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Il Paradigma dell'(In)evitabilità del Cambiamento nel Settore delle Costruzioni: dalla Classe A al Formato .BIM

Il Paradigma dell'(In)evitabilità del Cambiamento nel Settore delle Costruzioni: Dalla Classe A al Formato .BIM

Gli studi più recenti sul mercato delle costruzioni in Italia fanno presagire che la ripresa del settore sia ormai in atto, sia pure con tassi di crescita piuttosto contenuti, ma costantemente tendenziali, al netto di fattori esogeni.
È ovvio che l'interrogativo principale per chi si occupa di processi legati all'innovazione verta sulla attitudine degli operatori economici a ripiegare sulle posizioni note e consolidate non appena gli elementi della recessione tendano a svanire.
Di conseguenza, occorre domandarsi se la desertificazione avvenuta negli scorsi anni, alla fine del sesto ciclo edilizio, abbia veramente condotto a fenomeni irreversibili oppure se il comparto possa ritornare a rinchiudersi in se stesso, come esso vorrebbe, con tutta evidenza, al netto della retorica di rito sul cambiamento e sull'innovazione.
Vi sono, in effetti, due aspetti che forse consentono di provare a formulare qualche ipotesi tentativa: essi riguardano l'Economia Circolare e Digitale.
Per il primo risvolto, il tema dell'efficienza energetica da lungo tempo è stato posto al centro dell'attenzione, causando anche degli spostamenti di rapporti di forza negoziale nell'Accademia, nelle Scuole di Architettura e di Ingegneria, dall'Ingegneria Strutturale all'Ingegneria Energetica.
Le conoscenze e le competenze corrispondenti si sono, però, riversate sulle prassi del mercato piuttosto lentamente nel tempo e solo recentemente la componente nominale è, in parte, stata sostituita da quella sostanziale.
Allo stesso tempo, tuttavia, per quanto tutte le rappresentanze professionali inneggino all'efficientamento energetico e ambientale, i saperi operativi diffusi in materia appaiono ancora piuttosto sommari, difficilmente compatibili col nanismo dimensionale degli studi professionali, e la remunerazione delle corrispondenti prestazionali professionali non sempre è, per usare un eufemismo, proporzionata alla complessità delle stesse.
A ogni modo, piuttosto acriticamente, qualsiasi soluzioni che mirasse all'efficienza energetica e ambientale è stata considerata come incrementale della qualità del progetto e dell'organismo edilizio realizzato.
Con molto maggiore ritardo, invece, la tematica della digitalizzazione si è affacciata sul proscenio sotto le sembianze del cosiddetto Building Information Modeling e, così come per l'attestazione delle prestazioni energetiche, anche in questo caso si assiste a un florilegio improvviso di esperti in BIM Management.
Al momento, dunque, è probabilmente corretto affermare di essere in presenza di notevoli fenomeni di washing, di sedicenza, che, grazie agli incentivi fiscali, per ora hanno rafforzato la micro committenza, la micro professionalità e la micro imprenditorialità.
Per certi versi, si può tranquillamente affermare che un universo di professionisti, produttori, costruttori, distributori e quant'altri siano stati, in molti casi, profondamente fiaccati e indeboliti dalla crisi, ma che la recessione non abbia in alcun modo in essi ridestato un interesse per il cambiamento e per l'innovazione.
Una prima risposta ipotetica a questa domanda riguarda la possibilità di distinguere una stratificazione di sotto-mercati che procedano a diverse velocità, ma, allo stato attuale, non è dato identificare, invero, una moltitudine di campioni, che abbiano precocemente adottato soluzioni innovative, investendovi ingenti risorse proprie, se non in sporadici casi, quasi sempre non emersi.
Oltre a ciò, la categoria dell'innovazione si preferirebbe fosse declinata sul piano delle tecnologie e dei prodotti, non certo su quello dei metodi e dei processi.
Tutta la storia, peraltro, della cultura industriale nel settore delle costruzioni nel Nostro Paese, specialmente nella seconda metà del secolo scorso, parla di una reiterata volontà a ostacolare la diffusione di impostazioni sistematiche e sistemiche e, al contrario, racconta di successi maturati proprio a dispetto delle tematiche innovative.
Per queste ragioni, suona abbastanza inverosimile parlare in maniera convincente di edifici a prestazioni energetiche positive e di edifici sensorizzati.
Tutte le riflessioni e gli scenari più avanzati e stimolanti, allorché sono proposti al pubblico professionale e imprenditoriale nostrano frammentato e polverizzato, sono accolti con indifferenza, con disorientamento, con atarassia: nel migliore dei casi, con un prevedibile riduzionismo.
