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La Edilizia Scolastica tra Smart Occupancy e Preparedness of the Built Environment

(Nat ventilation) will vary massively depending on number, design and location of openings, room geometry, wind and temperature. May be single sided, cross vent or stack vent or a mix. May also get downdrafts and flow reversal, and in some cases almost no flow. Nat vent is complex and variable.

Cath Noakes


Scuola e Covid: i processi decisionali sono accompagnati da flussi informativi parziali

La scuola è un ‹«luogo», fisico e metaforico, materiale e immateriale, che si riflette in diverse modalità, dalla nozione del sedime su cui insistono uno o più edifici sino alla idea di una comunità educante.

Essa, in questo senso, nel periodo della pandemìa, è stata ed è al centro di molte attenzioni e di molte polemiche, a iniziare dal fatto che sia stata, nel 2020, contemporaneamente chiusa (il cespite immobiliare) e sospesa (le attività formative) in più di 190 Paesi del Globo.

Forse, in realtà, all'interno e all'esterno della scuola, in termini di suscettibilità, di infettività, di morbilità, di letalità e di trasmissibilità, più che della scuola in se stessa, si sarebbe dovuto ragionare dei bambini e degli adolescenti in quanto tali, sia nella loro dimensione scolastica sia in quella estrascolastica.

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Gli studi in materia, apparsi, ad esempio, su JAMA, The Lancet, NEJM, hanno, peraltro, evidenziato molte limitazioni e si sono esercitati su campioni statistici abbastanza limitati.

Analogamente, gli stessi rapporti tecnici di ECDC e di ISS, pur essendo stati interpretati a favore della legittimazione di talune scelte decisionali, mostrano le stesse criticità, riconosciute dagli autori.

Più in generale, occorre, dunque, riconoscere che i processi decisionali sono accompagnati da flussi informativi parziali.

Molto, anche da parte dello scrivente, è stato, peraltro, detto e scritto in materia di edilizia scolastica in età pandemica, a causa del contributo, positivo o negativo, che i cespiti immobiliari potessero offrire alla mitigazione del rischio di contagio per i propri utenti e per le comunità che vi facevano riferimento: per giustificare un asserito, ma presunto, ruolo marginale degli insediamenti scolastici nella trasmissione del virus si è, infatti, sempre addossata una forte responsabilità ai focolari domestici ovvero alle frequentazioni esterne alla giornata scolastica.

Alcune delle misure che sono state deliberate per prime nei protocolli sanitari, come l'igienizzazione sistematica delle mani, avevano, invero, a che fare con la convinzione che la trasmissione virale per contatto colle superfici influisse particolarmente, ma, evidentemente, non concernevano direttamente l'edificio scolastico, se non per i suoi arredi mobili e per alcune parti immobili (dai corrimani delle scale in poi).

Tali provvedimenti si sono concretati in investimenti in prodotti per l'igienizzazione delle mani (e, ad esempio, dei giocattoli nella scuola dell'infanzia) e, soprattutto, per le procedure di sanificazione degli ambienti, che, ovviamente, conservano la loro importanza.

Diverso ragionamento è valso per la trasmissione dovuta al deposito di particelle virali di maggiore dimensione a contatto con gli organi respiratori (bocca e naso) e oculari, nel senso che per essa, oltre al ricorso alle mascherine (comunitarie, chirurgiche, FFP2: N95 e KN95), parzialmente previsto tardivamente dai protocolli sanitari, ha contato il distanziamento fisico: da cui proviene la riconfigurazione della disposizione dei banchi, delle cattedre e degli arredi mobili nelle aule, così come dei tavoli nelle mense o delle postazioni nei laboratori: oltreché delle postazioni all'ingresso alla scuola.

I parametri spaziali di carattere statico (ad esempio, il fabbisogno individuale espresso in metri quadrati per il docente e per il discente, variabile nei Paesi e nel tempo) hanno condotto alle immagini iconiche del dirigente scolastico col metro o colla bindella in mano, più raramente col misuratore laser tascabile, - il che già ci restituisce il contrasto tra una dimensione analogica e una digitale - che, tuttavia, rimandava, attraverso questa variabile, all'annoso e irrisolto problema del degrado fisico e funzionale dei plessi scolastici.

