Codice Appalti
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Codice Appalti, Roberto Baliani: necessario ripristinare l’incarico fiduciario per ingegneri e architetti

Riforma del Codice degli Appalti: intervista all’ing. Roberto Baliani, presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Perugia
Per conoscere il punto di vista dei professionisti sulla nuova riforma del Codice degli Appalti, INGENIO ha rivolto qualche domanda ad alcuni Presidenti di Ordini territoriali.


1) Caro Presidente, la riforma del Codice degli Appalti prevede due nuovi Albi, quello dei Commissari (in seno all’ANAC) e quello dei Direttori Lavori (in seno al MIT). Un nuovo strumento di qualifica ma anche una nuova area di selezione per i professionisti. Pensi che sia un passaggio utile per le costruzioni e per i professionisti ?
Penso che sia un’ulteriore complicazione di un quadro normativo che, dalla Merloni in poi, guarda sempre più alla forma cercando di individuare la “procedura perfetta”, che però è diventata così complicata e artificiosa che risulta fine a se stessa, facendo perdere di vista agli operatori il vero obiettivo che dovrebbe avere la Legge: un’opera pubblica funzionale alle esigenze della collettività, bella, economica e realizzata in tempi certi.
Del resto se le legge sui lavori pubblici continuerà ad essere scritta prevalentemente dai giuristi, espertissimi di procedure e di contenzioso ma totalmente ignoranti di come un’opera si progetta e realizza, il risultato non può che essere quello che abbiamo visto nell’ultimo ventennio; una legge così complicata e cavillosa che nessuno padroneggia veramente, cambiata in continuazione (spesso in maniera contraddittoria) con l’intento di arginare la corruzione ma che, in realtà, finisce per favorirla fondamentalmente per due motivi:
1) è talmente complicata che i suoi passaggi (complice spesso l’interpretazione arbitraria che ne fanno le stazioni appaltanti) sono un vero e proprio percorso ad ostacoli che “sfinisce” gli operatori onesti, ma che lascia completamente indifferente chi non ha alcuna intenzione di seguirlo, anzi l’artificiosità e l’insensatezza del quadro normativo finisce per fornire a queste persone un alibi morale per non rispettarlo. L’assurdo è poi che le grandi opere, per le quali avrebbe senso (anche dal punto di vista dell’economicità delle procedure) l’applicazione di regole più complesse, vendono sottratte alla sua applicazione;
2) è ampiamente dimostrato dai fatti che, nonostante i proclami, il nostro sistema giudiziario è incapace di punire i corrotti in maniera adeguata e in tempi “umani”. E questo i corrotti lo sanno benissimo.
La situazione continuerà a peggiorare fino a quando non sarà consentito a noi tecnici, esperti del settore, di definire, con onestà intellettuale e con il rispetto che meritiamo, le poche regole necessarie al raggiungimento dell’obiettivo.

2) Fino ad oggi nel testo in circolazione si parla poco di digitalizzazione degli appalti e, soprattutto, dei processi di progettazione e gestione della realizzazione. Credi che sia corretto essere prudenti su queste innovazioni o che la norma dovrebbe fare un salto di qualità sul futuro delle costruzioni ?
La digitalizzazione dei processi è senz’altro un’importante elemento di semplificazione nella progettazione e gestione delle opere pubbliche, o meglio, lo sarebbe se, prima di essere resa obbligatoria, la pubblica amministrazione, tutta, fosse adeguatamente preparata a riceverla e trattarla. Fino ad oggi non è stato così, basti ricordare quanto è successo con il DURC, con la presentazione delle pratiche edilizie nei Comuni o con l’obbligo di presentazione telematica delle CTU nei tribunali, dove oltre all’invio telematico (obbligatorio, pena la non ricezione) bisogna produrre al giudice una copia cartacea: la così detta “copia di cortesia”. In tutti questi casi il passaggio al digitale, invece di una semplificazione, ha rappresentato, almeno nelle fasi di applicazione iniziale, un’ulteriore vessazione dei professionisti da parte della pubblica amministrazione che non riesce a stare al passo con le regole che essa stessa detta.

3) Tra gli obiettivi del nuovo codice anche l’esigenza di avere più controlli nei cantieri, ma più controlli significa anche più presenza, che fa a pugni con la logica del massimo ribasso. Non ritiene che la quota relativa ai controlli dovrebbe essere trattata come quella sui costi sulla sicurezza, ossia non ribassabile, e quindi affidata sulla base della sola qualità dell’offerta ?

Questo modo di ragionare deriva dall’aver voluto assimilare, contro ogni evidenza, il professionista all’impresa e la prestazione professionale a un servizio. In realtà il professionista, nel suo operare, oltre a cercare legittimamente un utile come fa l’impresa, garantisce il rispetto delle leggi nell’interesse dei cittadini. A questo proposito giova ricordare che i professionisti operano sotto il controllo dell’Ordine professionale ossia dell’ente cui lo Stato affida la tenuta dell’albo e il controllo dell’operato degli iscritti attraverso il rispetto del codice deontologico che rappresenta la normativa comportamentale di riferimento cui tutti gli iscritti devono attenersi.
La prestazione professionale quindi, diversamente da un qualsiasi servizio, ha un rilevante valore sociale ed etico cui tutti noi ci dobbiamo sempre riferire.
Di conseguenza, a mio parere, la determinazione della parcella deve tener conto della necessità che, con quell’onorario, vengano espletati tutti i controlli necessari per la buona riuscita dell’opera; detta parcella quindi non dovrebbe essere ribassata in fase di gara. Se viceversa si volesse continuare ad equivocare sull’equiparazione dalla prestazione professionale ai servizi ed assoggettare il compenso al massimo ribasso, bisognerebbe, nella logica d’impresa, determinare (e dichiarare) a priori quanti controlli sarebbero necessari in condizioni normali (operazione impossibile e del tutto arbitraria) in modo da poter chiedere un corrispettivo per ogni controllo necessario in più, come farebbe, appunto, un’impresa. Non si può trattare l’operato del professionista con la logica d’impresa, perché professionisti e impresa hanno una formazione e un modo di operare completamente diverso e, spesso, legittimamente in contrasto perché rappresentano interessi diversi.

