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Opere superspecialistiche: ma lo stop del Consiglio di Stato cambierà qualcosa?

Lo stop del Consiglio di Stato alla bozza di decreto del MIT ha riacceso tra gli operatori un vivace dibattito sull’individuazione delle categorie specialistiche, ed in particolare tra i rappresentanti degli interessi contrapposti (di imprese specialistiche, appunto, ed imprese generali).

Il commento dell’ing. Marco Perazzi, Responsabile Relazioni Istituzionali e Ufficio Studi Economici UNICMI
 
Lo stop del Consiglio di Stato alla bozza di decreto del MIT ha riacceso tra gli operatori un vivace dibattito sull’individuazione delle categorie specialistiche, ed in particolare tra i rappresentanti degli interessi contrapposti (di imprese specialistiche, appunto, ed imprese generali).
 
Al centro del dibattito che si è aperto vi sono, in particolare, due ordini di questioni:
 
- il primo riguarda gli effetti che tale sospensione potrebbe procurare al settore, fino addirittura a creare, nella lettura più pessimistica, un vuoto legislativo che, nelle more di una nuova risoluzione, aprirebbe alla deregulation nel subappalto di lavori pubblici.
- Il secondo attinente le questioni di merito del decreto del MIT, ovvero l’elencazione stessa delle opere specialistiche che potrebbe tornare nuovamente sui tavoli del ministero.
 
A ben guardare il tenore del parere del Consiglio di Stato, le preoccupazioni ed i timori paventati dagli operatori appaiono però, forse, eccessivi.
Sulla questione attinente l’individuazione delle categorie superspecialistiche, il parere del Consiglio di Stato non dovrebbe più di tanto spostare gli “equilibri” già trovati dal MIT.
 
Infatti:
- da un lato, il parere competente nel merito è quello del C.S.LL.PP., come previsto dall’art.89 comma 11, che non ha sollevato obbiezioni di sorta;
- dall’altro, il rilievo mosso riguarda esplicitamente l’omissione di un’adeguata argomentazione delle valutazioni condotte sulle proposte di Finco ed Ance.
 
Il fatto stesso che soltanto di queste ultime due posizioni sia stata fatta menzione induce a pensare che il rilievo non miri tanto a chiedere conto delle ragioni secondo cui le categorie sono state individuate, quanto piuttosto all’avere evidenza che, da parte del MIT, tutte le posizioni (e  non solo quelle di Assoroccia e Federlegno) siano state prese in considerazione e valutate.
 
Ancor meno giustificato appare poi il timore per un eventuale vuoto legislativo a cui il settore rischierebbe di rimanere esposto nelle more della pubblicazione del decreto ex art.89 comma 11. I 90 giorni (dall’entrata in vigore del Codice degli Appalti) entro cui era prevista la pubblicazione del dm, vanno interpretati infatti come termini sollecitatori e non perentori; in tal senso offrono sufficienti rassicurazioni sia le norme (contenute nello stesso codice) che regolano il transitorio, sia la giurisprudenza che ha regolato in passato casi analoghi di ritardo normativo.

Per concludere, mentre è eccessivo prefigurarsi rischi di sconvolgimenti o deregulation del settore quali effetti della sospensione dell’istruttoria, va casomai registrato come l’attuale Codice, che si proponeva – almeno nei proclami iniziali – di attuare una riforma agile, leggera ed attivatrice di un nuovo programma di investimenti pubblici, si è inceppato una volta ancora negli ingranaggi della macchina burocratica, prolungando così lo stallo del mercato, in cui versa il settore da anni, più che quello legislativo.