Ciò ha determinato il fatto che i cosiddetti interventi di edilizia leggera tesi ad ampliare la dotazione spaziale si relazionassero indirettamente con l'annoso tema del degrado fisico di carattere edilizio, strutturale e impiantistico degli stabili, oggetto di puntuali e ricorrenti rapporti da parte di associazioni e di fondazioni, che sollecitano ingenti investimenti nel recupero, nella riqualificazione e nella riabilitazione dei complessi.

In buona sostanza, l'ipotesi prevalente di trasmissione virale, datata e da aggiornare, ha indotto a ripristinare, forzatamente, il paradigma pedagogico incentrato sulla didattica trasmissiva e sulla centralità del docente, ormai in via di superamento nel periodo pre-pandemico.

Se, di fatto, il distanziamento ha chiamato in causa la disponibilità di superfici collettive e di postazioni individuali, la misura legata alla circoscrizione delle comunità scolastiche (bolle, gruppi classe), ha richiesto variazioni alle modalità e ai tempi di ingresso, di uscita e di fruizione interna degli spazi confinati e degli spazi aperti nei luoghi dell'apprendimento.

In ogni modo, da questi elementi è scaturita l'esigenza, per le dirigenze scolastiche e per gli enti locali, per quanto riguarda la scuola pubblica statale (e per gli enti gestori, in relazione a quella paritaria) di considerare come centrale l'uso dello spazio, ciò che si potrebbe definire come occupancy.

In linea generale, la centralità dell'utenza, posta, ad esempio, in  rapporto alle prestazioni energetiche dell'edificio, non si può considerare un tema inedito, né, parimenti, il  ruolo assunto dalla de-densificazione (le ‹«classi pollaio») nell'incremento della produttività del lavoro intellettuale.

Purtuttavia, l'esigenza di articolare e di differenziare le modalità di fruizione degli spazi dell'apprendimento, unitamente alla rimodulazione della gestione del trasporto pubblico locale, sollevano elementi relativamente meno noti, poiché spostano l'attenzione dalla componente tangibile dell'edilizia scolastica a quella immateriale dello spazio dell'apprendimento, esteso al migliore utilizzo non solo delle unità in precedenza considerate residuali (come i corridoi), ma pure degli spazi esterni all'edificio, ma interni al plesso scolastico.

Lo stesso tema, appunto, della riorganizzazione dei tempi della mobilità, da connettere a quello dei tempi della giornata scolastica, si è incentrato prevalentemente sulla de-densificazione di mezzi e di aule, ma non ha, come si vedrà, riguardato la qualità ambientale degli stessi.

E' chiaro, perciò, che, quantunque, il patrimonio immobiliare scolastico implichi considerevoli interventi sui sistemi tecnologici, sulla parte, per così dire, fisica, come dovrebbe essere per le risorse stanziabili entro il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza, quella che potremmo definire come smart occupancy sembra costituire la maggiore sfida, nell'ottica di una sorta di predisposzione dell'ambiente costruito dell'apprendimento alla prevenzione sanitaria e alla abilitazione formativa.

Per questa ragione, la trasmissione delle piccole particelle virali per via aerea, o meglio, per aerosolizzazione, assume un rilievo particolare, anche se occorre sottolineare come, nei protocolli istituzionali inerenti alla mitigazione del rischio nelle scuole, l'elemento più rilevante, vale a dire la airborne and aerosol transmission, sia stato incomprensibilmente affrontato in modo generico, in un primo tempo, nonché, successivamente, minimizzato, anche a causa della indifferenza dell'OMS.

Nei protocolli figurano, infatti, generici riferimenti alla aerazione degli ambienti confinati, qualificata come ‹«adeguata», ‹«frequente», ‹«continua», nell'assenza di criteri inerenti alla spiegazione del fenomeno, al calcolo della durata della ventilazione naturale oraria in funzione dei ricambi di aria, attesi, per non dire ai dispositivi di monitoraggio e di regolazione della ventilazione medesima, naturale o meccanica.

Nella realtà, se si analizzano i maggiori modelli computazionali di valutazione del rischio di contagio applicati agli spazi confinati dell'apprendimento (come quelli della University of Colorado Boulder, della University of Oregon, della Università degli Studi di Cassino, del Max-Planck-Institut)) si può constatare che essi prevedano, almeno alcuni, la concentrazione di CO2 come proxy, ma che questo parametro sia, poi, algoritmicamente presente nei riguardi della capacità individuale di produzione di biossido di carbonio e del ricambi orari di aria (numero di sostituzioni del volume ambiente di aria nell'arco di un'ora).

