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Il Valore «Intangibile» dei Nuovi Dispositivi Immobiliari per lo Spazio dell’Apprendimento

Una nuova riflessione di Angelo Ciribini dedicata al tema delle riaperture delle scuole

A valle di altre riflessioni proposte dallo scrivente sulla riapertura delle scuole, prevista per il 14 Settembre 2020, credo che valga la pena di avanzare alcune ulteriori riflessioni in termini più, per così dire, discorsivi.

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Sulla questione della riapertura delle scuole

Prima di tutto, occorre osservare, con riferimento a Paesi come la Francia o la Germania, in cui l’attività scolastica è parzialmente (nella sostanza) ripresa, che le misure di mitigazione del rischio adottate originariamente siano state, nell’Esagono, fortemente edulcorate, mentre in alcuni Länder tedeschi addirittura azzerate, suscitando, peraltro, forti apprensioni presso i genitori, nonché casi di gestione delle quarantene in caso di positività non sempre, a giudicare dalle cronache, rigorosissime.

In Italia, alcuni dei principali mezzi di comunicazione tendono a divulgare messaggi rassicuranti che inducono a ritenere che non sussistano particolari rischi nella riapertura delle scuole, laddove l’evidenza non appare così univoca, bensì soggetta a molte variabili specifiche.

Cosa diversa sarebbe affermare, come hanno fatto alcuni mezzi di stampa internazionali, che i benefici apportati dalla formazione in presenza supererebbero i malefici arrecati dalla sua assenza.

Il che mette in luce come per gli esponenti politici europei con responsabilità di governo sulla materia valga la pena di scommettere sulla possibilità che i ceppi virali in circolazione siano depotenziati, che i recettori dei più giovani ne minimizzino le conseguenze patologiche e che la capacità di diffusione del contagio da parte di essi sia assai ridotta.

Questa impostazione, cara a pedagoghi e a pediatri, sembra, dunque, ritenere che non debba esserci una seconda ondata (ovvero che si sia in grado di contrastarla in modo mirato e localizzato) e che, dunque, le pressioni dell’opinione pubblica per il ritorno in presenza, di per sé corrette, debbano prevalere.

Nel caso del nostro Paese, che ha differito la riapertura delle scuole più di altri, l’attitudine è parsa maggiormente prudenziale, anche se i criteri di intervento sono stati definiti con una scarsa tempestività e con una entità relativamente contenuta.

Ciò che, tuttavia, qui più interessa è legato ad alcune constatazioni.

Distanziamento fisico a scuola e la «rincorsa allo spazio»

La prima di esse riguarda la necessità, in virtù di valutazioni, peraltro, minimali legate al distanziamento fisico (il noto metro statico tra rime buccali) e alla opportunità di separare il più possibile le bolle, i gruppi classe o le micro comunità.

Essa ha causato due esiti: favorire un modello formativo organizzativo, obbligato dalla medicalizzazione, che ha negato, ovviamente, le nozioni di interazione flessibile e di prossimità variabile professate dai maggiori esperti nazionali e internazionali delle scienze educative; la rincorsa a disponibilità di spazi fruibili in un contesto patrimoniale immobiliare di per se stesso gravemente deficitario.

Quest’ultima «rincorsa allo spazio», svolta in modo duale tra enti locali e dirigenze scolastiche, ha innescato una miriade di commissioni e di tavoli, a più livelli territoriali, ha evocato il ricorso alle destinazioni d’uso eterogenee ed esterne agli insediamenti scolastici, ha fatto inneggiare alla esaltazione delle responsabilità organizzative dei singoli dirigenti scolastici che, a loro volta, hanno lamentato di non essere stati sufficientemente supportati, nonostante la disponibilità di cruscotti e di algoritmi che dovrebbero supportare significativamente le dirigenze scolastiche.

