Edilizia
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Testo Unico dell'Edilizia (DPR 380/01) addio …. (forse)

Un'interessante riflessione sui lavori di scrittura del nuovo testo unico ... delle costruzioni

Una commissione per cambiare il DPR 380/01

Si parla sempre più concretamente della modifica del DPR 380/01, noto anche come “Testo Unico dell’Edilizia”, e sono in corso i lavori dell’apposita Commissione istituita presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

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Ci pare questa l’occasione per riassumere che cos’è stato (e cosa ancora è) il Testo unico dell’edilizia e quali sono state a suo tempo le motivazioni che hanno indotto il Parlamento di allora ad introdurlo. 

D’altra parte se si cambia qualcosa vale la pena conoscerlo bene anche perché adesso che ha compiuto 18 anni (e quindi sarebbe appena maggiorenne) forse mostra i segni dell’età, ma era nato per superare qualche problema. E a suo tempo c’era anche riuscito.

Testo Unico, non un Codice. Perchè ? 

Intanto ricordiamo perché un Testo Unico (e non un nuovo Codice come nel caso degli appalti) ?

Perché il Legislatore di allora ritenne di non innovare la legislazione vigente (nel qual caso ci sarebbe voluto un Nuovo Codice da approvarsi dal Parlamento) ma semplicemente di riordinare la legislazione vigente attraverso una delega conferita al Governo. 

Tanto che, per essere precisi, parlando di Testo Unico dell’Edilizia più che dire che è stato prodotto dal Legislatore dovremmo dire da un “Collazionatore”.

Quel che ne uscì non fu dunque un “Codice” innovativo ma (appunto) un “Testo Unico” che sistematizzava la congerie di norme succedutesi nel tempo (per meglio dire: accavallatesi l’una sull’altra senza una coerenza logico-cronologico-sistematica e divenute pertanto pressoché illeggibili) e collocate anche spesso in provvedimenti incoerenti.

In altri termini c’erano norme regolamentari inserite in provvedimenti di legge che come tali si presentavano con una veste equivoca: facevano finta di essere leggi e invece erano regolamenti (come, per fare un esempio noto a tutti, il procedimento di rilascio dei permessi di costruire che era nato all’interno della legge n. 493/93, ma che aveva solo prescrittività di regolamento: ergo era pacificamente modificabile dalle leggi regionali).

Dunque il primo atto del nuovo Testo unico fu la ricognizione delle norme a contenuto regolamentare (fossero esse nate per decreto – come era corretto – o per legge – come era meno corretto -) per rendere noto a tutti la loro “forza” (perché non è l’abito che fa il monaco).

Tutte le norme di regolamento furono riunite in un unico “Testo C” approvato con DPR n. 379/01 (e cioè con atto amministrativo come si conviene ai regolamenti) e le residue leggi furono raggruppare in un Testo B, approvate con provvedimento avente forza di legge (come si conviene alle leggi) che però era un d.lgs. (il 378/01) in quanto delegato dal Parlamento.

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Per seguire però un filologico (o, per essere più esatti) per dare un filo logico alla struttura della normativa edilizia - in modo che la successione delle norme (l’articolato) avesse coerenza - il tutto venne collazionato in un unico testo (il vero e complessivo “Testo Unico” appunto) approvato con atto amministrativo (il ben noto DPR 380/01).

Ed è questo il motivo per cui ogni articolo – nel testo originario del 2001 – era contraddistinto da una R se aveva contenuto regolamentare (e derivava dal DPR 379/01) o da una L se aveva contenuto legislativo (e derivava dal d.lgs. 378/01) e riportava nell’intestazione la propria origine normativa.

Era così più immediato conoscere le norme di legge e quelle regolamentari (pacificamente modificabili dalle disposizioni legislative regionali). 

In realtà l’estensore del Testo Unico dell’Edilizia (il Collazionatore) è andato più di una volta fuori delega, cioè ha prodotto norme innovative e non ha solo fatto ricognizione dell’esistente (si pensi all’articolo 3 per esempio, derivato dall’articolo 31 della legge n. 457/78 in cui alla definizione degli interventi di recupero del solo patrimonio edilizio esistente è diventata la più generale “definizione degli interventi edilizi” su tutti gli edifici compresi i nuovi).

E ciò per creare quegli anelli di collegamento e completamento della legislazione in essere (che da sola poi tanto organica non era) che le desse senso compiuto e strutturato.

Il Testo Unico dell'Edilizia ha perseguito insomma la “finalità” della delega anche oltre il suo limite formale.

Il che era inevitabile se si voleva dare senso compiuto e organico ad una riforma concettuale venutasi a consolidare pezzo su pezzo con disgiunti e successivi provvedimenti di legge durante un decennio. Queste norme “innovative” furono da subito in odore di illegittimità, ma nessuno le ha impugnate e perciò sono ormai (fortunatamente) corpo consolidato dell’ordinamento attuale.

Il Testo Unico dell’Edilizia andò in G.U. n. 245 il 20 ottobre 2001 (anche se l’entrata in vigore era stabilita al 1.1.2002) pressoché contestualmente alla legge costituzionale n. 3/2001 (in G.U. il 24 ottobre n. 248) che, modificando l’articolo 117 della Costituzione, estendeva il potere legislativo concorrente dalla sola “urbanistica” al più ampio concetto dei “governo del territorio” comprendente anche l’”edilizia”.

Quali sono i principi nel testo unico dell’edilizia? ?

Anche in questa materia dunque le leggi statali immodificabili restavano le sole “norme di principio”.

Ma quali fossero all’interno delle leggi statali – e, dunque, anche del DPR 380/01 - quelle di “principio” (non modificabili) e quelle modificabili per legge regionale il Testo Unico non lo diceva (né poteva dirlo) e la loro identificazione restava affidata all’”interpretazione” del loro contenuto.

