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Il Difficile Mestiere del RUP all'Epoca della Digitalizzazione post decreto BIM

La digitalizzazione, il famigerato «BIM», ancor prima di dischiudere nuovi mondi e nuove responsabilità, apre il vaso di Pandora delle vecchie prassi disattese per i funzionari della Pubblica Amministrazione.

Con la pubblicazione nella GURI del decreto ministeriale sulla digitalizzazione della Domanda Pubblica si esaurisce la prima fase di un processo di lunga durata, iniziato coll'intervento di Graziano Delrio al seminario organizzato presso la Camera dei Deputati anni or sono,  la «lenta transizione digitale», che proseguirà colla commissione di monitoraggio, la cui istituzione è contemplata in esso.
Al di là di ciò, considerando che l'obbligo di adozione sia di natura graduale, è opportuno spostare l'attenzione sugli uffici tecnici, sui loro dirigenti e sui responsabili unici dei procedimenti, o meglio, all'interno di strutture tecniche di stazioni appaltanti e amministrazioni concedenti nel contesto dell'intera organizzazione della amministrazione pubblica.

Ovviamente, la prima domanda da porsi riguarda la comprensione immediata che un operatore delle amministrazione pubblica, che non abbia mai approfondito il tema, possa manifestare, non solo del testo del decreto ministeriale, ma anche di altri documenti sull'argomento.

Non si tratta assolutamente, però, qui di sindacare sulla qualità testuale e sulla loro intelleggibilità, ma proprio dell'in-audito, del fatto che non si abbia mai avuto in precedenza cognizione della tematica.
È immaginabile forse che l'attenzione del «neofita» sia catturata dalle scadenze temporali che disciplinano l'obbligo e dall'eventuale quadro sanzionatorio relativo.
Il punto è che tale scadenzario di per se stesso poco rivela in assenza di una consapevolezza del da farsi.

In termini di cogenza un primo ulteriore elemento è fornito dalla previsione inerente a una triplice azione previsionale riguardante gli investimenti strumentali, formativi e organizzativi.
La strumentalità è, senza dubbio, l'oggetto più intuibile, nel senso letterale che attraverso di essa si rende concreto una nozione, quella di modellazione e di gestione informativa, altrimenti astratta.
È, peraltro, supponibile che tale concezione sia immediatamente correlata a una stima del fabbisogno di risorse e del corrispondente impegno della spesa.
In altre parole, la modalità e la fonte di finanziamento appaiono alle amministrazioni quesiti fondamentali e urgenti che si interrelano col sistema della remunerazione accessoria e con altri dispositivi di agevolazione finanziaria.
L'identificazione degli obblighi cogli strumenti, per quanto preoccupante sul piano economico e finanziario è, d'altra parte, rassicurante per gli attori delle stazioni appaltanti e delle amministrazioni concedenti. In fondo, si tratta di individuare gli strumenti migliori nel rapporto qualità/prezzo piuttosto che non andare oltre, verso piani più impegnativi.
Ma proprio la rassegna degli strumenti disponibili, così numerosi ed eterogenei, dovrebbe indurre il tecnico della amministrazione pubblica a interrogarsi su quali siano le proprie esigenze e, in particolare modo, i compiti a cui egli o ella sia chiamato/a ad adempiere.

