Edilizia
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Come ristrutturare gli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio

La recente modifica della definizione di ristrutturazione dei “beni tutelati” dovuta al “semplificazioni 2021” suscita dibattito sia di merito che operativo. L'Autrice ne riassume gli aspetti salienti riconducendoli alla corretta attuale interpretazione legislativa a fronte di dissonanti (pur se autorevoli) letture al fine di orientare gli operatori alla corretta applicazione

La recente modifica della definizione di ristrutturazione dei “beni tutelati” dovuta al “semplificazioni 2021” suscita dibattito sia di merito che operativo.

Quanto al merito l’Autrice ne riassume gli aspetti salienti riconducendoli alla corretta attuale interpretazione legislativa a fronte di dissonanti (pur se autorevoli) letture al fine di orientare gli operatori alla corretta applicazione.

Quanto all’operatività concreta esamina in dettaglio le inevitabili difficoltà interpretative che comunque si presentano nella pratica e che i professionisti dovranno risolvere.

L’individuazione dei gravami effettivamente esistenti sugli immobili non è sempre così palese come il rinvio legislativo parrebbe far credere e impone spesso un’attività specifica di “ricognizione” (Ermete Dalprato).


Ubi maior minor cessat” professa un noto motto latino, per cui non possiamo che adeguarci a quanto ribadito dal Ministero della Cultura in Commissione Ambiente con la risposta scritta del 22.09.2021 all’interrogazione proposta dall’On. Cortellazzo (reperibile al link https://parlamento18.openpolis.it/atto/documento/id/230712).

Va tuttavia evidenziato, soprattutto ai fini dell’ottenimento dell’incentivo previsto ex art. 119 L. 77/2020 (superbonus 110%), come, in concreto, debba applicarsi l’art. 3 co 1 lett. d) D.P.R. 380/01 che in relazione alla Ristrutturazione ricostruttiva (demolizione e ricostruzione) recita : “Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42,” (…) “gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.

 

Il recente dibattito interpretativo

Come noto il Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, con nota 7944 dell'11 agosto 2021 (commentata nell’articolo dell’Ing Dalprato “Ristrutturazione degli immobili tutelati: una storia infinita non priva di contraddizioni”) aveva sostenuto che la citata disposizione, con cui si impone un regime di maggior rigore per gli immobili vincolati, ossia la c.d. “ricostruzione fedelissima”, fosse applicabile certamente a:

  • immobili vincolati ai sensi della Parte seconda del Codice (beni culturali);
  • edifici vincolati secondo la  Parte terza del Codice (art 136 Codice).

Diversamente, in caso di immobili privi di valore storico, artistico o architettonico intrinseco ma posti in aree  sottoposte a vincolo paesaggistico (es art. 142 Parte III del Codice) il C.S.L. aveva ipotizzato (pur utilizzando il condizionale “dovrebbe” nel testo del citato scritto) che non vi fossero particolari ragioni di tutela che legittimassero una disciplina diversificata rispetto agli immobili non vincolati, rendendo pertanto possibile l’applicazione anche a detta categoria di beni della Ristrutturazione edilizia ricostruttiva ordinaria e della sua relativa disciplina.

Disciplina che ricomprende anche gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche diversi, il tutto accompagnato dalle necessarie innovazioni per l’adeguamento alle normative antisismica, sull’accessibilità, sull’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico.

In questo caso l’intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.

In ragione del chiarimento del Ministero competente (sollecitato per altro da Anci con comunicato del 09/09/2021), si dirada ogni dubbio sull’applicabilità anche per gli immobili privi di pregio ma ricadenti in aree vincolate del rigoroso regime normativo richiamato in principio nel caso di ristrutturazione edilizia ricostruttiva.

Ad onor del vero, militavano a sfavore di questa tesi:

  • il dato letterale della norma in discussione, considerato che il legislatore si riferisce genericamente agli immobili senza distinzione tra gli edifici/manufatti e le aree vincolate;
  • una serie di precedenti giurisprudenziali citati peraltro anche nella risposta del Ministero della Cultura,  maturati nell’ambito della precedente definizione normativa della Ristrutturazione ricostruttiva in cui  rimaneva invariato l’ambito oggettivo di riferimento, ovvero “gli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Dlgs 42/04”, ma conditio sine qua non per identificare la ricostruzione nell’ambito della ristrutturazione edilizia era la conservazione della sagoma del precedente edificio demolito.

 

Come operare?

Chiarito il contesto normativo in cui si deve operare, va da sé che i professionisti incaricati di presentare gli idonei titoli abilitativi per eseguire i lavori di demolizione e ricostruzione di questa tipologia di immobili, dovranno prestare particolare attenzione a:

  • corretto inquadramento del vincolo;
  • scelta del titolo abilitativo;
  • normativa urbanistica applicabile.

Corretto inquadramento del vincolo

Comprendere se si è in presenza di un immobile sottoposto a tutela ai sensi del D.lgs. 42/04 può comportare una serie di difficoltà, specie qualora si tratti delle aree vincolate  ope legis,  previste dall’art 142 D.l.gs 42/04.

