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Building A New World: Saranno Anni di BIM ?

Building A New World è il titolo di una recente presentazione di Mark Bew (BEIS, UK Government e PCSG), titolo molto rappresentativo di un'ambizione strategica che si vuole tradurre in un progetto industriale (UK BIM Level 3) e sociale (UK BIM Level 4).

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Building A New World è il titolo di una recente presentazione di Mark Bew (BEIS, UK Government e PCSG), titolo molto rappresentativo di un'ambizione strategica che si vuole tradurre in un progetto industriale (UK BIM Level 3) e sociale (UK BIM Level 4).

Non si può, infatti, dare Digitalizzazione del Settore delle Costruzioni al di fuori di una policy che, peraltro, a sua volta, si contestualizza entro una Era Digitale di portata universale.

Il BIM, il Building Information Model o il Building Information Modeling (in realtà, accanto a esso dovremmo annoverare anche il Computational Design), ha una origine tecnologica che risale agli Anni Sessanta, una denominazione ufficiale che rimonta ai primi Anni Novanta e, in seguito, ai primi Anni Duemila, una consacrazione definitiva che data dai primi Anni Dieci.

Ciò perché, anche se la sua diffusione progressiva è ben documentata, sin dagli Anni Zero del Duemila negli Stati Uniti dai Survey di McGraw-Hill, è stata sistematicamente promossa in Finlandia negli stessi anni, è stata forse per la prima volta resa parzialmente obbligatoria in Danimarca, si deve a una straordinaria intuizione del Governo Britannico, grazie a Paul Morrell e a Mark Bew, sul versante tecnocratico, e a Francis Maude, su quello politico, se il BIM è divenuto il centro di una Strategia Industriale di un Paese di rilievo globale.

Ciò accadeva, peraltro, in Gran Bretagna, come culmine di un intento riformista che aveva fatto registrare periodici e sistematici insuccessi (come dimostra la moltitudine di rapporti governativi succedutisi dal 1934), ma che aveva precisato alcuni elementi già a partire dagli Anni Ottanta, al di fuori, ovviamente, dall'ambito digitale, ma all'interno del tema dell'Informazione che, agli albori del secondo decennio del nuovo secolo, poteva divenire così più facilmente quantificabile ed elaborabile (le Numérique).

Si è trattato, però, di una Policy che tendeva certamente ad efficientare il Sistema delle Costruzioni Britannico a partire, dapprima, dalle Amministrazioni Centrali dello Stato (UK BIM Task Group), ma che si è sviluppata, successivamente, in senso pervasivo nelle catene di fornitura (UK BIM Alliance) e che ha assunto un carattere ormai definitivamente «globale» (Digital Built Britain).

Il che ha voluto dire che il brand ha fruttato, oltre a una accresciuta reputazione e a un primato ideale incontestabile, agli esponenti britannici molti incarichi e molti contratti sui mercati internazionali, dal Medio Oriente al Commonwealth (su cui la presenza era già, in materia specialmente di servizi, molto radicata), sino a generare accordi intergovernativi, effettivi e potenziali, in Cile come in Messico o in Australia.

Non era un esito scontato, poiché, come detto, il BIM aveva avuto, dal basso, una vasta disseminazione negli Stati Uniti, dapprima presso gli architetti, e, dunque, vantando la presenza di molti dei maggiori produttori di software e di hardware, lì permane un centro gravitazionale mai sancito a livello federale.

Tra l'altro, occorrerebbe risalire al 2010 per comprendere come ciò che diamo per scontato (in Francia come in Spagna, in Austria come in Polonia, in Svezia come in Svizzera)  non lo fosse affatto.

Allo stesso tempo, laddove il focus si è spostato dai singoli cespiti digitalizzati alla Smart City, per il Governo Britannico, che si è fatto parte diligente anche di una Road Map normativa presso l'ISO, sorgono nuovi competitori, come, ad esempio, Hong Kong e, specialmente, Singapore.