Di là del fatto che tutto ciò, per di più in connessione alle scarse prestazioni degli ultimi anni, rilevate da studi comparati, da parte dei discenti italiani, abbia rinfocolato le controversie inerenti alle politiche di qualificazione e di reclutamento del personale docente, nonché la dialettica tra scuole pubbliche, statali o paritarie, la polemica relativa al banco evidenzia forse una intima contraddizione tra l’intento, di medio e lungo periodo, di innovare le metodologie didattiche e di ibridare le funzioni proprie della istituzione scolastiche con quelle dei territori di riferimento e l’urgenza immediata.

Di non minore rilievo è il fatto che, a lungo, le condizioni di ventilazione dei vani siano state prescritte in misura generica o insufficiente, rendendo palese la considerazione che la qualità dell’aria interna negli ambienti confinati dedicati alla didattica fosse discutibile, anch’essa, già in condizioni ordinarie e che, al contrario, fosse assai influente, assieme al ricorso al distanziamento e alla mascherina chirurgica per ridurre, non certo per azzerare, il rischio, tanto più che parrebbe che la modalità di trasmissione del virus attraverso aerosol con particelle più fini sia assai rilevante.

Occorre, infine, rammentare che l’insistenza per la scuola «in presenza» dovrebbe essere unita a quella per la scuola «a distanza», nel caso di possibili confinamenti, più o meno estesi.

Prima ancora che le scuole riaprano effettivamente, che lezione si può trarre, dal punto di vista disciplinare, da tutto ciò?

Sarebbe auspicabile costituire un Gemello Digitale Nazionale per l’Edilizia Scolastica

Bisogna, anzitutto, osservare che, per mitigare credibilmente il rischio, sarebbe stato necessario approntare una metodologia che affrontasse analiticamente il singolo caso a partire dal mese di Marzo.

È doveroso, altresì, riconoscere che, per quanto si ricorra a un metodo operativo molto sofisticato, come accade nel caso di studio promosso, assieme ad altri colleghi, da chi scrive, è l’andamento epidemiologico del singolo contesto territoriale a mitigare o meno il rischio che la riapertura delle scuole funga da moltiplicatore della diffusione virale, anziché da freno a essa, così come affermato, invece, da esponenti politici in Germania e negli Stati Uniti.

In attesa di valutare l’efficacia di approcci di diversa natura, coll’auspicio che si rivelino tutti efficaci, bisogna, però, traguardare oltre la pandemìa.

Ritengo che, in vista della centralità degli investimenti previsti da ESM e da RRF, sia opportuno non guardare separatamente alle politiche di formazione del personale, non solo docente, e di riqualificazione dei beni immobiliari strumentali indisponibili.

Per prima cosa, l’emergenza pandemica ha sollecitato fortemente le Anagrafi, Nazionale e Locali, dell’Edilizia Scolastica, facendo intravedere, in prospettiva, che la loro natura debba essere sempre più improntata a una impostazione, per così dire, GIS/BIM.

Questa considerazione, unitamente alla possibilità di sensorizzare gli edifici, dischiude la eventualità di creare dei cosiddetti gemelli digitali.

Sarebbe, perciò, utile proporre per il finanziamento la costituzione di un Gemello Digitale Nazionale per l’Edilizia Scolastica, da realizzare in maniera incrementale.

A prescindere dalla necessità di migliorare sismicamente e di riqualificare energeticamente gli edifici scolastici esistenti, senza contare gli interventi di recupero edilizio e di conservazione architettonica, oltre che di costruirne di nuovi, magari sostituendo i precedenti, il metro quadrato, il banco, lo scaglionamento, il distanziamento, la ventilazione, sono tutti elementi che concorrono a ricordare come la funzione educatrice, ma anche produttiva, dello spazio dell’apprendimento valga più di altre.