Se in alcuni casi la delimitazione dell’area sottoposta a vincolo è rimessa a criteri oggettivi, dati da specifiche misure lineari (es. 300 mt dalla battigia, in disparte la determinazione di quale sia il limite di battigia, previsto ex art. 142 co 1 lett a), vi sono ipotesi in cui il perimetro di vincolo va ricavato in concreto dallo stato in fatto esistente, come  nel caso di aree coperte da boschi e foreste, oggi definiti dal D.lgs. 34/2018 (in seguito T.U.F., Testo unico in materia di foreste e filiere forestali; per il vincolo paesaggistico si veda l’art. 142 co. 1 lett g) D.lgs. 42/04).

La stessa giurisprudenza amministrativa riconosce trattarsi di un vincolo in divenire e da valutarsi di volta in volta in base allo stato di fatto attuale, a prescindere dalle destinazioni urbanistiche e catastali e dai precedenti usi (TAR Lombardia, Brescia, sez I 1008/2018).

A differenza di altri vincoli predeterminati dalla legge i limiti di tutela dei boschi non possono essere desunti da meri limiti oggettivi (si pensi alle fasce di rispetto fluviali- 150 mt dagli argini- o dell’arenile- 300 mt dalla linea di battigia) ma vanno individuati in presenza di due elementi

  1. uno quantitativo, dato dall’estensione del bosco secondo i limiti minimi fissati dall’art 3 del TUF;
  2. uno qualitativo, dato dalla presenza di un “bene paesaggistico” non limitato all’area coperta da alberi ma comprensivo anche delle aree alla stessa normativamente assimilate secondo le definizioni del TUF.

La perimetrazione cartografica del vincolo in discussione (sia essa derivante dalle carte forestali o da altri strumenti cartografici allegati agli atti di pianificazione) ha valore meramente ricognitivo ed indiziario sia in ordine alla sussistenza del vincolo che ai suoi specifici limiti spaziali.

In casi come questi non vi è altra soluzione che interpellare preventivamente le Autorità preposte alla co-gestione del vincolo paesaggistico, Comune e Soprintendenza competente per territorio, affinché determino nel caso concreto e, più in generale, perimetrino nell’ambito delle carte dei vincoli le aree tutelate in discussione.

Sempre in relazione alle aree vincolate ex lege il professionista abilitato dovrà valutare se operi l’esclusione prevista dall’art. 142 co 2 D.lgs. 42/04 a mente del quale le aree, pur rientrati in quelle astrattamente descritte dal primo comma della disposizione da ultimo citata, non saranno sottoposte a vincolo se alla data del 6 settembre 1985 :

  • a) erano delimitate negli strumenti urbanistici, ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee A e B;
  • b) erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, come zone territoriali omogenee diverse dalle zone A e B, limitatamente alle parti di esse ricomprese in piani pluriennali di attuazione, a condizione che le relative previsioni siano state concretamente realizzate;
  • c) nei comuni sprovvisti di tali strumenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865.

In caso di esclusione dal vincolo per l’immobile d’interesse potrà trovare applicazione la disciplina meno rigorosa della ristrutturazione ricostruttiva ordinaria.

 

Scelta del titolo edilizio

In ragione di quanto testé precisato, non possono esservi dubbi che nel caso in cui la ricostruzione dell’immobile tutelato non avvenga rispettando tutti i parametri previsti dal Legislatore (sagoma, sedime ect), saremo innanzi ad una nuova costruzione assentibile con preventiva istanza di permesso di costruire, anche solo se nell’ambito della ricostruzione vengano modificati i prospetti attraverso la variazione della posizione delle aperture esterne.

Questo escluderebbe peraltro, in forza del limite imposto dall’art. 119 L 77/2020, che la demolizione e ricostruzione dell’edificio possa godere del Superbonus 110%.

In merito ai parametri dell’edificio esistente da mantenere, se le definizioni di sagoma, prospetti, area di sedime e volume non pongono particolare problemi, avendo presenti le Definizione Tecniche Uniformi nazionali assunte con il Regolamento edilizio tipo (GU n 268 del 16/11/2016, nelle DTU non vengono definiti i prospetti per cui il supporto può essere dato unicamente dalla giurisprudenza intervenuta in tema),  così non è in ordine a quella di conservazione delle  caratteristiche  tipologiche dell'edificio preesistente.

Sul punto era intervenuta la circolare del 02/12/2020 congiunta MIT e MFP con cui si era specificato che il riferimento legislativo alle “caratteristiche tipologiche” dovesse leggersi in stretta correlazione con il concetto di “elementi tipologici” contenuto nella definizione di restauro e risanamento conservativo i cui alla lett. c) del medesimo art. 3 D.P.R. 380/01.

