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È morto Papa Francesco, colui che ha difeso la terra e l'umano senza incertezze

Papa Francesco è morto a 88 anni. Primo pontefice latinoamericano, ha guidato con coraggio la Chiesa verso l’inclusione, la giustizia sociale e ambientale. Un pontificato segnato da gesti profetici, riforme profonde e un messaggio universale di fraternità. In questo articolo personale, racconto il suo lascito umano e spirituale.

La morte di un pontefice che ha scelto di non piacere a tutti

È morto Papa Francesco. Aveva 88 anni.

È morto il primo Papa gesuita, il primo latinoamericano, ma soprattutto il primo pontefice dell’era moderna ad aver compiuto una rottura così netta e coraggiosa con la tradizione recente della Chiesa cattolica.

Salito al soglio pontificio nel 2013 dopo le dimissioni di Benedetto XVI, Francesco non ha mai avuto l’intenzione di essere un papa di transizione.

Al contrario: ha scelto di essere un Papa con una direzione chiara, spesso scomoda, che ha preferito i margini al centro, le domande alle risposte preconfezionate, la prassi pastorale alla purezza dottrinale. E che ha fatto della prossimità ai poveri, agli emarginati, agli ultimi – migranti, vittime di abusi, omosessuali, carcerati – non un gesto di carità ma un atto politico, nel senso più alto e cristiano del termine.

Un Papa che ha posto una posizione forte sulla difesa dell'ambiente (ne parlerò più avanti). È il Papa che ci ha detto "O ci salviamo tutti, o non si salva nessuno."

Francesco è stato un Papa netto.

Non perfetto, non lineare, spesso contraddittorio. Ma mai ambiguo. Ha parlato chiaro quando ha potuto, e ha taciuto quando ha ritenuto che il silenzio fosse più eloquente della polemica. Ha affrontato nemici interni ed esterni, ha scontentato i conservatori e deluso i progressisti. Ha aperto processi più che chiuso questioni. Ha scompaginato gli equilibri vaticani con uno stile imprevedibile, fatto di gesti più che di decreti, di improvvise aperture e decise frenate.

È stato un Papa capace di farsi amare e odiare. Ma mai di lasciare indifferenti.

  

Papa Francesco

      

Chi era Papa Francesco

Papa Francesco nacque a Buenos Aires, il 17 dicembre 1936, con il nome di Jorge Mario Bergoglio. Era il primogenito di Mario Bergoglio, impiegato ferroviario, e Regina Sivori, casalinga, entrambi di origine italiana. La famiglia, di salda tradizione cattolica, proveniva dal Piemonte: il nonno paterno era originario di Portacomaro, un piccolo comune in provincia di Asti.

La storia della sua famiglia è segnata da un destino sfiorato e scampato: i nonni, inizialmente prenotati sulla nave Principessa Mafalda, che sarebbe affondata durante la traversata verso l’Argentina, partirono con una nave successiva, evitando così una tragedia che avrebbe potuto cambiare il corso della storia familiare — e forse della Chiesa stessa.

Cresciuto in un quartiere popolare della capitale argentina, Flores, Bergoglio mostrò fin da giovane un animo riflessivo, amante della lettura e della filosofia, ma anche vicino alla gente, semplice e diretto. Lavorò in un laboratorio chimico e faceva il buttafuori nei locali da ballo dove si suonava il tango. Ma fu a 17 anni, entrando per caso nella basilica di San Giuseppe, che sentì la chiamata al sacerdozio. Lì, secondo il suo stesso racconto, entrò a confessarsi e uscì con la consapevolezza: “Devo farmi prete”.

Entrato nella Compagnia di Gesù, fu ordinato sacerdote nel 1969. Divenne rapidamente una figura di riferimento nei Gesuiti argentini, di cui fu superiore provinciale a soli 36 anni.

Ma il suo mandato fu segnato da forti tensioni, soprattutto durante gli anni bui della dittatura militare argentina. Bergoglio, accusato da alcuni di non aver protetto due sacerdoti arrestati dal regime, visse un lungo periodo di silenzio e riflessione, quasi un esilio interiore, in una casa di preghiera a Córdoba. Quella stagione, che lui stesso definì un tempo di purificazione, lo plasmò profondamente.

Quando ne uscì, tornò lentamente ai vertici della Chiesa argentina, fino a diventare arcivescovo di Buenos Aires nel 1998 e cardinale nel 2001. Da lì in poi, il suo stile pastorale — semplice, attento ai poveri, centrato sul Vangelo più che sulla dottrina — cominciò a farsi notare, soprattutto fuori dal continente latinoamericano.

E quando nel 2013 fu eletto papa, sorprendendo il mondo, scelse il nome Francesco, mai usato prima, come segno del programma di pontificato che intendeva portare avanti: povertà, fratellanza, custodia del creato.