Un bel problema, che si pensava potesse essere risolto dalla “legge di riforma” dei principi in campo urbanistico-edilizio di cui all’epoca si parlava molto: nel 1999 era stata predisposta la “bozza Lorenzetti”, mai approvata, e nel 2005 fu riproposta una nuova “bozza Lupi-Mantini” che però naufragò anch’essa senza approvazione.

Oggi di legge urbanistica di principi non se ne parla proprio più e si continua pertanto a brancolare nel buio tra interventi (a volte invasivi) delle leggi regionali e le sentenze della Corte Costituzionale (sporadiche e limitate a singoli casi e quindi non strutturali).

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Il che non è un bel vedere; soprattutto non è un bel vedere il più totale disinteresse del Parlamento nel fissare “i principi” della “pianificazione” e del “governo del territorio” che (ad alcuni) fa venire il dubbio che non ci siano le idee chiare.

Ciononostante l’attività edilizia e urbanistica continuano ad essere praticate (male, ma continuano ad essere praticate) in una rinnovata e costante produzione legislativa statale e regionale che, in assenza dei “lumi” dei principi si sta di nuovo aggrovigliando in una selva di provvedimenti sempre più oscura in cui gli operatori stentano ad orientarsi.

Dalla data di entrata in vigore (1.1.2002) al 18.04.2019 sono stati 203 i punti modificati nell’articolato del Testo Unico.

Statisticamente uno al mese. Il suo elaborato originario si è modificato un bel po’.

Si è trattato spesso di provvedimenti settoriali, particolari e puntuali che hanno risposto il più delle volte a contingenze del momento (o a pressioni settoriali alle quali si è replicato emotivamente), che però impediscono il consolidarsi di una “prassi” e offuscano la percezione di linee guida interpretative: vien meno una visione.

Soprattutto vien meno una visione tecnica e spesso l’interpretazione (l’inevitabile interpretazione) è lasciata più al formalismo giuridico che alla finalità della norma. E i problemi tecnici che ci si era proposti di risolvere rimangono insoluti se non, spesso, aggravati.

La norma tecnica deve fornire le “regole del fare” (anzi del “fare bene”). Ma se non le si lascia consolidare non si avrà mai la verifica dei loro effetti.

C’era bisogno di tante modifiche? e, soprattutto, quanto hanno inciso sul fondamento concettuale della materia?

La vera rivoluzione culturale e concettuale del “sistema” autorizzativo in edilizia era maturata infatti negli ultimo decennio del secolo scorso e di esse il DPR 380/01 era divenuta la traduzione e la sintesi (e ancora lo è nonostante le modifiche).

Essa era costituita dai principi del silenzio-assenso al posto del silenzio-rifiuto, della liberalizzazione delle attività con comunicazione di parte al posto dell’atto formale della P.A., dal metodo di residualità per l’individuazione degli atti dovuti o della tipologia di intervento, della unificazione delle definizioni, della partecipazione al provvedimento, della gestione degli atti da parte della dirigenza al posto degli organi politici, ….

Il Testo Unico dell’Edilizia è nato per sistematizzare tutte le innovazioni concettuali elaborate negli anni novanta; le modifiche apportate in seguito - fatto salvo per certi versi il più recente d.lgs. 222/2016 - hanno riguardato aspetti di dettaglio, localistici e particolari che non hanno inciso sulla concezione generale.

Poco rileva infatti sui principi generali se la d.i.a. oggi è cambiata con la s.c.i.a., se i lavori possono cominciare subito o dopo un po’, se il permesso viene rilasciato con silenzio-assenso o no, se le opere di edilizia libera sono un po’ di più o un po’ di meno, ....

Sono tutti aspetti di dettaglio e procedimentali che hanno appassionato (e distratto) il dibattito tecnico di quest’ultimo periodo, ma che non hanno apportato alcuna innovazione concettuale: sono solo diverse modalità applicative o procedimentali che poco o nulla hanno inciso sull’effettiva funzionalità del sistema le cui continue modifiche hanno anzi contribuito a renderlo più oscuro e di incerta applicazione.

Difficoltà applicative enormi a fronte di benefici irrisori, puntuali e ininfluenti. Con rischi gravi per i tecnici professionisti.

Cosa vogliamo aspettarci dunque dalla revisione del DPR 380 ?

Una ristrutturazione organica (ben venga perché dopo tanti interventi parziali ce n’è bisogno) e, soprattutto stabile nel prossimo futuro.

Dubito che possano esserci innovazioni culturali importanti e dirompenti: mi pare che l’elaborazione concettuale della materia non abbia in corpo elementi significativi di novità paragonabili a quelli elaborati nel DPR 380/01.

Una stabilizzazione procedimentale invece (quella sì) è auspicabile e dovuta se vogliamo consolidare il sistema, dare certezza operativa e consentire anche la formazione di una “prassi” che integri il dettato scritto e ne costituisca il fondamento.

La “prassi”, e con essa la cultura tecnica, per formarsi ha bisogno della stabilità della norma; e se c’è la cultura tecnico-professionale certi dettagli non vanno neppure scritti: sono impliciti.

Sarebbe anche auspicabile la puntuale identificazione dei “principi” al fine di meglio definire il perimetro di operatività della legislazione regionale concorrente che (diciamoci la verità) non mi pare che in questo periodo abbia contribuito molto alla chiarificazione della materia.

Ma questo sarà più difficile in assenza di una legge statale di principi.

Già sarebbe molto se, una volta che il Nuovo Testo Unico (qualunque esso sia) sarà stato rivisto, non venisse di nuovo la voglia al Legislatore di modificarlo.


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Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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