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Ci dobbiamo preoccupare per il mare che si alza? Serve un piano nazionale per le coste?

Saremo in grado di fare in tempo una grande pianificazione territoriale ricca di progetti di adattamento ambientale per le zone costiere a rischio?

L'innalzamento del livello del mare è causato dal riscaldamento globale ma l’emergenza che si creerà sarà colpa nostra se la prendiamo troppo sotto gamba. Saremo in grado di fare in tempo una grande pianificazione territoriale ricca di progetti di adattamento ambientale per le zone costiere a rischio?
Flavio Piva, CeNSU

Di fronte alle trasformazioni del clima occorre prendere atto di un dato strutturale: l'innalzamento del livello del mare è il risultato di uno dei primi effetti dei cambiamenti climatici; il riscaldamento delle masse marine le fa aumentare di volume e le espande invadendo la costa. Gli studi scientifici proiettano al 2100 le loro valutazioni ma le modificazioni sono già in atto e non è detto che l'incremento si verifichi in modo lineare. Per il nostro Paese il fenomeno potrebbe essere esiziale per le numerose zone dove abbiamo realizzato uno sviluppo insediativo e turistico molto vicino al mare.

Il recente studio del gruppo di lavoro del prof. Antonioli dell'ENEA , di fatto anche riportato sull'ultimo report dell' IPPC, è la più recente misura dell'entità dell'innalzamento del mare e  conferma le peggiori previsioni al 2100. “In mille anni – scrive Antonioli – il Mediterraneo è aumentato da un minimo di 6 a un massimo di 33 cm, mentre le più recenti proiezioni dell’IPCC stimano l’innalzamento del mare a livello mondiale tra i 60 e i 95 cm entro il 2100. Si tratta di un’evidente accelerazione, dovuta principalmente al cambiamento climatico causato dall’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, che negli ultimi quattro anni ha superato in modo stabile il valore di 400 ppm, un livello mai toccato sulla Terra negli ultimi 23 milioni di anni”.

Per le nostre coste il fenomeno si sta rivelando di dimensioni notevoli: “In Italia – conclude Antonioli – sono 33 le aree a rischio a causa dell’aumento del livello del mare. Le zone più estese si trovano sulla costa settentrionale del mare Adriatico tra Trieste e Ravenna, altre aree particolarmente vulnerabili sono le pianure costiere della Versilia, di Fiumicino, le Piane Pontina e di Fondi, del Sele e del Volturno, l'area costiera di Catania e quelle di Cagliari e Oristano. Il massimo aumento del livello delle acque è atteso nel Nord Adriatico dove la somma del mare che sale e della costa che scende raggiungerà valori compresi tra 90 e 140 centimetri”.

Anche altri studi (Rahnstorf 2007) stimano a fine secolo un innalzamento del Mediterraneo simile con punte massime per l'alto Adriatico stimato in 134 cm. tenuto conto, come è noto da sempre, che in molte zone del Nord Adriatico una buona parte della zona costiera è interessata a fenomeni di subsidenza il cui contributo a fine secolo è stimato, senza incertezze, intorno ai 35-40 cm.

Se gli scenari al 2100 si conformassero ai dati peggiori, potrebbero essere molto preoccupanti ma anche le dinamiche a breve non sono irrilevanti: solo gli effetti di annuncio e di prime conferme del fenomeno potrebbero avere conseguenze concrete (prezzi terreni, cambio politiche immobiliari, variazioni urbanistiche, ecc.) e quindi il tema è sensibile. Consideriamo poi che sia i vecchi insediamenti ma anche i nuovi progetti di sviluppo costiero, (difese, insediamenti, nautica, ecc.) sono nati su ipotesi di stabilità dei mari oggi non più valide.

Già da ora dovremmo rivedere con spirito critico molte scelte urbanistiche in corso nelle aree a rischio per ridiscuterle ed indirizzarle diversamente per evitare di lasciare eredità ingestibili ai nostri nipoti; quanto dell'assetto urbanistico costiero esistente e previsto andrebbe ripensato?


Comunque qualche Regione inizia a muoversi: la Regione Friuli-VG ha già incaricato l'Osservatorio meteo dell'Arpa di coordinare la stesura di uno studio sullo stato delle conoscenze sugli effetti previsti dei cambiamenti climatici a cui partecipano le università di Ud e Ts, l'IPPC (nella figura di Filippo Giorgi), l'OGS, l'ISMAR e la Regione stessa ed i primi risultati dovrebbero essere divulgati a fine anno.

Se qualcosa si muove a livello istituzionale non sembra invece che la società civile, economica e professionale stia dando molta attenzione al tema come invece dovrebbe fare essendo essa portatrice di soluzioni, intelligenze e tecniche indispensabili ad affrontare i problemi nascenti.

Una sfida tecnica di queste dimensioni fa tremare i polsi ma affascina per la complessità che mette in gioco. Eravamo abituati ad una situazione statica ma l'assetto costiero ora è in movimento e dobbiamo cambiare punti di vista e modi di operare; questo ci costringerà a ridiscutere in profondità alcuni paradigmi progettuali, sia nel progetto di opere civili sia nella pianificazione territoriale.

Oggi le grandi opere civili sono intrinsecamente pensate per una vita utile di lunga durata; opere marittime, infrastrutture, sottoservizi degli insediamenti, opere idrogeologiche e interventi di conservazione e sviluppo delle aree ambientali da proteggere, nascono con prospettive almeno di 50 anni. Ma forse l'incertezza dei modi di trasformazione indotti dal cambiamento climatico dovrebbe far pensare ad un diverso approccio progettuale: una progettazione duttile perché i dati possono cambiare e costringere a modificare i lavori in corso d'opera.

La pianificazione territoriale prima di altri deve rispondere a questo cambio di paradigmi; sapendo che il fenomeno non sarà temporaneo e che la sua reversibilità, se ci fosse, non sarebbe a breve, tutti i saperi dell'ingegneria, dell'ambiente e della pianificazione territoriale vanno mobilitati per dare un nuovo assetto alle aree costiere a rischio.

Questo significa che già da oggi abbiamo bisogno di avviare un vasto processo di ridisegno dei confini verso le acque del mare; a partire da una valutazione di vulnerabilità propedeutica ad un piano nazionale per le coste che comprenda tutto, nessuna variabile esclusa: residenza, turismo, infrastrutture, porti, attività agricole e industriali, cuneo salino, qualità delle acque, ecc.  Le risultanze degli studi sul cambiamento climatico concedono il tempo per prepararci adeguatamente ma il tema necessita di un piano di lungo periodo e di una visione ampia e proiettata al futuro; una pianificazione che appare già urgente, soprattutto per la parte del Nord Adriatico dove il fenomeno dovrebbe presentarsi con gli effetti più assumere; Si dovranno alzare dighe, elevare i piani stradali, effettuare ripascimenti artificiali delle spiagge, combattere semi-paludismo ed erosione, rifare molti sottoservizi, intervenire in modo resiliente e flessibile per affrontare cambi di tendenza sempre possibili ed eventi estremi. Ma si dovrà dare risposta anche ai destini delle antiche lagune costiere, alle zone umide, alle riserve naturali, all'ecosistema complessivo, alle bonifiche agricole, ai porti e alla nautica da diporto e non tutto sarà possibile salvare.