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Un Digital Compact per il Settore delle Costruzioni?

La Quarta Rivoluzione Industriale è sostanzialmente affare di Integrazione e di Connessione, sulla scorta di una Computazionalità diffusa e pervasiva.
Al centro di essa vi sono processi decisionali che si fondano su una Intelligenza dei Fenomeni che è supportata dalle capacità di far fluire, di scambiare e di elaborare dati strutturati in informazioni in tempo reale tra Entità eterogenee.
La prima conseguenza di un tale accadimento riguarda la comunicazione e la comunicabilità tra i soggetti coinvolti, gli Stakeholder.
Nel momento in cui tale condizione non sussiste, il flusso informativo si interrompe e, con esso, si pregiudica il processo decisionale.
Naturalmente una simile prospettiva, che, di primo acchito, appare del tutto meccanicistica, si scontra con un tessuto committente, professionale e imprenditoriale complesso perché inefficiente, o viceversa, inefficiente perché complesso.
Di conseguenza, lo stimolo che la Digitalizzazione esercita sul Settore delle Costruzioni è potenzialmente violento, in quanto cerca di innestare logiche affatto estranee in un contesto analogico e riluttante.
Le ragioni per cui il Settore delle Costruzioni risulta essere «in ritardo» sotto questo profilo sono probabilmente dovute sia a una singolarità del Comparto sia a una sua renitenza culturale nei confronti di paradigmi altri che perdura da un secolo a questa parte.
In Italia, il Settore appare particolarmente desideroso di invocare agevolazioni, incentivi, investimenti - soccorso e sostegno esogeno - e, al contempo, sembra propenso a crogiolarsi in una specie di rassegnazione consolatoria.
Alla frammentazione dimensionale, ad esempio, non vi sarebbe rimedio, così come la contrapposizione tra le parti sarebbe addirittura virtuosa.
Sostanzialmente, una volta preso atto della natura strutturale di una crisi che è parzialmente locale, continentale, e nettamente domestica, nazionale, il Settore, in Italia, appare incapace di elaborare sino in fondo il lutto che riguarda, tra le altre cose, la miopìa dimostrata nel decennio precedente alla successiva crisi profonda.
È palese, tuttavia, che questo atteggiamento non aiuta nel recupero di credibilità e di attrattività innanzi ai Decisori Politici e alle Istituzioni Finanziarie: anzi, la declinazione del lessico ordinario (BIM, Domotica, Rigenerazione, Sostenibilità, e così via) non fa che segnare la distanza con altri immaginari.
Ecco: si potrebbe forse pensare che proprio la debolezza degli immaginari sia l'elemento rivelatore di uno stallo che è assolutamente preoccupante.
La Digitalizzazione della Società e della Politica, prima ancora che dell'Economia, appare, infatti, fenomeno dirompente che proietterebbe il Settore delle Costruzioni, da intendersi come AECO, all'interno di un ambito di mercato dilatato, esteso, in cui l'incidenza dello stesso nell'economia nazionale aumenterebbe ancora.
Eppure non si avverte alcun disegno strategico paragonabile a quello britannico, a prescindere dagli esiti pratici che esso abbia sinora raggiunto (minori, inevitabilmente, stante la natura del Comparto, dell'atteso) né alcuna Politica Industriale che si possa definire tale.
Il Settore stenta a desiderare, ad ambire, una riconfigurazione che, in primo luogo, deve essere identitaria, investendo i processi così come i prodotti.
Esso, soprattutto, fatica a comprendere i tratti originali del 4.0, come se per fare ciò fosse sufficiente accostare l'immagine del processo produttivo taylorista e fordista dell'Automotive Statunitense di un secolo fa a quello contemporaneo dell'Automotive Germanico.
Non a caso, l'icona, o una delle icone, posta alla base del cambio di paradigma è la telemetria, non più l'assemblaggio, perché il Ciclo di Vita, in fondo, non riguarda più principalmente il garantire le prestazioni del contenitore, bensì quelle del contenuto, che si muove all'interno e all'esterno di esso.
Certo, in termini produttivi, ma anche progettuali, nella Digitalizzazione convivono gli opposti: la Free Form e l'Off Site, la Unicità e la Modularità.
In un certo modo, l'Integrazione si alimenta della contraddizione degli opposti, poiché tende a snaturarli entrambi: tertium datur.
È palese che il Settore delle Costruzioni in Italia dovrebbe seriamente confrontarsi con documenti quali Digital Built Britain o la ISO Road Map, tutti e due ispirati, peraltro, da Mark Bew.
Si tratta sicuramente di una narrazione di lungo termine, la cui origine attiene al Systems Engineering e al Cyber-Physical, filoni e categorie contro cui le Costruzioni lottano, con un certo successo, almeno dagli Anni Cinquanta.
Naturalmente si tratta di un contrasto non privo di validi motivi, ma che spesso si è delineato in maniera difensiva, conservativa, non riuscendo a contrapporvi una concezione di analoga forza immaginifica.
Occorre ammettere che la rassegnazione sia ormai la cifra distintiva del Settore delle Costruzioni in Italia, a differenza dell'Europa e del Mondo.
La posizione italiana, la competitività Italiana, nel Settore delle Costruzioni è marginale, a differenza del Settore Manifatturiero, ma anche di quello Agroalimentare e Vitivinicolo o del Design (del cosiddetto Italian Life Style), perché, appunto, le visioni sembrano modeste, la loro elaborazione cortomirante.
Su temi diversi, ma convergenti, il Settore si trova di fronte a un Governo e a un Parlamento che pone lucidamente argomenti sfidanti, ma spesso non risulta in grado di proporre un racconto affascinante, coinvolgente, originale, in primo luogo in chiave di Innovazione Sociale, alla classe politica e alla comunità finanziaria.
A Berlino, il 2 Giugno p.v.., Die Deutsche Bauindustrie si confronta sul futuro delle Costruzioni con Gunther Oettinger e Wolfgang Schäuble.
In Italia, Guglielmo Epifani e Luciano Violante hanno ben individuato i termini della Quarta (R)Evoluzione Industriale.
Se il Settore, la Offerta, cessasse di addurre la crisi a giustificazione di una assenza di investimenti in Ricerca & Sviluppo che si è sempre del tutto ben guardato dal fare e, invece di invocare investimenti, ne facesse in prima persona, troverebbe l'Accademia disponibile.
Ma, per favore, demistifichiamo la favola del BIM: guardiamo oltre.
Servono, insomma, una Strategia Industriale e una Politica Industriale, non altro.