Oltre a tutto, benché la alfabetizzazione della Domanda Pubblica a livello comunitario sia promossa, in primo luogo, da Britannici e da Norvegesi, progressivamente, al di là della stessa Brexit, si fa strada una interpretazione continentale del tema presso il CEN, in quanto i diversi Paesi Comunitari, oltreché la Russia, cerchino di interpretare soggettivamente l'esperienza britannica, sia pure non discostandosene fondamentalmente.

In Italia, il BIM, che sta, appunto, rispettivamente per il prodotto e per il processo (la pubblicistica non contribuisce a fare chiarezza, enfatizzando solo la tecnologia), è un acronimo destinato, dopo anni di relativa indifferenza, ad avere grande risonanza, a partire dalla pubblicazione, nel corso del 2017, del decreto ministeriale (delle Infrastrutture e dei Trasporti) previsto dal Codice dei Contratti Pubblici, senza, purtuttavia, essere supportato da una narrazione che affascini gli operatori:
Del resto, probabilmente il caso britannico, per struttura di mercato, non appare come quello più facilmente confrontabile con quello italiano, a differenza di quello tedesco.

Qualsiasi siano le modalità e le tempistiche dell'adozione obbligatoria, il BIM senza dubbio fungerà da detonatore di un fenomeno assai più vasto, la Digitalizzazione, che, nell'immaginario collettivo, ormai comprende entità assai eterogenee, dai dispositivi per la realtà mista ai sensori di vario genere collegati a un motore di Intelligenza Artificiale per il Facility Management e per l'Occupancy, dalla manifattura additiva al modello informativo, dai droni con laser scanner ai macchinari di cantiere senza operatore a bordo, appunto.

Il minimo comune denominatore di tutte queste manifestazioni digitali è, appunto, il Dato, vale a dire, la possibilità di informare computazionalmente ogni attività: si guardi, ad esempio, alla collaborazione tra Caterpillar e Trimble sui macchinari semi-autonomi oppure a quella tra la stessa Trimble e Microsoft a proposito di mixed reality, così come a progettisti che si scambiano ologrammi, come raccontato da Autodesk e da Microsoft.

Questa annotazione è importante perché dimostra, anzitutto, come ciò che definiamo in quanto BIM (o meglio, quale processo digitalizzato) entra prepotentemente nel Settore delle Costruzioni sotto la fattispecie del cosiddetto Cyber-Physical, fondendo Tangibile e Immateriale, esattamente come in Industria 4.0, la Quarta Rivoluzione Industriale Manifatturiera.
Sotto questa ottica, «BIM» qui diviene Dato Geometrico Dimensionale e Alfa Numerico che, originariamente contenuto nel Modello Informativo su un PC per essere successivamente edito all'interno di un documento, fuoriesce da esso in un occhiale con la realtà aumentata o in un ambiente immersivo, informa un escavatore autonomo supportato da droni o un robot che posa i mattoni in laterizio (oppure una stampante additiva che stratifica il giunto metallico).

Il problema, a questo proposito, è che la Gamification, oggi così importante, è scambiata per il suo côté ludico, ma si tratta, appunto, di un serious game.

Naturalmente, da qui a immaginare utenti che parzialmente progettano autonomamente per via esperienziale tramite algoritmi semi automatici o macchinari senza operatori come una minaccia incipiente di un mondo senza lavoro umano ne corre non poco, ma tutta la narrazione della Digitalizzazione che dipende da new soft skill, unitamente alla necessità di non perdere i saperi detenuti dalla seniorità, non è trascurabile.

È questa una riflessione avvalorata  dal fatto che tutto ciò che è ripetitivo (routinario) e poco originale ben si presta a essere automatizzato.

Il BIM, nelle sue forme elementari, è, peraltro, più praticato, nel Nostro Paese, di quanto non si creda e, sia a livello internazionale/sovranazionale sia a livello nazionale, i riferimenti normativi non mancano, anzi iniziano a sovrabbondare, così come la pubblicistica e l'offerta formativa, non sempre esaustive.

