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I «Limiti» dell'Innovazione Digitale nelle Gare e nei Contratti Pubblici

I «Limiti» dell'Innovazione Digitale nelle Gare e nei Contratti Pubblici

Come è ben noto, tra gli argomenti maggiormente controversi che hanno agitato il dibattito sul codice dei contratti pubblici, nel corso della sua redazione e nel momento in cui alcuni ne propongono la riscrittura o, addirittura, l'abolizione, vi sono:

- l'appalto integrato;
- i criteri di valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa;
- la designazione anticipata delle rose dei potenziali subappaltatori.


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E' evidente, anzitutto, che le discussioni e le relative polemiche inerenti al contenuto del codice non potranno mai giungere a una soluzione ideale, vale a dire soddisfacente per tutti, nella misura in cui tale atto legislativo rappresenta una sorta di mediazione tra interessi differenziati e, talvolta, contrapposti.
Appare, però, in questa sede, opportuno osservare come la nozione di «interesse», dei portatori di, non sia rilevante nella concezione abituale, tipica, appunto, del conflitto, quanto come leva identitaria: almeno per i professionisti e per gli imprenditori, se non anche per i committenti (pubblici).

Se, infatti, si considera l'appalto integrato, oggi divenuto emblema di una disputa, si può facilmente intuire come l'insoddisfazione effettiva derivi da due percezioni contrapposte: per i professionisti, una presunta condizione di subordinazione della progettualità alle ragioni della produzione (manifatturiera e cantieristica); per gli imprenditori, una pretesa incapacità di adesione della stessa creatività a tecno-logiche organizzative.
Nella realtà, tuttavia, questa divergenza, che concerne un istituto giuridico specifico, caratterizzato da una sua propria vicenda storica, risulta paradossalmente come una convergenza, nel senso che, pur da posizioni antitetiche, entrambe le rappresentanze difendono una distinzione, giocano una partita identitaria.
Del resto, non è così importante affermare che nessun principio ispirato alla cultura industriale accetterebbe tale separazione né che il Design-Bid-Build, ad esempio, sia considerato come una opzione a elevato rischio per la committenza; non è, insomma, utile parteggiare per le ragioni degli uni o degli altri, perché, contrariamente alle apparenze, esse sono sovrapposte.

Sotto questo profilo, la digitalizzazione è sfidante non in quanto prometta di efficientare le Procurement Route radicate, bensì perché propone, attraverso i contratti collaborativi e relazionali, sia pure secondo modalità differenziate, di rivedere la nozione stessa di (contro-)parte in causa.

E' palese, dunque, che abbia poca utilità seguitare a discutere dei pregi e dei difetti dell'appalto integrato o dell'appalto di sola esecuzione, nel momento in cui nuove forme contrattuali, ispirate alla parola «alleanza», suggeriscono, con esplicito riferimento alla modellazione e alla gestione informativa, scenari stravolti.
Come si è fatto in altre occasioni, è importante sollecitare una riflessione sulla «con-fusione», nel significato di porre in causa le identità: da questo punto di vista, di primo acchito, se si volge lo sguardo all'appalto integrato, ci si può accorgere che proprio di questo si tratti: dell'identità minacciata dei professionisti che si avvertono come condizionati, vincolati, sminuiti nella loro essenza dalle ragioni della «produzione».
Non è, però, forse qui che si deve cercare la (con-)fusione, in virtù del fatto che tale ibridazione non riguarda certamente la natura dei corpus disciplinari (lo scambio improbabile di identità), quanto la rivisitazione del sistema di (co-)responsabilità (più «solidale») e la finalità delle attività (l'opera come Operations, l'opera come servizi (intangibili) che in essa saranno erogati.

Si può, forse, provocatoriamente affermare che la nozione di collaborazione che è sottesa ai contratti relazionali sia una sorta di «subordinazione», di atto di sottomissione delle «parti», e delle loro legittime ragioni antagonistiche, a una mutata natura del mercato e dei prodotti, immobiliari e infrastrutturali, che esso ipotizza per la Smart City e per la Smart Land.

