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Sopraelevazioni: occhio alle differenze tra aspetto e decoro architettonico! I paletti della Cassazione

Cassazione: perché rilevi la tutela dell'aspetto architettonico di un fabbricato, non occorre che l'edificio abbia un particolare pregio artistico, ma soltanto che questo sia dotato di una propria fisionomia, sicché la sopraelevazione realizzata induca in chi guardi una chiara sensazione di disarmonia

L'aspetto architettonico, cui si riferisce l'art. 1127, comma 3, c.c., quale limite alle sopraelevazioni, sottende una nozione sicuramente diversa da quella di decoro architettonico, contemplata dagli artt. 1120, comma 4, 1122, comma 1, e 1122-bis c.c., dovendo l'intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista, in modo percepibile da qualunque osservatore

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con l'ordinanza 22156-2018 dello scorso 12 settembre, relativa ad una controversia sul diritto di sopraelevazione molto interessante perché imperniata appunto sulla differenza che interocorre fra decoro architettonico e aspetto architettonico.

Secondo la Corte suprema, perché rilevi la tutela dell'aspetto architettonico di un fabbricato, agli effetti, come nella specie, dell'art. 1127, comma 3, c.c., non occorre che l'edificio abbia un particolare pregio artistico, ma soltanto che questo sia dotato di una propria fisionomia, sicché la sopraelevazione realizzata induca in chi guardi una chiara sensazione di disarmonia.

Ne deriva che deve considerarsi illecita ogni alterazione produttiva di tale conseguenza, anche se la fisionomia dello stabile risulti già in parte lesa da altre preesistenti modifiche, salvo che lo stesso, per le modalità costruttive o le modificazioni apportate, non si presenti in uno stato di tale degrado complessivo da rendere ininfluente allo sguardo ogni ulteriore intervento.

Diritto di sopraelevazione e decoro architettonico: quando opera la disciplina dell'art.1120 c.c.

Il motivo fondante del ricorso proposto in Cassazione è sul riferimento alla nozione di decoro architettonico, poichè per la difesa non opera nel caso in esame la disciplina dell'art. 1120 c.c. Si sottolinea quindi la situazione di degrado del decoro del fabbricato per preesistenti modificazioni e si ricorda il distinto giudizio che aveva riguardato un'altra veranda (più piccola e di chiusura) realizzata dalla ricorrente. Si contesta altresì che il palazzo era già dotato di verande sin dal lontano 1969 proprio nell'appartamento.

Per la Cassazione, in primis, l'art. 1127 c.c. sottopone il diritto di sopraelevazione del proprietario dell'ultimo piano dell'edificio ai limiti dettati dalle condizioni statiche dell'edificio che non la consentono, ovvero dall'aspetto architettonico dell'edificio stesso, oppure dalla conseguente notevole diminuzione di aria e luce per i piani sottostanti.

Il giudizio relativo all'impatto della sopraelevazione sull'aspetto architettonico dell'edificio va condotto, in ogni modo, esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche visivamente percepibili dell'immobile condominiale, e verificando l'esistenza di un danno economico valutabile, mediante indagine di fatto demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se, come nel caso in esame, congruamente motivato.

"D'altro canto - si legge nella sentenza - questa Corte ha anche affermato che le nozioni di aspetto architettonico ex art. 1127 c.c. e di decoro architettonico ex art. 1120 c.c., pur differenti, sono strettamente complementari e non possono prescindere l'una dall'altra, sicché anche l'intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista (Cass. Sez. 6 - 2, 25/08/2016, n. 17350)".

Il carattere lesivo dell'aspetto architettonico

La Cassazione, infine, sottolinea che la Corte di Roma, riconoscendo - in conformità ai principi sopra ricordati - il carattere lesivo dell'aspetto architettonico della veranda realizzata dalla ricorrente, ha fornito una motivazione adeguata e pienamente condivisibile alla stregua del comune senso estetico, sottolineando come il manufatto disperda quella uniformità che attribuisce all'edificio un aspetto ancora ordinato e dignitoso. La preesistenza di una veranda, oggetto di precedente giudizio, è stata correttamente ritenuta non determinante dalla Corte d'appello, perché essa non rende certamente ininfluenti gli ulteriori fatti lesivi e, quindi, non ne può costituire valida giustificazione.

LA SENTENZA INTEGRALE E' DISPONIBILE IN FORMATO PDF


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