BIM è, però, processo, metodo, strumento, è questione organizzativa, giuridica, tecnologica, è hardware, software: entità eterogenee e multiple, insomma.

Quanto di tutto ciò che si è poc'anzi menzionato è, tuttavia, davvero, all'interno della vastissima categoria dell'innovazione, realmente presente nella quotidianità degli operatori economici del Settore?
In realtà, al di là delle punte, relativamente poco.

Quanto, su di essi, esercita una fascinazione oppure genera una preoccupazione?

Più di quanto non si immagini (i geometri che utilizzano i droni per il digital survey), meno di quanto non si creda (gli architetti che impiegano gli occhiali immersivi): e, soprattutto, diversamente da quanto non si ritenga.
Questo, inoltre, accade in un contesto committente in fase di lenta aggregazione, in un mercato professionale sovraffollato, dai redditi medi al di sotto dei livelli europei, in un mercato imprenditoriale caratterizzato da concorrenza sleale (in termini di regolarità, previdenza, fiscalità, contrattazione collettiva), in un mercato produttivo in cui le associazioni di categoria hanno visto le defezioni per fallimento: ma pure in un mercato, in cui i soggetti più competitivi si rivolgono con sempre maggiore insistenza altrove.

Si tratta, perciò, di un mercato ridimensionato, colto dalla Digitalizzazione nel momento di maggiore debolezza, che, comunque, inizia a segnare valori timidamente positivi, tanto nelle costruzioni quanto nell'immobiliare e che, di conseguenza, con esitazione, comincia a sottrarsi alle categorie della recessione, alle retoriche della crisi.

Il BIM, allora, per quello che può significare (probabilmente tutto quanto elencato in precedenza), è ormai all'attenzione di tutte le rappresentanze (non solo, per dire, di ANCI, ITACA, CNI, CNAPPC, COGeGl, OICE, ANCE, Lega Coop, CNA, Federcostruzioni, FINCO, ma anche di soggetti più remoti, come AISCAT, Angaisa o Federcomated): alcune di esse costituiscono gruppi di lavoro, altre promuovono progetti pilota, e così via.

In pochi anni i fondamentali, pertanto, saranno acquisiti, anche se non è detto che ciò possa avvenire nella maniera ottimale.
Non vi sono oggi, tuttavia, "luoghi" in cui rappresentanze e rappresentati possano raccogliersi e confrontarsi: senza contare che, perlomeno, ci si dovrebbe domandare con chi, con che cosa.

Con softwarehouse che, direttamente o indirettamente, evolvono in consultancy, con soggetti accademici che offrono iniziative formative e attività di ricerca, con altri attori di varia natura.

La questione è che, a breve, potrebbe esistere un obbligo, sia pure ragionato, sia pure incrementale, ma non sussisterebbe una strategia, un centro di competenza, una comunità digitale: tutte cose che, altrove, sono facilmente reperibili, almeno nei casi migliori.

La strategia è, infatti, presente nel Regno Unito con il BIM Mandate, il centro in Germania col BMVI, la comunità in Francia grazie al PN MINnD.

Il fatto è che qualunque dei soggetti rappresentativi citati in precedenza per il Nostro Paese è stato, bene o male, in grado di portare alla ribalta le best practice (che assolutamente esistono): ma esse o sono episodiche o sono indotte dalla presenza sui mercati comunitari e internazionali, difficilmente riguardano organizzazioni non strutturate.
Si giunge, pertanto, al nucleo della questione, al fatto che solo entità debolmente o fortemente strutturate possano competere su un mercato digitalizzato evoluto, poiché esso è naturalmente selettivo, oltre che tendere, progressivamente, a semi-automatizzare, come detto, le attività ripetitive e mediocri (si veda la applicazione dei sistemi di questo genere di verifica delle pratiche relativi ai titoli abilitativi dell'edilizia privata).