Accanto, quindi, alle prestazioni edilizie e impiantistiche dei cespiti immobili, la qualità dello spazio, fruito e percepito, richiede che i maggiori finanziamenti e investimenti si incentrino sugli aspetti comportamentali: per questa ragione, ho suggerito di considerare il plesso scolastico come un dispositivo comportamentale geo-spazializzato in cui, specialmente in epoca post-pandemica, la distinzione tra componenti immobiliari, arredi e attività sia connotata da un elevato grado di interconnessione, ancor più rilevante nel momento in cui i complessi ritornassero a ospitare attività estrascolastiche.

Al contempo, le residenze domestiche si sono ibridate, divenendo, in parte solo temporaneamente, luoghi di lavoro e di apprendimento.

La relazione tra cespite scolastico interattivo con la società e luogo residenziale cognitivo dovrebbe essere anch’essa inclusa in un piano e in programma strutturale per gli spazi di apprendimento, già di per sé sperimentato cogli approcci partecipativi che hanno condotto a predisporre il documento di indirizzo alla progettazione in sintonia coi programmi educativi e formativi in diverse realtà regionali autonome.

Si tratta, perciò, anzitutto di comprendere quali degli investimenti in servizi, forniture e lavori effettuati nella logica emergenziale siano coerenti e spendibili nel quadro post-pandemico, i cui contenuti, sul piano dell’ambiente costruito finalizzato all’apprendimento paiono di segno opposto a quelli forzati dai protocolli sanitari.

Se, come auspicato, la SARS-CoV-2 dovesse rivelarsi, per quanto ancora diffusa, in attesa del programma vaccinale, scarsamente aggressiva, si potrebbe, dunque, riannodare, in maniera più originale e sistemica, un tentativo di modernizzazione del patrimonio immobiliare e mobiliare scolastico, con l’avvertenza pregressa di non considerare i cespiti unicamente nella loro veste tangibile e passiva, per quanto lo stato fisico patologico degli edifici stessi  induca a concentrarsi esclusivamente o prevalentemente su tale dimensione.

Se, come forse più probabile, ciò fosse parzialmente vero, ma, al contempo, si dovessero verificare numerosi e dispersi casi di positività, specie in relazione all’andamento complessivo del contagio, più che per demerito delle realtà educative, si assisterebbe a uno scenario frammentato ed eterogeneo di chiusure e di riaperture.

Qualora, infine, si riscontrasse il caso peggiore, le prospettive sarebbero, ovviamente assai più complesse, ma bisogna ricordare che, ad esempio, il caso israeliano e quello cileno vedono un certo affollamento nelle aule e un insufficiente rispetto delle misure preventive.

In ogni caso, i programmi di investimento da proporre a livello comunitario dovrebbero partire da un ripensamento dello spazio dell’apprendimento, già molto indagato in passato pure a livello nazionale (basti pensare al lavoro di INDIRE).

D’altra parte, se si fosse approfondito meglio il soggetto del banco mobile multifunzionale ci si sarebbe accorti che esso, situato in un preciso contesto, non sarebbe stato considerabile un tema peregrino, oggetto di facili ironie, perché ambientato in una ricerca sullo spazio esperienziale caratteristico della scuola digitale.

Comunque sia, le modalità principali di trasmissione virale per via aerea hanno creato un fabbisogno di uso dello spazio, come volume e come superficie, che, a fronte delle dimensioni dei vani disponibili, non solo delle aule, ha costretto ad aumentarne l’entità quantitativa e qualitativa, accrescendo, in apparenza, il numero di personale docente e tecnico-amministrativo necessario.

Nella realtà, la giusta osservazione critica espressa da alcuni studiosi della materia sulla scarsa rilevanza della numerosità delle risorse umane nei confronti della loro preparazione, suggerirebbe, per investire al meglio i fondi comunitari, di predisporre un programma che unisca a una nuova concezione dei cespiti immobiliari e mobiliari la riqualificazione degli utenti degli stessi.

È, infatti, appunto chiaro che la ibridazione polifunzionale dei prodotti immobiliari richiederà una adeguata «preparazione» dei loro fruitori.