BIM | Digitalizzazione
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Il BIM, la Digitalizzazione e il Regolamento del Codice dei Contratti Pubblici

Una riflessione del prof. Angelo Ciribini

L’articolo 82 dello schema di regolamento di esecuzione, di attuazione e di integrazione del codice dei contratti pubblici, richiama e riprende i contenuti principali del DM 560/2017 in materia di gestione informativa abilitata dalla modellazione informativa, con riferimento a quanto previsto dal D.lgs. 50/2016 e s.m.i. Sotto questo profilo, il «BIM» sarebbe stato, pertanto, incluso nella nuova disciplina, anche come fonte secondaria, non solo attraverso l’articolato legislativo originario.

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Implementazione della digitalizzazione negli appalti pubblici

Il tema che ci si potrebbe porre riguarderebbe, in effetti, l’opportunità di conservare o meno la cogenza, parziale o totale, nell’implementazione della digitalizzazione nell'ambito dell’affidamento e dell’esecuzione dei contratti pubblici, oltreché di approfondire ulteriormente la disciplina in materia.

Tale imposizione, del resto, nella sua forma generalizzata, si ritrova assai raramente nel contesto internazionale, ove, al contrario, sono presenti agenzie nazionali di riferimento e azioni istituzionali di supporto.

È, tuttavia, questo, davvero, l’interrogativo da avanzare?

Con ogni probabilità, il fatto di mantenere l’obbligo legislativo richiederebbe e richiederà, comunque, una migliore comprensione del ruolo della Domanda Pubblica, con attinenza ai criteri organizzativi, alle politiche formative e agli investimenti strumentali.

Di fatto, la sensazione è, infatti, che sinora Domanda Pubblica e Offerta Privata abbiano affrontato la trasformazione digitale in maniera, per così dire, spesso analogica, conseguendo benefici che, per quanto significativo, non risultano decisivi ai fini della riconfigurazione del mercato.

Il che, dunque, spiega perché non abbia molto senso attendersi una reale evoluzione digitale del settore per via legislativa, laddove manchino politiche industriali e agenzie di riferimento a sostegno.

Se, infatti, una serie di soggetti, committenti, professionali e imprenditoriali, ha maturato una certa metodica e una certa esperienza, in parte riversata sui tavoli normativi e altrove, resta il fatto che una porzione significativa dei casi sin qui disponibili siano circoscritti alla fase di progettazione, per cui ambienti di condivisione dei dati e capitolati informativi si applichino sinora prevalentemente alla fase di progettazione, giungendo solo recentemente alle altre fasi.

In presenza, per certi versi, di una conferma delle prescrizioni legislative, ciò che occorrerebbe chiedersi concerne le modalità di comprensione dei processi di digitalizzazione che permettano agli attori dei procedimenti di interiorizzare la cultura del dato strutturato e di mettere a profitto il collegamento e la sincronizzazione tra quest’ultimo e quello semi strutturato o non strutturato.

Non bisogna, d’altronde, dimenticare che la quarta rivoluzione industriale non si fonda solo sulla informazione, ma anche sulla comunicazione, generando la centralità delle piattaforme digitali e della interconnessione capillare: da cui le espressioni di cantiere cognitivo e di gemello digitale.

È, infatti, palese che, per quanto, come alcuni vorrebbero, i testi legislativi fossero dettagliati, le nozioni come ambiente di condivisione dei dati, capitolato informativo, offerta e piano di gestione informativa, così come gli acronimi (pur tradotti, in un certo senso, in italiano dall’ente di normazione nazionale nel recepimento delle norme internazionali e sovranazionali), potrebbero facilmente arrestarsi a un livello di adempimento formale, di trasposizione non sostanziale.

Il punto è che, nei fenomeni evolutivi del settore, si sovrappongono tendenze di diverso periodo, motivate da ragioni eterogenee.

