Ritiro nelle pavimentazioni in calcestruzzo: aspettative, problemi e consigli
L’autore esamina le varie tipologie di ritiro della lastra di calcestruzzo nel settore delle pavimentazioni industriali. Il ritiro plastico e il ritiro igrometrico rivestono la maggior importanza e possono determinare la presenza di difetti e conseguentemente la riduzione delle prestazioni progettuali previste.
Vengono analizzate le cause che li innescano e le deformazioni conseguenti, con alcuni consigli pratici per diminuire il valore del ritiro, evidenziando infine anche l’importanza della progettazione anche in relazione a questo parametro.
Cos'è il ritiro da essiccamento
Il ritiro da essiccamento è una contrazione di volume che si verifica nel calcestruzzo in conseguenza della perdita, verso l’ambiente esterno insaturo, di parte dell’acqua utilizzata per il suo confezionamento.
Nella tecnologia del calcestruzzo si distingue tra tre diverse tipologie di ritiro: il ritiro plastico, il ritiro igrometrico e il ritiro autogeno le quali si distinguono per il momento in cui si verificano e per le cause che generano la contrazione.
Si esaminano di seguito i primi due tipi di ritiro, che rivestono maggiore importanza nel settore delle pavimentazioni in calcestruzzo evidenziando, per entrambi, le problematiche che possono indurre su questi manufatti e le precauzioni che possono essere prese, sia a livello di composizione del calcestruzzo che di modalità esecutive del pavimento, per minimizzarne gli effetti.
Il ritiro plastico
Il ritiro plastico si verifica quando il calcestruzzo si trova ancora nella fase “plastica” ossia, prima che inizi il fenomeno dell’indurimento legato alla reazione dell’acqua d’impasto con i silicati di calcio del cemento.
Il fenomeno, evidentemente, interessa in maniera particolare quei manufatti come i solai, le platee e le pavimentazioni in calcestruzzo che presentano ampie superfici non casserate e, quindi, esposte all’evaporazione dell’acqua fin dalle primissime ore successive al getto. Per effetto di questa precoce evaporazione, il calcestruzzo ancora “fresco” tende a contrarsi a causa dei vuoti lasciati dal liquido evaporato. Tale contrazione, che interessa lo strato corticale del getto (1-2 cm di spessore), viene contrastata dagli strati inferiori di conglomerato non interessati dal fenomeno evaporativo. Ne nascono delle sollecitazioni di trazione nello strato superficiale che, per quanto deboli, sono generalmente in grado di innescare la formazione di fessure in un materiale ancora caratterizzato da resistenza meccanica pressoché nulla.
Il quadro fessurativo prodotto dal ritiro plastico è tipicamente caratterizzato da micro-fessure di ampiezza generalmente inferiore al millimetro e profondità non superiore a 1- 2 cm, poste a distanze variabili da pochi centimetri a poche decine di centimetri l’una dall’altra e aventi un andamento irregolare generalmente detto “a ragnatela” (Figura 2).
Il ritiro plastico è influenzato, anche se in misura marginale, dalla composizione del calcestruzzo dal momento che conglomerati realizzati con elevati dosaggi di cemento e basse quantità di acqua d’impasto risultano più soggetti al fenomeno. La causa principale della fessurazione da ritiro plastico è però da ricercare nelle condizioni ambientali in cui avvengono il getto e la prima stagionatura del pavimento. Bassa umidità relativa, elevate temperature dell’aria e della superficie del getto ed elevata velocità del vento sono tutti fattori che generano precoce evaporazione di acqua dalla superficie esposta e, quindi, amplificano il fenomeno del ritiro plastico.
Figura 1 - Cavillature prodotte dal ritiro plastico in una pavimentazione in calcestruzzo
Secondo il report dell’ACI Commettee 305R “Hot Weather Concrete”, la formazione di cavillature da ritiro plastico avviene quando la velocità di evaporazione dell’acqua da una superfice di calcestruzzo fresco è superiore a 1 kg/(m2·h). Tale assunto è basato sull’ipotesi che in un pavimento in calcestruzzo la velocità di bleeding, ossia, la velocità con cui l’acqua d’impasto risale verso l’alto per segregazione ponderale, è dell’ordine di 1 kg/(m2·h).
Secondo questa ipotesi, se la velocità di evaporazione dell’acqua è inferiore alla velocità di bleeding, non si verifica l’essiccazione dello strato corticale e, quindi, non si verifica la fessurazione da ritiro plastico. In realtà il ruolo del bleeding nelle pavimentazioni in calcestruzzo è controverso in quanto un eccesso di questo fenomeno provoca un aumento locale del rapporto a/c del calcestruzzo e, quindi, un indebolimento della matrice cementizia proprio laddove il pavimento risulta più sollecitato ad usura.