Occorre, allora, ben soffermarsi sul duplice meccanismo della selettività dei competitori e della riduzione di capitale umano di basso profilo, che rappresentano, tanto per i decisori politici quanto per le rappresentanze, uno spauracchio formidabile.
Potremmo, infatti, immaginare forze politiche che rinunciano, nei Lavori Pubblici, al consenso di milioni di elettori tra i micro professionisti e gli artigiani, che escludono dal mercato organizzazioni poco strutturate?

All'inverso, la Digitalizzazione, come catena accorciata, o disintermediata, di fornitura può raccogliere, nei Lavori Privati, professionisti o artigiani dispersi, dando loro una intelligenza sistemica, mettendoli a contatto con potenziali clienti, offrendo loro servizi avanzati.

Evidentemente la risposta è negativa, se la domanda è posta in questi termini, ma, appunto, la storia raccontata altrove, sia pure forse edulcorata od ottimista, è un'altra.

Essa, infatti, parla di nuove possibilità offerte ai vecchi attori, purché essi siano disponibili a una riconfigurazione: anche se, nel medio-lungo periodo, non è dato sapere se ciò sia davvero sufficiente a fronte delle nozioni e delle abilità richieste in fatto di Data Science.

Resta il fatto che le rappresentanze invocano insistentemente agevolazioni fiscali e altri benefici per essere indotte alla trasformazione, non giudicando gli operatori in grado da se stessi di investire le risorse necessarie e di conseguirne immediati benefici che ne ripaghino l'onerosità.

Sin qui, d'altronde, si è trascurata, se non per gli accenni a una sorta di Uberification dei lavori condominiali, la committenza privata, così come lo sviluppo immobiliare: occasioni che, in buona sostanza, potrebbero trarre dalla Digitalizzazione benefici ancor maggiori e che potrebbero costituire driver ancor più potenti dei soggetti impegnati negli appalti pubblici e nelle concessioni.

Dal 2017 al 2020, in questo quadriennio, si maturerà, a ogni buon conto, interamente il valore di novità del BIM: prima che esso sia stato irrimediabilmente banalizzato, prima che abbia cessato di essere un leitmotiv.
Certo, oggi, chiunque può organizzare un convegno, convocando, tra gli altri, il Comune di Milano e l'Agenzia del Demanio, Citterio Viel e Lombardini 22, Italferr e ANAS, Manens Tifs e Politecnica, Salini Impregilo e Astaldi, Cimolai e Valsir, Manutencoop e Romeo: per affermare che anche in Italia si possa esporre una vetrina "eccellente", che si possa avviare una discussione con soggetti "acculturati".

Che cosa si potrebbe, però, dire dei loro fornitori?
Che cosa, specialmente, si dovrebbe affermare della pancia profonda del mercato?
Come far emergere pratiche, forse riferite a medie organizzazioni, meno eclatanti, meno conosciute, ma, probabilmente, a una scala minore, non meno interessanti?

Soprattutto, come giungerà la piccola storia del BIM ai micro committenti, professionisti, imprenditori: in assenza di un grande racconto sulla Digitalizzazione come è quello relativo a Digital Built Britain?
Come una tematica circoscritta alla stressa stregua della certificazione energetica, come un adempimento a cui sottrarsi che genera estracosti, come una agevolazione fiscale simile a quella per il miglioramento sismico?
Sappiamo bene, peraltro, che nel Regno Unito non tutto il mercato è realmente operativo nei termini previsti o desiderati, che solo recentemente si sta predisponendo, per lo UK BIM Level 2, uno schema di accreditamento a cura dello UKAS, che si parla di «bolle» o di «morti» del BIM.

Ma siamo anche coscienti che la convinzione dell'Inevitabilità della Digitalizzazione è ormai penetrata capillarmente, che, quanto meno, magari confusamente, principî e lessico sono noti alla quasi totalità degli operatori.
Un recente diagramma, assai iconico, metteva, però, in luce quanto il percorso possa essere accidentato, interrotto, tra pionieri e ritardatari, specie perché i tratti di incrementalità e quelli di radicalità non sono probabilmente così lineari o sequenziali.