4) Cosa dovrebbe essere assolutamente inserito in questo Codice in relazione all’attività dei professionisti ?
Per quanto detto sopra la prima cosa che dovrebbe contenere è il riconoscimento delle prestazioni di ingegneri e architetti come atti professionali e quindi ripristinare l’incarico fiduciario in tutti i casi come avviene per gli avvocati.
Questo semplice provvedimento risolverebbe parecchi dei problemi che, ove si volesse continuare a ragionare in termini di servizi, occorre correggere; in questo caso, alcuni degli aspetti più importanti da inserire sono i seguenti:
- obbligo di esternalizzazione degli incarichi professionali (non li chiamerò volutamente “servizi”), ribaltando l’attuale ordinamento che, in contrasto con ogni principio comunitario (tanto richiamati ma altrettanto disattesi dal nostro Codice), privilegia l’affidamento interno alla pubblica amministrazione compensato con il famigerato 2% che deve sparire perché, per dirla con le parole di un articolo uscito recentemente sul “Sole 24ore”: “.. distorce il mercato e produce progetti di scarsa qualità in una logica da “parrocchietta””. Inoltre, aggiungo io, crea disparità di trattamento inaccettabile tra progettisti esterni e quelli interni alla pubblica amministrazione cui non viene richiesto niente per operare (niente iscrizione all’Ordine, niente esperienza, niente requisiti, niente attrezzature, niente obbligo di formazione continua, niente assicurazione) anzi, per il solo fatto di appartenere alla pubblica amministrazione, vengono loro attribuite competenze non contemplate dal titolo di studio posseduto. Infine, nell’attuale modo di operare non c’è trasparenza visto che spesso anche la validazione dei progetti, quando viene fatta, viene fatta internamente.
- riduzione dei requisiti per la partecipazione alle gare e loro estensione a tutto il curriculum professionale, senza limitazione di tempo. Con gli attuali limiti (periodo massimo preso in considerazione 10 anni) e gli effetti distorcenti del mercato dovuti al massimo ribasso, cui non viene posto alcun limite, la maggior parte dei professionisti finisce per perdere i requisiti curriculari per poter partecipare a qualsiasi tipo di gara. Occorre inoltre consentire la partecipazione dei giovani senza curriculum in gare con importo lavori da progettare sotto un certo limite (ad esempio 200.000,0 €) in modo che possano crescere e farsi un curriculum in maniera autonoma.
- eliminazione dei requisiti di fatturato e di personale dipendendente che creano una forte limitazione della concorrenza in quanto è dimostrato che più del 95% degli studi professionali non possiede i requisiti mediamente richiesti dalle stazioni appaltanti e quindi è, di fatto, impedito a partecipare alle gare.
- limitazione dell’appalto integrato, soprattutto con a base il preliminare, ai casi per i quali è nato, ossia nei casi in cui è presente una prevelente componente tecnologica specialistica (il limite si potrebbe fissare, ad esempio, al 75% dell’importo complessivo dei lavori). E’ infatti scandaloso l’abuso che ne viene fatto oggi, sia perché la pubblica amministrazione rinuncia, in questo modo, ad avere il controllo sull’opera, sia perché la stessa costringe ad eseguire progetti completi a decine di imprese e centinaia di professionisti, pagando solo il progetto che verrà scelto. Questo, oltre ad essere incostituzionale, costituisce un impoverimento per l’intera società visto che, alla lunga, le imprese e gli studi che lavorano senza essere pagati falliscono e si perdono irrimediabilmente competenze e posti di lavoro.
- ricorso preferenziale all’incarico fiduciario sottosoglia (40.000,00 €) perché rappresenta, nello spirito della legge, uno strumento per conservare le competenze nel territorio e favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Oggi, invece, molti RUP preferiscono indire gare al massimo ribasso, anche con procedura aperta, per importi ridicoli (anche qualche centinaia di euro) facendo perdere tempo e soldi all’amministrazione.
- applicazione generalizzata del D.M.143/2013 per la determinazione degli onorari da porre a base di gara con obbligo di produzione, da parte del RUP, dell’elaborato in cui è riportato, nel dettaglio, il calcolo della parcella; detto elaborato è l’equivalente del computo metrico estimativo per i lavori, senza il quale nessun RUP si sognerebbe nemmeno di indire la gara d’appalto.
- eliminazione del criterio del massimo ribasso che è particolarmente deleterio perché, di fatto, nega una concorrenza leale, rispettosa delle regole, selezionando il mercato verso il basso.
Infine la nuova legge dovrebbe essere molto più snella, con disposizioni tese a favorire chi ha voglia di fare e di assumersi le proprie responsabilità in un contesto fiducioso nell’onestà intellettuale degli operatori, fermo restando che chi non rispetta le regole deve essere punito severamente e in tempi brevi. Ma veramente, non come succede adesso.
Forse così riusciremo a vincere la cultura del sospetto che inibisce il nostro operato e ci costringe a sprecare tutte le nostre energie nel soddisfacimento di procedure che, pensate per arginare la corruzione, impastoiano solo le persone oneste compromettendo la realizzazione dell’opera.
 

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