Servono strumenti per costituire l'anagrafe immobiliare o infrastrutturale digitale, per formulare le richieste ai progettisti, per concepire un lavoro pubblico, per dirigere i lavori, per coordinare la sicurezza, per collaudare un intervento, per gestire un'opera?
La scelta della tipologia di strumento, prima ancora che la sua definizione in termini commerciali, dovrebbe far comprendere al nostro tecnico che il dispositivo porta con sé un impegno formativo che va ben oltre la disponibilità del mezzo e la assistenza inerente.
Ciascun strumento, infatti, è legato intimamente a una logica e, in definitiva, a una metodologia.
Certo, il tecnico potrebbe essere turbato da una simile considerazione sia per il fatto che il metodo (assimilabile al Project Management) sia già contenuto nella Linea Guida 3 dell'ANAC sul RUP, specie per le opere complesse, condizionato dal DPCM sulla qualificazione delle amministrazioni aggiudicatrici, sia perché esso toglie quella semplicità di oggettivazione dell'obbligo che lo strumento consentiva e comportava.
In più, discorrere di metodo significa evocare il modus operandi della pubblica amministrazione a cui si appartiene.
All'incertezza che l'ampio assortimento merceologico generava si associa, quindi, dapprima, la necessità della configurazione del programma formativo necessario (che, a questo punto, sembra oltre valicare quello relativo all'uso degli strumenti hardware e software) e, in seguito, l'obbligo di redigere e di far approvare un atto di riorganizzazione dell'ente e della sua struttura tecnica che rifletta i processi di digitalizzazione.

Dalla preoccupazione per l'entità dell'investimento in acquisizione di strumenti si arriva alla precisazione di programmi formativi di ampio spettro e si termina con la possibile re-ingegnerizzazione dei processi aziendali.
Di primo acchito, una tempistica che appariva dilatata si pone come impellente: si potrebbero acquistare strumenti impropri, si potrebbe ricevere una formazione inadeguata, si finirebbe per calare la cosa in un contesto organizzativo con essa incompatibile.

A una lettura meno disattenta del decreto ministeriale si noterebbero allora tre espressioni inusuali: ambiente di condivisione dei dati, capitolato informativo, piano di gestione informativa.
D'altronde, in primo luogo, si potrebbe osservare che il decreto privilegia, nel transitorio, la classica (oltre che cogente) produzione documentale, cosicché il tecnico della amministrazione pubblica dovrebbe capire che nel modello informativo non potrebbero essere contenuti interamente i dati necessari secondo la legislazione vigente.
Tali dati, solo parzialmente inclusi nel modello informativo, dovrebbero insistere, purtuttavia, in un ecosistema digitale, l'ambiente di condivisione dei dati, che li relazioni computazionalmente, che costituisca il sistema di gestione di informazioni finalizzate alle decisioni.
Ciò implica la presenza di un nuovo strumento, che, entro un ambito che diviene contrattuale, assume una grande molteplicità di conseguenze: dalla sicurezza e riservatezza del dato eventualmente in cloud alla tutela della proprietà intellettuale.

L'ambiente di condivisione dei dati proietta il nostro tecnico nel mondo della contrattualizzazione degli strumenti con cui sperava di risolvere sbrigativamente la faccenda e dei metodi che evocano la sofferta attribuzione delle responsabilità.
La proprietà e il controllo dell'ambiente di condivisione sono, infatti, assieme alla interoperabilità tra gli strumenti e i contenitori di dati, vale a dire allo scambio corretto dei dati e delle informazioni, la probabile causa fondamentale dei futuri contenziosi tra le parti.

Improvvisamente al tecnico si fa chiaro che la parola digitalizzazione equivale a trasferire le proprie azioni in un contesto numerico, a tradurre ciò che si fa computazionalmente, a lasciare tracce univoche e indelebili del proprio operato...
Ecco, dunque, che gli strumenti da cui necessariamente era partito diventano sorgente di formalizzazione delle scelte e di loro tracciabilità: le decisioni perdono di ambiguità e la loro natura non consente più eccessive flessibilità.
Il nostro tecnico si renderà conto, a questo stadio della sua maturazione digitale, che non sono in gioco solo le sue nuove conoscenze, competenze, abilità, ma pure quelle tradizionali.

La digitalizzazione della Domanda Pubblica non consisteva allora, si dirà tra se stesso, solamente nell'aggiungere all'inventario un nuovo prodotto di ausilio, ma rimette in causa la dimostrazione delle proprie capacità di chiedere, di essere committente.
Ecco che il capitolato informativo, cioè la formulazione computazionale dei requisiti informativi della modellazione (ma sarebbe meglio chiamarla modellistica) e gestione, riporta in primo piano quadri esigenziali e documenti preliminari o di indirizzo preliminare che sinora spesso il RUP era riuscito a tenere in secondo piano, nonostante il loro ruolo, a partire dalla verifica del progetto ai fini validativi.