   

Laudato sì

L’enciclica della Terra: l’impegno ambientale di Francesco

Nel corso del suo pontificato, Papa Francesco ha scritto tre encicliche:

  • Lumen Fidei (2013), completata in realtà in gran parte dal suo predecessore Benedetto XVI,
  • Laudato si’ (2015),
  • Fratelli tutti (2020).

Ma è con Laudato si’, sottotitolata significativamente Sulla cura della casa comune, che il Papa argentino ha lasciato un’impronta profonda nella coscienza ecologica globale.

Pubblicata il 24 maggio 2015, a pochi mesi dalla COP21 di Parigi, l’enciclica ha avuto un’eco mondiale ben oltre i confini ecclesiali, diventando un testo di riferimento per scienziati, ambientalisti, politici e movimenti sociali.

Francesco, primo papa a scegliere il nome del Poverello di Assisi, ha intrecciato teologia, scienza, spiritualità e critica economica in un documento che non parla solo ai cattolici, ma a “ogni persona che abita questo pianeta”.

La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune include la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale” (LS, 13).

Con Laudato si’, Francesco ha introdotto con forza il concetto di ecologia integrale, affermando che non esiste una crisi ambientale separata da quella sociale: i poveri e la Terra gridano insieme. Il degrado dell’ambiente naturale è specchio e conseguenza del degrado delle relazioni umane, dello sfruttamento, della cultura dello scarto. E l’unica via d’uscita passa per una profonda conversione del cuore e dei modelli economici dominanti.

“Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale” (LS, 139)

Papa Francesco non ha avuto paura di usare parole forti contro un capitalismo disumanizzante, contro il mito della crescita illimitata, contro una tecnoscienza che si crede autonoma da ogni limite etico. Ha lanciato un appello alla responsabilità collettiva, alla sobrietà, alla giustizia intergenerazionale e alla custodia del creato come compito sacro.

Ha parlato alla mente, ma soprattutto al cuore.

Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura della natura con il reddito finanziario, o la preservazione dell’ambiente con il progresso. Su questi temi le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro” (LS, 194).

   

Laudate Deum

Il grido della terra si è fatto più urgente

Il 4 ottobre 2023, in occasione della festa di San Francesco d’Assisi, Papa Francesco ha pubblicato Laudate Deum, un’esortazione apostolica che può essere letta come il seguito diretto della Laudato si’.

Se nella prima enciclica il Papa denunciava le radici culturali e sistemiche della crisi ecologica, in Laudate Deum alza ulteriormente il tono, mettendo in discussione non solo l’inazione dei governi, ma anche la retorica vuota e autoreferenziale di molti summit internazionali sul clima.

Non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura” (LD, 2).

Francesco riconosce i progressi insufficienti degli accordi internazionali, denuncia l’ipocrisia di chi usa le parole della sostenibilità per proseguire indisturbato pratiche distruttive e invita a un cambio di passo concreto, soprattutto in vista della COP28 che si sarebbe tenuta a Dubai.

Si possono moltiplicare le conferenze, ma ciò non ha senso se non si sviluppano forme di pressione da parte dei settori della società” (LD, 38).

La Laudate Deum è anche un testo politico, ma nella sua accezione più nobile: chiama all’assunzione di responsabilità le classi dirigenti e allo stesso tempo invita ogni persona, ogni comunità, ogni fede, a una conversione ecologica che sia personale, ma anche istituzionale, collettiva, profonda.

In un mondo segnato da divisioni, Francesco vede nell’alleanza tra le religioni una forza morale in grado di incidere. E non solo: in un’epoca segnata dalla tecnocrazia, richiama alla centralità della coscienza, della cura, della relazione come chiavi per una nuova civiltà.

Non bastano tecniche e strumenti. Serve una visione, una cultura che sia anche spirituale. Senza uno sguardo contemplativo, non ci sarà vera ecologia integrale” (LD, 65).

  

Enciclica Fratelli tutti

La fraternità come risposta politica e spirituale

Pubblicata il 3 ottobre 2020, a Assisi, sulla tomba di San Francesco, Fratelli tutti è la terza enciclica di Papa Francesco, ed è forse il documento che più di ogni altro esprime la sua visione geopolitica del Vangelo.

Se con Laudato si’ il Papa aveva lanciato un appello planetario alla cura della Terra, con Fratelli tutti ha offerto una riflessione radicale e concreta sulla necessità di una nuova cultura dell’incontro, capace di superare muri, nazionalismi, indifferenza, razzismo, sfruttamento.