Digitalizzazione del settore non può essere decisa solo attraverso provvedimenti legislativi

Nella fattispecie, vi sono diversi esempi di questo fenomeno, poiché stiamo assistendo al declino dell’impostazione originaria della cosiddetta soft law, associata al ripristino di una impostazione maggiormente tradizionale legata, appunto, al nuovo regolamento attuativo e, da ultimo, alla richiesta di semplificazione amministrativa che condurrebbe alla «sospensione» temporanea della legislazione nazionale.

Analogamente, esigenze di medio e lungo termine, come la riforma della amministrazione pubblica o il superamento della scuola novecentesca, per non dire del cambiamento climatico, sono regolarmente associate alla emergenza di un fatto pandemico la cui intelligenza è limitata alla sfera virale che gli appartiene, di là dei dibattiti relativi al «prima» e al «dopo».

Se, quindi, volessimo muovere un appunto al regolamento in materia di digitalizzazione, lo potremmo fare intorno, ad esempio, alla coerenza tra l’articolo specifico e la concezione tipicamente documentale dei livelli di progettazione.

Allo stesso tempo, tuttavia, è sempre più evidente che la digitalizzazione, da un lato, comporti una dimensione numerico-computazionale per la committenza che appare intrigante, ma che rischia, comunque, una deriva, di conformità digitale, che andrebbe affrontata con attenzione, anche con riferimento ai processi autorizzativi propri della pianificazione urbanistica e dell’edilizia privata che appaiono prospetticamente i canali di diffusione capillare più rilevanti, più dei lavori pubblici.

Per un altro canto, la digitalizzazione stessa non si arresta certo alla progettazione, al «BIM» o ai metodi e agli strumenti elettronici, una locuzione parzialmente ereditata da una dubbia traduzione della direttiva comunitaria sul tema, ma si estende a tutte le fasi del procedimento, e dei sub o endo procedimenti, anzi, risalendo alla programmazione pluriennale degli investimenti e investendo i quadri giuridico-contrattuali.

È palese, perciò, che la sfida maggiore, a prescindere da una riscrittura in termini di cultura digitale dell’intero disposto di legge, improbabile nella misura in cui essa richiederebbe un radicale ripensamento dell’ordinamento in termini, prima di tutto, appunto, culturali, consista nella integrazione tra il piano del funzionamento dell’amministrazione pubblica e quello della gestione dei singoli procedimenti.

Si tratteggia, comunque, il contesto, della progressiva «piattaformizzazione» dei settori economici, per la quale non potrà sussistere alcuna soluzione per via legislativa da parte dei decisori istituzionali che sia priva di una intelligenza strategica, sistemica, che coinvolga le rappresentanze, le parti sociali, e le istituzioni finanziarie.

Si tratta, perciò, di promuovere una grande alleanza, un grande patto tra gli attori, in previsione sia delle ulteriori incentivazioni fiscali e finanziarie relative all’edilizia privata in atto sia dell’emergenza del programma comunitario di ricostruzione socio-economica che dovrebbe avere profonde ricadute sulla dotazione infrastrutturale, in senso ampio, del Paese, dalla medicina territoriale alla mobilità sostenibile.

La digitalizzazione del settore, che la SARS-CoV-2 ha involontariamente accelerato, a suo modo, non può essere, perciò, decisa solo attraverso provvedimenti legislativi, qualunque essi siano.

Al contrario, l’assenza, accanto a essi, di una vera e propria strategia industriale rischia di inficiarne le lodevoli intenzioni, così come il riporre nella Domanda le maggiori speranze di riconfigurazione del settore, supponendo una resistenza, più o meno passiva, dell’Offerta, rischia di risultare uno sforzo unilaterale, in un contesto in cui anche il ceto professionale e imprenditoriale è decisivo ed è il primo soggetto a essere interessato alla professionalizzazione del compratore pubblico, oggetto invero di una raccomandazione della Commissione Europea, risalente al 2017.

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