Dobbiamo, infatti, chiederci se davvero l'avanzamento nei livelli di maturità sia quello indicato nel celebre diagramma di Bew-Richards oppure se, piuttosto, non si debba ricorrere alla metafora dei giochi di percorso, in cui si può arretrare o precipitare, per poi risalire?
L'ipotesi iniziale, infatti, era che una diffusione progressiva di strumenti, di metodi e di processi fosse in grado, entro una certa data, di rendere il successivo «salto culturale», una vera e propria cesura epistemologica, meglio sopportabile dal mercato.
Dato, però, che il BIM si manifesta in maniere piuttosto articolate, tale successione viene, in parte, meno e, di conseguenza, il cambio di paradigma emerge in tutta la sua severità, non fosse altro che per la sua natura dirompente (disruptive, in inglese).
In particolar modo, occorre domandarsi: atteso che il BIM  possa intendersi, secondo diversi gradi di difficoltà, come strumenti (da acquistare), come metodi (da apprendere), come processi (da mettere in atto), possiamo seriamente credere che esso sia in grado di sortire effetti positivi senza mettere mano alla riconfigurazione del mercato, senza ridiscutere la distinzione dei ruoli, senza accelerare le aggregazioni dimensionali?
Possiamo veramente credere che la Digitalizzazione, che muta il prodotto immobiliare colla Smart City di IBM, di Schneider Electric o di Siemens, che accorcia la catena di fornitura colla Uberification di Alibaba, di Amazon e di Saint-Gobain, che autonomizza la produzione manifatturiera dell'indotto edilizio con la riduzione dell'intensità di capitale umano, miracolosamente possa efficientare mercati talvolta corrotti, sempre conflittuali, raramente integrati sul ciclo di vita, senza intaccare gli assetti consolidati?
Analogamente, possiamo davvero credere che sia sufficiente allestire qualche decina di corsi post-lauream per formare una generazione digitale nel Comparto?
Epperò, poi, si possono mostrare applicativi informatici per tutte le finalità (Surveying, Space Programming, Authoring, Computing, Crowd Simulation, Gamification, Checking, 4D, 5D, 6D, 7D, nD), si possono esporre tutti i dispositivi (laser scanner, immersive wearable device, CAVE, componenti sensorizzati, impianti di produzione additiva di edifici, robot che posano pareti in laterizio).
Ma come mostrare IBM Watson IoT che parzialmente rende automatizzati i processi decisionali di gestione del cantiere o dell'edificio?

Come, più trivialmente, restituire il disagio culturale di progettisti che, con il BIM, sono tenuti a settare e a sincronizzare i modelli informativi da federare, che non riescono, per limiti del software, a modellare gli staffaggi, che perdono dati dal passaggio tra ambienti di calcolo e ambienti di modellazione?
E' un problema che attiene alla cultura digitale, al fatto che Dati e Informazioni Computazionali conferiscono valore aggiunto a qualsiasi attore coinvolto in qualsiasi intervento.
Il punto è che ancora oggi, in Italia, come si accennava, un tema «ubiquo», trasversale, è racchiuso, è verticalizzato in una moda, in un «sacro gral», in parole d'ordine.

Al Paese, ai suoi decisori politici, al suo tessuto committente, professionale e imprenditoriale, serve, allora, una narrazione a più livelli che, partendo da una veste affascinante e ambiziosa (un Digitally Life Styled & Built in Italy) scenda verso un mercato da rivisitare, cercando di orientarlo attraverso passaggi aggregativi, cooperativi.
Il Sistema Italia delle Costruzioni, sinora, invero, estremamente precario (esasperato individualismo dei competitori, eccessiva frammentazione degli attori, elevata conflittualità tra le rappresentanze), qui è chiamato a una ennesima prova di appello.
La rigetterà, restando sordo alle sfide fondamentali o troverà la forza di rispondervi creativamente?

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