Analogamente, il dibattito sulla praticabilità del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, tanto più controversa nella sua applicazione al progetto esecutivo, rivela, però, una corsa a premialità basate sul concetto di «innovazione» che rasenta quello di «invenzione»: in altre parole, specie per quanto attiene alla digitalizzazione, pare prevalga il valore dell'«inedito» che trova posto nella narrazione (fittizia?) relativa all'offerta tecnica.
Molto spesso si tratta di una novità puntuale, anche per il proponente/concorrente medesimo, che non trova riscontri all'interno di un processo evolutivo di digitalizzazione (in questo caso), destinata a stupire i membri della commissione, talora espressa colla speranza che non trovi effettiva applicazione nell'esecuzione del contratto.

Sarebbe, invece, opportuno che la committenza pubblica fosse in grado di valutare numericamente il grado di maturità digitale del concorrente, così da poter ritenere più o meno credibile la proposta avanzata.

Il punto, anche in questa occasione è, in effetti, un altro: in una procedura competitiva che fosse davvero digitalizzata, ovvero computazionale, le proposizioni e le transizioni dovrebbero assumere una veste prevalentemente numerica, tale per cui i margini di ambiguità (e di ribasso in termini di offerta economica) siano estremamente ridotti.
I contratti collaborativi, di fatto, costringerebbero a una modellazione della struttura dei dati assolutamente trasparente (leggibile, appunto dalla macchina), nella quale la intel-leggibilità della catena di fornitura sarebbe assai maggiore di quella attuale da parte del Versante della Domanda.
Ciò ci permette di ricollegarsi alla terza vertenza, riassumibile nella celebre «terna» dei subappaltatori, la cui presenza ha sollevato molte critiche relative all'irrigidimento delle capacità negoziali tanto degli appaltatori quanto dei subappaltatori potenziali.

La tematica è ovviamente assai sensibile: su di essa, naturalmente, si accentrano contrasti non indifferenti, tanto da essere citata come uno dei motivi fondanti per una revisione radicale del codice stesso.
La digitalizzazione, nei contratti collaborativi, come si è visto, espliciterebbe le sue massime potenzialità in presenza di una convergenza di finalità che innesca una revisione delle responsabilità individuali e della identità collettiva, se questa fosse, infine, allianced.
A partire da un simile presupposto la maggiore innovazione digitale che riguarda le procedure di affidamento dei contratti che dovrebbe passare attraverso uno scambio computazionale di dati e di informazioni: di promesse la cui affidabilità e viabilità potrà essere certamente verificata nel corso dell'esecuzione del contratto, potendo difficilmente essere tralasciata o dimenticata.

La «fusione» di scopo e la «con-fusione» di responsabilità, unitamente alla necessità di esprimere computazionalmente, non ambiguamente, le proprie promesse e le proprie intenzioni, si associa alla vexata quaestio relativa al principio di anticipazione degli impegni negoziali lungo la catena di fornitura.
Indubbiamente, la digitalizzazione, intesa come computazionalità, delle transazioni tende a rendere più rigide le pattuizioni: il suo risvolto legato alla simulazione ne suggerisce una anticipazione virtuale che, nel caso estremo, potrebbe far sì che nel corso della procedura competitiva siano valutabili le attitudini relazionali e collaborative del potenziale affidatario nei confronti della propria catena di fornitori.

Quale che sia il giudizio specifico sulla praticabilità della terna, per forza non unanime, è innegabile che la digitalizzazione investa, cercando di modificarla alla radice, la predisposizione degli attori della catena.
L'esito della consultazione elettorale, oltre che alcune evidenze fattuali, andrà certamente a influenzare le predisposizioni legislative sugli aspetti testé menzionati: ma la sensazione è che, in assenza di una comprensione piena della natura della digitalizzazione, i pareri divergenti sui temi specifici agiranno esclusivamente all'interno di confini classici, che potrebbero esulare dalle sfide effettive attese per il mercato dalla svolta digitale.

Sorge, a questo proposito, una questione strutturale, politicissima: gli operatori della Domanda e dell'Offerta hanno veramente inteso e misurato il portato della digitalizzazione? Saranno mai in grado di oltrepassare il confine dei contratti transazionali? Vorranno andare oltre il «Livello 2»?
Cambierà addirittura l'«oggetto» dei contratti relativi ai lavori pubblici? Diverranno essi più «immateriali»? Sapranno meglio interpretare questa svolta i Grandi Sviluppatori Immobiliari di quanto non potranno farlo i Grandi Committenti Pubblici?

Possiamo, forse, iniziare a ragionare sui legami intercorrenti tra Partnership e Alliance.