Di fatto, tuttavia, nella valutazione probabilistica influiscono molto le dosi di quantum virale, nonché la frequenze e i volumi respiratori dei docenti e dei discenti, condizionati, per quanto riguarda le piccole particelle aerosolizzate, dalla temperatura interna ai locali e dalla umidità relativa.

E' chiaro, peraltro, che le condizioni effettive della ventilazione naturale in una aula siano assai variabili, essendo influenzate da molteplici fattori, a partire dalla conformazione dell'edificio e del vano stesso.

Di là del fatto che si debba distinguere tra ventilazione naturale e ventilazione meccanica controllata, alcune simulazioni condotte attraverso la CFD (Computational Fluid Dynamics) evidenziano ulteriormente come i flow pattern siano, comunque, disomogenei e peculiari e come sarebbe opportuno  dislocare le postazioni statiche (ad esempio, nelle aule) tenendone conto.

Parimenti, altri studi hanno sottolineato come l'uso della mascherina, specie di quella comunitaria o di quella chirurgica, presenti livelli prestazionali assai diversi, a secondo della correttezza di impiego, in relazione alle fuoriuscite laterali e superiori dovute a una scarsa aderenza del dispositivo al viso.

Gli stessi ragionamenti, dedicati all'insediamento scolastico, andrebbero proposti, come ricordato, per i mezzi di trasporto pubblico, a iniziare dagli scuola bus.

Ciò che rileva maggiormente è il concorso dei diversi fattori, motivo per cui l'omissione di uno di essi causerebbe un incremento dei livelli di rischio, da cui proviene la celebre immagine degli strati del ‹«formaggio svizzero».

Il punto è che le prime misure adottate, previste dai protocolli sanitari, erano concentrate sulla convinzione che la trasmissione virale avvenisse prevalentemente attraverso il contatto (delle mani) colle superfici e la distanza ravvicinata tra il soggetto (super) diffusore e il soggetto recettore, a causa di una radicata tradizione in materia.

Da ciò originano, quindi, oltre alla necessità di segregare e di confinare (tranne che per circostanze quali il consumo dei pasti nelle mense scolastiche) gruppi di occupanti (docenti e discenti), i criteri di distanziamento fisico, statico e dinamico, comunemente stabilito in cm 150 o in cm 182 (sei piedi), poi ridotti a un metro tra rime buccali, laddove, comunque, la letteratura indicasse come preferenziale i cm 200 e come risolutiva quella dei cm 300: valori, d'altronde, in  collisione sia colle caratteristiche delle aule sia colla disponibilità di organici.

Non scordiamo, peraltro, che a un dato momento, il ricorso alla mascherina era stato giudicato necessario solo in presenza di un ridotto distanziamento, rispetto al già esiguo metro statico.

Naturalmente, l'equilibrio tra l'andamento epidemiologico generale e la possibilità che nelle scuole non si verifichino contagi e focolai non è semplice da conseguire, poiché elevati tassi di trasmissione comunitaria (come l'incidenza settimanale o a quattordici giorni di soggetti positivi ogni 100000 abitanti) e di numeri di riproduzione rendono problematica l'utilità delle misure endogene (ed esogene).

Ciò che, però, rende perplessi è il fatto di avere affrontato il tema in maniera sequenziale, sino a giungere alla convinzione che la fonte dei contagi scolastici dipenda principalmente dalla mobilità attuata con il trasporto pubblico locale e con le frequentazioni estrascolastiche degli studenti.

Qualunque sia la verità, ammesso che esista, è importante sottolineare che si tratti di una tematica tipica dell'ambiente costruito, che non permette approcci e spiegazioni unilaterali e mono-disciplinari.

Se, infatti, virologi, immunologi, infettivologi, microbiologi e altri studiano la natura e l'evoluzione del virus, epidemiologi ne investigano la propagazione, clinici di varia specializzazione (dai pneumologi agli intensivisti) si occupano delle terapie legate alle patologie provocate dalla SARS-CoV-2, altri studiosi dovranno contribuire a comprenderne le (fluido-)dinamiche di diffusione nell'ambiente costruito e, in particolare, negli ambienti confinati, così come i flussi di persone all'interno di essi.