Sogno una Chiesa come madre, come sorella, come casa dell’armonia, in cui tutti trovano posto, e nessuno viene scartato.” (FT, 276)

Ispirandosi al santo di Assisi, Francesco propone la fraternità come stile, metodo e orizzonte, non solo per i cristiani ma per tutta l’umanità. In un mondo attraversato da nuove guerre, disuguaglianze crescenti e migrazioni di massa, l’enciclica denuncia con forza la cultura dello scarto, la chiusura identitaria, e l’ideologia della paura.

Tra le immagini più forti del testo c’è quella del buon samaritano come modello di cittadino globale: un uomo che si ferma, cura, si fa carico dell’altro, senza chiedere chi sia.

O ci salviamo tutti, o non si salva nessuno.” (FT, 137)

"Fratelli tutti" rappresenta anche il coronamento di un processo interreligioso: è la naturale prosecuzione del Documento sulla Fratellanza Umana firmato ad Abu Dhabi nel 2019 con il Grande Imam di Al-Azhar. È un testo che parla a credenti e non credenti, un manifesto per un’etica della prossimità e per una politica come forma alta di carità.

La politica non deve sottomettersi all’economia, e l’economia non deve sottomettersi ai dettami dell’efficienza tecnocratica.” (FT, 177)

Nel pieno della pandemia da Covid-19, Francesco ha ricordato al mondo che la solitudine dell’io non è salvezza, ma malattia, e che solo la fraternità è una risposta all’altezza delle sfide globali.

        

Una testimonianza vissuta: gesti, scelte, alleanze

Per Papa Francesco la cura del creato non è mai stata una semplice tematica da aggiungere all’agenda ecclesiale.

È stata un modo di guardare il mondo e stare nel mondo. Fin dal primo giorno del pontificato, ha scelto la sobrietà dei gesticome cifra del suo ministero: ha abitato la residenza di Casa Santa Marta invece dei sontuosi appartamenti papali, si è mosso in auto utilitarie, ha evitato il linguaggio pomposo. Ha incarnato l’idea che la sobrietà è bellezza, che il potere spirituale è credibile solo se è coerente.

Sul piano internazionale, ha portato l’urgenza climatica al centro della diplomazia vaticana, intervenendo nei vertici ONU sul clima, sostenendo la mobilitazione dei giovani dei Fridays for Future, incoraggiando con forza l’impegno scientifico e accademico. Ha favorito alleanze interreligiose sul tema della casa comune, costruendo un dialogo profondo soprattutto con l’Islam, come nel Documento sulla fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi con il Grande Imam di Al-Azhar.

Ha voluto che il primo viaggio del suo pontificato fosse a Lampedusa, simbolo delle frontiere neglette dell’umanità, e ha collegato sempre più esplicitamente la crisi ambientale a quella migratoria, mettendo in luce un’evidenza che ancora molti si rifiutano di vedere: sono i più poveri a pagare il prezzo più alto della crisi climatica.

Papa Francesco non ha separato mai l’ecologia dalla giustizia.

Per lui, la vera ecologia non è verde, è umana. E la conversione ecologica non è una strategia per salvare il pianeta, ma una scelta spirituale per ritrovare noi stessi nella relazione con gli altri, con la natura, con Dio.

A titolo personale ho letto le sue Encicliche e alcune altre pubblicazioni, tra cui l'ultima Dilexit Nos, la "Lettera enciclica sull'amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo".

Mi ero segnato alcune frasi che mi avevano colpito.

Per esempio "nella società di oggi l'essere umano rischia di smarrire il centro di se stesso", un messaggio estremamente moderno, che ritroviamo in tanti filosofi e sociologi che spesso richiama nei suoi scritti, da Zygmunt Bauman ad Byung-Chul Han. Nell'era dell'infodemia, dell'egometria, dell'autoriferimento sistematico, di un’ossessione dell’epoca contemporanea per la centralità dell’individuo, la sua immagine, il suo prestigio, la sua autoaffermazione. Che Papa Francesco stigmatizza e affronta senza mezzi termini ricordandoci che "nell'era dell'intelligenza artificiale per salvare l'umano sono necessari la poesia e l'amore".

L'importanza quindi di riconoscere il valore del rapporto, del contatto, della presenza, della carnalità. Papa Francesco di ricordava che Gesù "se guariva qualcuno preferiva toccarlo, usava anche impastare terra e saliva". Ci ricordava così il senso della venuta di Cristo sulla terra, del "verbo che si è fatto carne", evidenziandoci, ricordandoci, che "chi non ama il suo fratello che non vede non può amare Dio che non vede".

E sul futuro della terra, sulla salvaguardia di questo Creato che ci è stato donato ricorda che è necessario "riconoscere che siamo a debito, e non a credito".

Questo è il Papa che porterò nel mio ricordo, nel segno della crescita che ha lasciato nel mio cuore e nella mia mente.

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