali.

A parte la genericità della formulazione (l’assimilabilità dovrà comportare un intervento del comune per essere attestato: alla salute della semplificazione) questa estensione del vincolo ex lege non pare debitamente sorretto da una motivazione specifica e quindi, ancor più, motiva quella diversificazione di tutela che la contestata Circolare del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici sostanzialmente postula. E che ben potrebbe essere valutata positivamente dal Legislatore in un prossimo intervento.

Perché in effetti pare che il Legislatore, ogni volta che assume un provvedimento liberalizzante (in questo caso consentire incrementi volumetrici), sia preso da una sorta di senso di colpa che lo induce a porre nuove restrizioni: da un lato allarga, dall’altro stringe.

Pare ripetersi quanto avvenne nella prima stesura del DPR 380/01 quando la ristrutturazione edilizia richiedeva la “fedele ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali …”…. ; puntualizzazione che venne tempestivamente contestata e tolta con successivo d.lgs. 301/2002 … e che fu però una delle cause del differimento dell’entrata in vigore del Testo Unico dell’Edilizia.

Questo atteggiamento sostanzialmente ondivago del Legislatore ne rende più incerta la finalità - che pure è elemento su cui deve basarsi la corretta interpretazione della norma - toglie certezze e induce la necessità dei chiarimenti.

 

Anche le Circolari o i Pareri vanno presi in modo critico

Sul punto qui in esame di chiarimenti già ne esisteva uno, reso addirittura in forma congiunta interministeriale il 2.12 2020 dai Ministri De Michelis e Dadone (rispettivamente Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Ministero per la Pubblica Amministrazione dianzi citato), cui si somma ora quello del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici dell’11.08.2021.

Al di la del nomen (il primo si autodefinisce “Chiarimenti interpretativi” redatto d’impulso dei Ministeri in via generale ed astratta, il secondo “Precisazioni applicative” in risposta a specifica richiesta di alcuni comuni aventi come capofila quello di Bassano del Grappa) quel che rileva discernere è la cogenza delle disposizioni che contengono e l’attendibilità del contenuto …. anche in relazione al ruolo istituzionale e all’“autorevolezza” dell’interprete.

Si tratta comunque sempre di strumenti intermedi che dovrebbero essere di ausilio all’operatore, ma non sono infallibili, anche perché – comunque - l’ultimo e definitivo interprete resta sempre il Giudice. E non è la prima volta che assistiamo a smentite o a circolari che si estendono a integrazioni (o addirittura correzioni) più che attenersi a mere interpretazioni.

Anche di recente abbiamo visto che le interpretazioni ministeriali non sono esenti da letture (per così dire) innovative (o correttive) come quando la surrichiamata circolare De Michelis-Dadone del 2.12.2020 ha interpretato il comma 1-ter dell’articolo 2-bis (come modificato dal d.l. n. 76/2020) esplicitando quello che era (forse) l’intento del Legislatore, ma esattamente contrario alla scrittura letterale del testo di legge. La circolare ha di fatto “riscritto” la norma (pg. 6, righe 20-21 – come abbiamo commentato in “Demo-ricostruzione e distanze nel nuovo articolo 2-bis del DPR 380/01: rose e spine” in InGenio 08/03/2021).

Quando il testo zoppica anche in lingua italiana è quasi inevitabile.

 

L’utilità del dibattito …  “De jure condendo”

Quale ruolo allora dobbiamo/possiamo attribuire ai pareri in relazione alla funzione istituzionale del soggetto emanante?

Senza dubbio farne anche occasione di approfondimento di tematiche evidentemente complesse e controverse desumendone – se possibile - spunti migliorativi.

Quanto ad autorità la circolare Ministeriale assume anche valore di ordine di servizio, vincolante per la “burocrazia” dipendente, ma la sua sfera è limitata alla mera interpretazione della norma così com’è; il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici però – che quanto ad autorevolezza non è certo da meno - ben può assumere funzione consultiva e propositiva di future (auspicabili) modifiche normative e a tal fine sarebbe opportuno che il Legislatore valutasse le considerazioni di merito svolte nella Circolare qui commentata.

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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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