La circolare statuisce che “Pertanto, si tratta di una nozione da non sovrapporre a quella di destinazione d’uso dell’edificio – la quale è stabilita dal titolo abilitativo sulla base delle norme urbanistiche di riferimento – e che ha un contenuto al tempo stesso architettonico e funzionale, individuando quei caratteri essenziali dell’edificio che ne consentono la qualificazione in base alla tipologia edilizia (p.es. costruzione rurale, capannone industriale, edificio scolastico, edificio residenziale etc.)”.

Per restringere i margini interpretativi lasciati aperti dalle specifiche ministeriali, vale la pena citare gli assunti della giurisprudenza penale (Corte di Cass. Pen sez III 35390/2010)  in tema di  restauro e risanamento conservativo, intervento per cui il legislatore (art 3 co 1 lett c) Dpr 380/01) impone di mantenere inalterati  gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio.

Come ristrutturare gli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio

Come si individuano gli elementi tipologici, formali e strutturali?

Questi ultimi vengono definiti come:

  • Elementi tipologici: sono quei caratteri architettonici e funzionali che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie (es. costruzione rurale, capannone industriale, edificio scolastico, edificio residenziale unifamiliare o plurifamiliare, edificio residenziale signorile, civile, popolare etc.);
  • Elementi formali: quelli che determinano la cd. "iconicità" del manufatto intesa come quell'insieme di caratteristiche - disposizione dei volumi, elementi architettonici, particolari rifiniture - che lo distinguono e lo inquadrano in modo peculiare. Il restauro ed il risanamento conservativo non possono incidere con quella che può definirsi "l'immagine caratteristica dell'edificio", secondo una specifica valutazione da operarsi in relazione a ciascun caso concreto;
  • Elementi strutturali sono, infine, quelli che compongono materialmente la struttura stessa (anche non portante) dell'organismo edilizio: es. muratura in pietrame, struttura portante in cemento armato, tetto in coppi etc.

Provando a calare quanto sopra su un caso concreto, per quel che interessa, nell’ambito della ristrutturazione edilizia ricostruttiva nell’ipotesi, non improbabile, in cui dovesse trattarsi di un immobile condonato a civile abitazione (pur se realizzato con materiali precari) dovranno conservarsi le preesistenti sagoma, volume, area di sedime, prospetti, conformazione planovolumetrica mentre per quanto riguarda il mantenimento degli elementi tipologici dell’edificio esistente, potranno essere invece variati i materiali di riedificazione (elementi strutturali secondo la tripartizione di cui sopra) purché si distingua comunque un edificio residenziale.

In questa ipotesi di ricostruzione fedelissima l’intervento si qualificherà di ristrutturazione edilizia e sarà assentibile previa presentazione di una SCIA.

In entrambe le ipotesi, ovvero sia che l’intervento si qualifichi di ristrutturazione edilizia sia che si inquadri quale nuova costruzione, dovrà essere richiesta l’autorizzazione paesaggistica prevista dall’art 146 Dlgs 42/04 e tutti gli ulteriori atti di assenso e nulla osta.

 

Normativa urbanistica applicabile

Da ultimo va considerato che la diversa qualificazione dell’intervento tra nuova costruzione e ristrutturazione edilizia inciderà anche sulla normativa urbanistica concretamente applicabile e sull’onerosità dell’intervento.

Un esempio per tutti. Se l’immobile condonato di cui si diceva poco sopra, si trovasse in area vincolata ex lege posta in zona agricola, sarà compito delle Amministrazioni locali rimuovere, a determinate condizioni, il limite presente in molti strumenti urbanistici che consente interventi di nuova costruzione solo se funzionali all’attività dell’imprenditore agricolo professionale (in disparte la necessità che vengano anche aggiornati gli strumenti sovraordinati a quelli comunali).

Nel caso richiamato, solo ove la strumentazione urbanistica consenta per l’ambito specifico d’intervento la nuova costruzione a prescindere dalla presenza dello IAP, sarà possibile ricostruire lo stesso volume demolito ma modificando uno dei parametri sopra illustrati.

In termini di onerosità solo qualora la ricostruzione sia fedelissima si potranno utilizzare i parametri di determinazione del complessivo contributo di costruzione riferiti alla Ristrutturazione edilizia. Altrimenti il riferimento andrà fatto agli oneri previsti per la nuova costruzione.

E’ evidente, anche in questo caso, la ingiustificata disparità di trattamento rispetto a questa tipologia di immobili ed il conseguente disincentivo al loro recupero, il che porta ad dover fare una chiosa finale.

Anche se gli immobili vincolati fossero stati esentati dalla restrizione normativa in commento, vi sarebbe stato comunque il vaglio degli Enti preposti alla salvaguardia del vincolo.

Pare pertanto che la scelta legislativa di stringere le maglie della ristrutturazione edilizia ricostruttiva di immobili vincolati, se da un lato non accentui la tutela del vincolo presidiata dal rilascio di autorizzazione paesaggistica all’intervento, dall’altro impedisca, stante le limitazioni viste, il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente incentivato oggi sotto il profilo fiscale ma auspicabile altresì per “progettare bellezza” e dare corso agli obbiettivi di rigenerazione urbana ed extraurbana.


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