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35-66-70: le misure di Inarcassa

Mecum Omnes Plangite

I liberi professionisti, in particolar modo gli ingegneri e gli architetti iscritti ad Inarcassa, sembra abbiano sempre affrontato con un certo distacco il tema previdenziale e ciò più per scarsa affinità con la materia e per l’inscindibile abbinamento della stessa al pagamento delle rate (prima e seconda) e del conguaglio di fine anno che per ignoranza della rilevante connotazione sociale della previdenza.

In verità nei decenni scorsi la stessa dinamica previdenziale interna ad Inarcassa ha condizionato la crescita di una vera cultura della previdenza nella nostra categoria; in passato infatti i liberi professionisti iscritti ad Inarcassa di fatto relegavano la problematica previdenziale alla parte finale della propria attività professionale e ciò perchè il metodo retributivo in vigore presso la cassa nazionale permetteva loro, a volte anche grazie ad un colpo di reni finale, di raggiungere un traguardo “certo”.
In termini previdenziali la certezza dipendeva anche dall’adozione di una metodologia di calcolo della pensione che non contemplava molte aleatorietà, a fronte di un determinato periodo di iscrizione e di una media dei redditi facilmente determinabile il professionista prossimo al pensionamento non aveva molte difficoltà a prevedere correttamente nel medio periodo il proprio destino previdenziale.
In poco tempo e sostanzialmente in tre steps il quadro di riferimento è tuttavia notevolmente cambiato e dopo un timido tentativo di difesa del sistema retributivo anche i liberi professionisti iscritti ad Inarcassa sono stati proiettati nel mare agitato del metodo contributivo, adottato, per evitare lo sconcerto dei professionisti ormai prossimi alla pensione, con la metodologia pro-rata che, negli intenti dovrebbe tutelare tanto gli attuali iscritti quanto coloro che si iscriveranno in futuro.
Il contributivo inarcassa pro-rata prevede infatti il mantenimento del metodo di calcolo retributivo per gli anni di iscrizione precedenti il 31/12/2012 e l’applicazione del metodo contributivo per gli anni successivi.
Per quanto attiene la comunicazione la questione parrebbe di fatto risolta in termini rassicuranti, purtroppo però devono essere attentamente analizzate tutte le aleatorietà che sono state introdotte nella metodologia di calcolo del metodo contributivo sia con riferimento al “tasso annuo di capitalizzazione del montante contributivo” (Art. 26.6 RGP 2012 - variazione media quinquennale dei redditi professionali degli iscritti Inarcassa) per il quale è stato fissato un valore minimo del 1,5 % tanto imbarazzante da doverne prevedere un “incremento” pari ad una non ben definita “quota percentuale della media quinquennale del rendimento del patrimonio Inarcassa”, che nel rispetto dell’equilibrio di lungo periodo verrà definita con cadenza biennale dal Comitato Nazionale dei Delegati.
Da quanto sopra riferito si percepisce in modo chiaro come dalla formulazione adottata non emergano certezze, l’unico dato certo è il fatidico 1,5 %, quello che potrà succedere dipendendo dalla variazione dei redditi degli iscritti e da una eventuale e non definita quota percentuale della media quinquennale del rendimento del patrimonio Inarcassa risulta perfettamente allineato all’incertezza che sembra caratterizzare la nostra epoca e con l’esigenza assicurare ad ogni costo la sostenibilità dell’ente previdenziale.
La dimostrazione della assoluta mancanza di certezze previdenziali credo possa essere ben compresa dall’analisi di quanto previsto per la “pensione minima”.
Quanto indicato all’Art. 28.1 RGP 2012 “la misura dei trattamenti pensionistici erogati da Inarcassa non può essere inferiore all’importo della pensione minima” (oggi pari a circa 10.700,00 Euro) prevede infatti molte eccezioni che comportano il mancato adeguamento alla pensione minima per esempio è ben chiarito che “a decorrere dal gennaio 2013 l’adeguamento alla pensione minima non può essere superiore alla media dei redditi professionali rivalutati, relativi ai venti anni precedenti il pensionamento” e che “l’adeguamento alla pensione minima non spetta”:
- “al pensionato il cui valore ISEE è superiore a Euro 30.000,00”;
- “al titolare della pensione di vecchiaia unificata che consegua la pensione al compimento del 70° anno di età senza aver raggiunto il requisito dell’anzianità contributiva minima (35 anni) ovvero che opti per l’anticipazione rispetto all’età pensionabile ordinaria”;
- etc.
Chi scrive in parte comprende le motivazioni che hanno determinato la necessità di arginare una vera e propria deriva del nostro sistema previdenziale ed hanno condotto all’adozione di una metodologia di calcolo che per ammissione degli stessi estensori risulterà “meno premiante per gli iscritti”; quello che a parere dello scrivente non sembra essere tuttavia accettabile, è la mancata previsione di riferimenti certi a fronte dell’assoluta certezza dei sacrifici che la riforma ha richiesto agli iscritti in termini di contributi soggettivo ed integrativo, di innalzamento della anzianità contributiva minima e dell’età pensionabile.
In questa situazione non devono inoltre essere trascurati alcuni aspetti considerati a volte marginali quali l’innalzamento dell’età per accedere alla pensione, ormai prossima ai 66 anni ma tendenzialmente proiettata verso i 70 anni; si è raggiunta infatti una soglia di anzianità che comporta una drastica riduzione del periodo in cui il professionista potrà godere della pensione ed una età anagrafica per la corresponsione della pensione che, tranne stimate eccezioni, rischia di connotare i professionisti più per l’anzianità che per l’esperienza.
Queste riflessioni elementari vogliono essere l’inizio di un cammino comune senza obiettivi celati o inganni di sorta che spero coinvolgerà molti in quanto la riforma previdenziale ormai in essere richiede l’accrescimento del livello di responsabilità in termini previdenziali della nostra categoria e ciò non solo per evitare che gli errori del passato possano ripetersi ma per fare in modo che il senso di precarietà che oggi accompagna l’attività professionale di molti non si estenda anche al periodo della nostra vita in cui per energie, età e opportunità lavorative saremo ahimè meno capaci di reagire all’alterna fortuna.