Per contrastare la formazione di cavillature da ritiro plastico, sarebbe opportuno anticipare le operazioni di stagionatura umida della superficie esposta proteggendola dall’evaporazione immediatamente dopo il getto e la staggiatura, ad esempio, mediante stesura di teli di polietilene. Ciò, ovviamente, non è possibile nel caso delle pavimentazioni in calcestruzzo nelle quali il getto e la staggiatura sono seguiti da un periodo più o meno breve di attesa e da lunghe e complesse operazioni di finitura. Durante tutto questo intervallo di tempo, la superficie del pavimento resta inevitabilmente esposta all’evaporazione e al conseguente ritiro plastico.
Per ridurre il rischio di fessurazione da ritiro plastico nei pavimenti è fondamentale, quindi, evitare che le operazioni di finitura avvengano in condizioni ambientali che possano favorire una rapida evaporazione di acqua dalla superficie.
Ad esempio, è opportuno evitare la realizzazione di pavimentazioni esterne nei periodi più caldi dell’anno e, se ciò non è possibile, eseguire il getto nel tardo pomeriggio in modo che la finitura avvenga nelle ore notturne, più fresche. Al contrario di quanto generalmente si crede, invece, non è buona norma eseguire il getto di un pavimento esterno nelle primissime ore della giornata in quanto poi, le operazioni di finitura e la prima stagionatura della superficie vengono eseguite proprio durante le ore più calde e più pericolose per il ritiro plastico.
Le pavimentazioni interne sono meno esposte al fenomeno del ritiro plastico per l’assenza dell’effetto legato alla radiazione diretta solare. Ad ogni modo, soprattutto nei periodi più caldi, è opportuno prendere precauzioni analoghe a quelle descritte per le pavimentazioni esterne e chiudere con teli, possibilmente scuri, le aperture di maggiori dimensioni (compatibilmente con la necessità di ingresso delle autobetoniere) per ridurre la formazione correnti d’aria che accentuano l’evaporazione dell’acqua, ed evitare l’irraggiamento diretto della superficie nelle zone adiacenti alle aperture stesse.
Un discreto contrasto alla formazione di cavillature da ritiro plastico può essere ottenuto aggiungendo al calcestruzzo delle micro-fibre polimeriche (di classe I secondo la UNI EN 14889-2) in ragione di 0.5-1.5 kg/m3. Tale aggiunta non influisce sull’evaporazione di acqua e, quindi, sull’entità del ritiro igrometrico ma costituisce una sorta di rinforzo a trazione della debole matrice cementizia in grado di aumentarne in misura apprezzabile la resistenza di prima fessurazione. L’aggiunta di macro-fibre polimeriche di classe II, ossia, le cosiddette fibre “strutturali” aventi diametro dell’ordine del millimetro e lunghezze generalmente superiori ai 30 mm non comporta, invece, alcun apprezzabile vantaggio nel contrasto alla fessurazione da ritiro plastico.
Da qualche anno sono disponibili in commercio alcuni “curing compound” specifici per pavimenti. Si tratta di soluzioni acquose poco concentrate di resine che possono essere stese sulla superficie del pavimento appena staggiato formando un sottilissimo velo che riduce (non blocca totalmente) l’evaporazione d’acqua dalla superficie nel lasso di tempo che separa il termine della staggiatura dall’inizio delle operazioni di finitura.
Tale velo protettivo viene, poi, “distrutto” dalle operazioni di “rottura” della superficie che precedono la finitura e non pregiudica l’incorporamento dello spolvero. Si tratta di una precauzione che non elimina ma contribuisce a ridurre tutti i problemi conseguenti all’evaporazione di acqua dalla superficie fresca del pavimento compresi il cosiddetto “effetto materasso” e la conseguente formazione di delaminazioni superficiali.
L’uso di questi agenti stagionanti “temporanei” non sostituisce, evidentemente, la stagionatura umida cui deve essere sottoposto il pavimento al termine delle operazioni di finitura mediante applicazione sulla superficie pavimentata di geotessili bagnati e teli impermeabili, ovvero, mediante stesura di curing compound a base di paraffina. A tal proposito è opportuno far notare che l’applicazione di soluzioni acquose a base di silicati alcalini non contribuisce, anche se eseguita precocemente, alla realizzazione di una stagionatura umida della pavimentazione in quanto tali soluzioni non hanno le caratteristiche e le prestazioni tipiche dei curing compound.
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Nel proseguo si parlerà del ritiro igrometrico e della dipendenza del ritiro dalle prescrizioni progettuali.
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