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Abusi edilizi, occhio ai dettagli: la differenza tra varianti essenziali e varianti "in senso proprio"

Reati edilizi: le varianti "in senso proprio" sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare ed accessorio, mentre le varianti essenziali richiedeono il rilascio del permesso di costruire del tutto nuovo ed autonomo

Occhio alla differenza tra le varianti in edilizia

Attenzione al permesso di costruire che vi serve quando realizzate una variante edilizia, perché ci sono delle discriminanti ben precise e si rischia di incappare nell'abuso edilizio magari in buona fede.

La sentenza 34148/2018 della Cassazione è davvero illuminante in tal senso, perché differenzia perfettamente i due tipi di varianti edilizie 'normate' dall'ordinamento italiano:

  • le 'varianti in senso proprio', ovvero le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, che sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare ed accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all'originario permesso a costruire;
  • le 'varianti essenziali', ovvero quelle caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall'art. 32 del dpr 380/2001, che sono soggette al rilascio di permesso a costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello originario e per il quale valgono le disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante.

Variante essenziale con permesso in variante: è abuso edilizio

Nel caso di specie, ci troviamo di fronte al ricorso presentato dai proprietari committenti, progettista, direttore dei lavori e responsabile dell'urbanistica comunale, condannati in primo grado per il reato di cui agli artt. 110 cod.pen. e 44 lett. b) dpr n. 380/2001 (capo a) - per aver realizzato due unità immobiliari (il primo adibito a civile abitazione e costituito da tre livelli ed il secondo costituito da un unico vano a doppia volta) in assenza di idoneo titolo abilitativo dovendosi ritenere il permesso di costruire e la successiva variante rilasciati in assoluto contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti.

La Cassazione rimarca che la variante era stata realizzata nella parte opposta a quella in cui, secondo il progetto approvato con il permesso di costruire era prevista la realizzazione di un torrino idrico (in adiacenza al porticato posteriore in corso di costruzione) un altro fabbricato esteso per mq 42 non previsto in progetto, del tutto difforme, sia per collocazione planovolumetrica che per caratteristiche costruttive, forma e dimensione, necessitante del previo rilascio del permesso di costruire, escludendo anche in tale ipotesi che potesse trovare applicazione l'art. 22 del dpr 380/2001, vedendosi, invece, in ipotesi di variazione essenziale regolata dall'ad. 32 del predetto dpr 380/2001.

Letteralmente, "secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte (Sez.3, n.9922 del 20/01/2009, Rv.243103; Sez.3, n.24236 del 24/03/2010, Rv.247687; Sez.3, n.7241 del 09/02/2011, Rv.249544), la nozione di "variante" deve ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto all'originario progetto e che gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, riguardano la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato (vedi C. Stato,Sez. 4, 11 aprile 2007, n.1572). Il nuovo provvedimento (da rilasciarsi con il medesimo procedimento previsto per il rilascio del permesso di costruire) rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario ed in questo rapporto di complementarietà e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso in variante, che giustifica - tra l'altro - le peculiarità del regime giuridico cui esso viene sottoposto sul piano sostanziale e procedimentale. Rimangono sussistenti, infatti, tutti i diritti quesiti e ciò rileva specialmente nel caso di sopravvenienza di una nuova contrastante normativa che, se non fosse ravvisale l'anzidetta situazione di continuità, renderebbe irrealizzabile l'opera".

Quindi, in definitiva, costituisce "variante essenziale" ogni variante incompatibile con il disegno globale ispiratore del progetto edificatorio originario, sia sotto l'aspetto qualitativo che sotto l'aspetto quantitativo.

Nel dpr 380/2001 non si rinviene alcun riferimento espresso all'istituto della variante essenziale ma, per la configurazione dell'ambito di tale istituto, può essere utile tenere conto della definizione di "variazione essenziale" posta dall'art.32 del dpr 380/2001, ai sensi del quale siamo di fronte ad una variante essenzial quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:

  • a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444;
  • b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, da valutare in relazione al progetto approvato;
  • c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza;
  • d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.

Al contrario, le varianti in senso proprio (art.22 del TUE), sottoposte a DIA, SCIA o a permesso in variante se:

  • non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie;
  • non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia;
  • non alterano la sagoma dell'edificio;
  • non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire.

La denuncia di inizio dell'attività (ora SCIA) costituisce "parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale" e può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori: la formulazione dell'art. 22 consente, pertanto, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori.

Nel 'nostro' caso, le difformità non potevano rientrare nell'ambito dell'art.22 comma 2 cit. "avendo avuto incidenza sulla destinazione d'uso della parte di immobile interessata e comportato la realizzazione di un ulteriore fabbricato non previsto in progetto e totalmente difforme - per caratteristiche costruttive, forme e dimensione e per collocazione planovolumetrica - rispetto a quello assentito (torrino idrico), quindi, variazioni essenziali necessitanti di nuovo permesso di costruire con conseguente integrazione del reato di esecuzione dei lavori in totale difformità dal permesso di costruire".

Modifica di destinazione d'uso

La Cassazione, nella stessa pronuncia, precisa che "la modifica di destinazione d'uso è integrata anche dalla realizzazione di sole opere interne, quali gli impianti tecnologici sottotraccia, e che, quando la modifica della destinazione d'uso si realizza attraverso l'esecuzione di opere edili - come appunto avvenuto nella specie - il reato si consuma sin dall'inizio dei lavori, non essendo necessario attenderne il completamento".

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