Si tratta di una tematica, quella della ventilazione naturale e meccanica degli ambienti didattici confinanti, che si interseca con quello della qualità dell'aria interna, di per se stessa assai importante per i livelli qualitativi dell'apprendimento, così che i corrispondenti investimenti, stanziati, ad esempio, dal governo tedesco od olandese o auspicati da quello giapponese, possederebbero una valenza di medio-lungo termine.

Non si deve, tuttavia, commettere l'errore di ritenere che il tema della trasmissione virale per aerosolizzazione delle particelle virali di minori dimensioni a breve e a lungo raggio si esaurisca nell'adozione di sensori, di purificatori dell'aria portatili con filtri HEPA, nei dispositivi germicidi schermati a raggi ultravioletti, nei sistemi di ventilazione meccanica controllata.

Come dimostrano i differenti modelli computazionali di valutazione probabilistica di trasmissione virale, i molteplici elementi da considerare (dall'uso delle mascherine alla concentrazione di CO2, dai quanta virali all'umidità relativa) rimandano, anche in una ottica post-pandemica, alla prevenzione delle normali forme influenzali e alla capacità di concentrazione dei discenti, a una impostazione multidisciplinare alla (ri-)configurazione degli spazi dell'apprendimento che coinvolga architetti, ingegneri, medici, pedagoghi, psicologi, sociologi, e così via.

Per quanto riguarda la contingenza pandemica, nell'attesa che il piano vaccinale contribuisca in modo decisivo a scongiurare l'emergenza e nella speranza che ulteriori mutazioni virali non generino gravi recrudescenze, il processo decisionale ora verte tra il bilanciamento tra esigenze di ripristinare la formazione in presenza in ogni ordine e grado, sia pure nell'incompletezza delle misure adottate, e l'obbligo di ridurre i tassi di contagio attraverso ri-chiusure più o meno selettive e prolungate.

Gli studi coordinati dallo scrivente, iniziati a Maggio 2020, così come altri, anch'essi in corso, dovrebbero, dunque, condurre alla conclusione che ciò che, in realtà, sia in gioco vada oltre la dimensione fisica degli edifici scolastici (già di per se stessa problematica, come periodicamente denunciano le diverse associazioni e fondazioni nei loro corposi rapporti annuali), poiché il cespite immobiliare diviene veicolo materiale dell'erogazione di servizi immateriali.

Per prima cosa, la possibilità di rilevare il contenuto virale (copie genomiche del virus) nell'ambiente confinato specifico, ora praticabile, accanto al monitoraggio in tempo reale in remoto della anidride carbonica, dell'umidità relativa, della temperatura, del particolato, dei composti organici volatili, indica come il cespite immobiliare possa essere oggetto di governo del fenomeno virale.

Analogamente, nel rispetto della GDPR, del Regolamento Generale per la Protezione dei Dati, sarebbe possibile utilizzare sistemi di analisi delle immagini o altri sistemi di rilevamento della presenza e del movimento degli occupanti dell'edificio.

La bidirezionalità dei flussi informativi (e decisionali nel caso della direzione successiva), dal bene fisico al suo specchio o doppio digitale, e viceversa, già dimostrano il senso del gemello digitale, il dispositivo di simulazione che consente di regolare l'interazione tra il fruitore e l'edificio, sia pure nel rispetto della riservatezza dei dati sensibili e senza esercitare funzioni illecite di sorveglianza.

Di fatto, a fronte di una sindrome evolutiva in parte sconosciuta, data la conoscenza in evoluzione tanto delle dinamiche di diffusione quanto delle terapie delle patologie che essa origina, le modalità di trasmissione richiedono approcci multi-disciplinari che impegnano e che coinvolgono anche le discipline architettoniche e ingegneristiche, fondamentali per padroneggiare i nessi causali che sarebbero alla base dei meccanismi simulativi del gemello digitale.

E', allora, possibile immaginare una specie di grado di preparedness che sia legato al cespite immobiliare in associazione alla occupancy.

Il che, in definitiva, spiega perché, una volta ripristinate, in epoca post-pandemica, le condizioni che favoriscano una didattica non solo trasmissiva e la polivalenza dei plessi didattici, i cespiti immobiliari si prestino a una diversa accezione e interpretazione.

E' palese, infatti, che proprio nell'ottica della Recovery and Resilience Facility e di Next Generation EU, occorra ragionare sui lasciti della pandemìa, in corrispondenza a un inedito significato che si deve attribuire al cespite immobiliare.