La digitalizzazione, il famigerato «BIM», ancor prima di dischiudere nuovi mondi e nuove responsabilità, apre il vaso di Pandora delle vecchie prassi disattese.
Il nostro tecnico, che pure possiede innegabili esperienze, e sperabilmente anche competenze, è improvvisamente chiamato a formalizzarle, a dimostrare di detenerle e di utilizzarle.
Il capitolato informativo, a meno che non sia ridotto a simulacro di una finzione, a un adempimento che si traduca in un documento poco analitico e tantomeno prescrittivo, costituisce, pertanto, la tomba delle prassi approssimative e delle deleghe alle controparti, ma anche obbliga la amministrazione pubblica e la sua struttura tecnica a definire quali dati di ingresso davvero si possa mettere a disposizione dei fornitori.

Il decreto, infatti, obbliga (qui sì è il caso di enfatizzarlo) a corredare il capitolato informativo con il modello informativo che rifletta lo stato di conoscenza dell'anagrafe immobiliare.
Nulla è più possibile delegare, sia come trasferimento di responsabilità sia come trasferimento di oneri.
Il tecnico, perciò, dovrebbe avere intuito che occorra affrettarsi a capire meglio la materia, ma gli resta da comprendere che il piano di gestione informativa rafforza la dimensione contrattuale integrando strettamente le richieste e le prestazioni dell'amministrazione aggiudicatrice con quelle della controparte.
A prescindere dal fatto che si collabori o che si confligga, il capitolato informativo innesca la formalizzazione assoluta della struttura organizzativa e relazionale della controparte, trasferisce le richieste della committenza in maniera computazionale a catene di fornitura che devono emergere e, in virtù della trasparenza e della tracciabilità, che richiedono una radicale revisione dei modelli organizzativi.

In potenza, dunque, il decreto promette di rivoluzionare gli assetti e sinanco le identità della Domanda e dell'Offerta.
Potranno le linee guida, quelle esistenti e quelle future, aiutare il nostro tecnico? 
Difficilmente, se a esse si delegherà una migliore comprensione del decreto ministeriale, poiché richiedono una pre-comprensione che faccia da tramite tra il testo ministeriale e le medesime.
Anzi, esse, in assenza di mediazioni, esse potrebbero trascinare il tecnico in un apparato gergale sovrastrutturale che celi un vuoto di consapevolezza o di operatività.
Questa comprensione preliminare attraversa, invece, la intuizione che tutti gli obblighi di una committenza pubblica dipendano dalla capacità dei loro operatori di impostare digitalmente strutture precise di dati: di recuperare, quindi, i propri saperi analogici, spesso sepolti nella ambiguità di progettazioni, di direzioni dei lavori e di collaudi i cui contorni non sempre netti permetterebbero di supplire a eventuali deficienze.
Servono indirizzi preliminari che mettano in luce la posta in gioco e che si ricolleghino al processo di riforma delle amministrazioni pubbliche avviato dall'allora Ministro Bassanini molto tempo fa.

Il consiglio per il tecnico dell'amministrazione aggiudicatrice (e per tutti gli operatori) è, pertanto, di ripensare ai modus operandi che attualmente questi mettono in essere, di valutarne l'efficacia, tenendo in conto che le logiche digitali, sotto questo profilo, sono davvero molto imbarazzanti, perché mettono a nudo le carenze e le deficienze prima occultabili.
Se l'amministrazione pubblica non presterà la dovuta attenzione a ciò, il tasso di contenzioso digitalizzato non potrà che aumentare vertiginosamente, gli investimenti si riveleranno mal riposti e un senso di frustrazione pervaderà i soggetti.

Ecco la ragione per la quale, prima ancora di guardare alle scadenze contenute nel testo di decreto, converrebbe meditare piuttosto sulla relazione di accompagnamento.

 

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