È possibile, perciò, essere davvero credibili nell'immaginare di sollecitare una parte considerevole del settore al mutamento, all'evoluzione, nel ritenere che gli avanzamenti nei settori dell'industria di prodotto e di servizio possano stimolare gli attori di un comparto così riluttante?
La risposta deve essere parzialmente negativa, permeata da scetticismo.
Eppure è possibile partire da alcune considerazioni che riguardano le risorse finanziarie e i prodotti immobiliari.
Le prime, infatti, sono sempre più scarse, sempre meno detenute dalla domanda pubblica, sempre più esigenti in materia di mitigazione del rischio di insuccesso e, di conseguenza, alla ricerca di quadri contrattuali inediti.
I secondi risentiranno sempre maggiormente delle esigenze mutevoli della popolazione in termini anagrafici e composite in termini culturali, sicché, in sintonia con gli schemi finanziari e contrattuali basati su risultati da conseguire nel corso del tempo, il prodotto immobiliare diviene versatile ed evolutivo.
Al momento, gli emblemi di tutto ciò sono i cosiddetti termostati intelligenti, non a caso prodotti da due soggetti significativi: Google e Saint Gobain.
Essi, infatti, tra recettori e attuatori, auto apprendono dai profili comportamentali delle utenze al fine di conseguire gli esiti attesi in maniera personalizzata.
Oltre a queste considerazioni, però, l'avvenire prospetta la diffusione di componenti edilizi, non solo impiantistici, sensorizzati, in grado di misurare e di comunicare in tempo reale l'entità delle prestazioni realmente offerte e di mantenersi telemetricamente in contatto con i propri produttori e utenti.
È evidente che l'approccio alla misurazione delle prestazioni non assume più un carattere normativamente statico, bensì diviene tendenzialmente situazionale e adattato all'individualizzazione.
Insomma, le logiche finanziarie e i quadri contrattuali implicano e, addirittura, impongono condizioni di collaborazione e di integrazione tra soggetti costitutivamente conflittuali e antagonisti, mentre le soluzioni tecnologiche smontano una concezione, appunto, nominale, puntuale e statica della prestazionalità.
Entrambe queste tendenze rivelano come la nozione di servizio, e, perciò, di intangibilità, abbia un valore profondamente trasformativo per un settore che non predilige di certo il rimettere in discussione ruoli, identità e responsabilità: rispettivamente definiti, circoscritte, limitate.
Come potrà concludersi una simile disfida?
È molto difficile a dirsi: apparentemente il costruito, la sua prevalenza in termini oggettuali e quantitativi nei segmenti di mercato, sembra di per se stessa opporsi a una siffatta impostazione. Le sue rigidità, che appartengono a un passato protratto e consolidato, risultano troppo forti per essere piegate a una nozione di servitizzazione del bene immobiliare, particolarmente in Paesi come l'Italia e la Germania.
Nel Nostro Paese, specialmente, si vorrebbero rafforzare le Economie Circolari e Digitali lasciando del tutto inalterati gli assetti e le mentalità.
Qualunque tentativo riformista e riformatore, in queste condizioni, potrebbe essere facilmente neutralizzato utilizzandone le stesse locuzioni e i medesimi strumenti.
Da qui una probabile esplosione di edifici a energia quasi zero e di BIM Manager.
Ma altrove, la posta in gioco sembra essere altra, la traduzione di categorie delle digitalizzazione come Industrie 4.0 o Internet of All Things and Services fa intravedere un disegno strategico radicalmente innovativo, profondamente incompatibile con gli equilibri consolidati.
Sarà mai possibile cambiare il settore delle costruzioni in Italia? Di sicuro, come detto, tale prospettiva non è auspicata all'interno del settore né la qualificazione attuale della committenza pubblica e privata sembra consentirlo.
Solo le istituzioni finanziarie, con ogni probabilità, potrebbero riuscire nell'intento di rimescolare le carte sul tavolo se ritenessero insufficiente la credibilità degli operatori in funzione della entità del rischio assunto. In altri Paesi, però, ove il settore appare, peraltro, inizialmente e costitutivamente affine al Nostro, qualcosa si sta muovendo, sia pure con notevole lentezza, endogeneamente verso una trasformazione delle mentalità, dei processi e delle responsabilità. E i maggiori campioni (inter)nazionali sono alfieri, magari strumentali, del cambiamento e dell'innovazione. Questo è il fattore su cui stiamo maturando il maggiore ritardo in materia di politiche e di strategie industriali per il settore delle costruzioni. Dobbiamo confidare, alla fine, in un rigetto altrui?