Il vespaio è una proprietà esclusiva del condomino?
La Cassazione chiarisce che il vespaio sottostante un’unità immobiliare al piano terra, se realizzato con funzione esclusiva per quell’appartamento e privo di utilità per l’edificio, è pertinenza privata. Nessun rimborso condominiale per gli interventi di manutenzione.
Il vespaio sottostante al pavimento del piano terra, costruito mediante stesura di materiale inerte, che assolve una funzione esclusivamente isolante e di separazione tra la superficie del suolo e la soletta dell’unità immobiliare, non rientra tra le parti comuni dell’edificio, ma costituisce una pertinenza dell’appartamento al piano terra.
Le spese per la sua manutenzione, pertanto, non sono condominiali e non dànno diritto al rimborso da parte del condominio. Lo precisa la sentenza della Corte di Cassazione n. 8252 pubblicata il 28 marzo 2025.
Parte comune o pertinenza esclusiva del condomino?
La sentenza si confronta con una questione delicata e spesso dibattuta nei contesti condominiali: la natura giuridica del vespaio sottostante ad un alloggio situato al piano terraneo e, di conseguenza, la possibilità per il condomino che vi abbia eseguito interventi manutentivi di ottenere il rimborso delle relative spese.
La Cassazione ha esaminato la problematica ponendosi la domanda se il vespaio - spazio intermedio normalmente riempito con materiale inerte e posto tra il terreno naturale e il solaio del pianterreno - possa considerarsi una parte comune dell’edificio (ai sensi dell’art. 1117 c.c.) oppure debba essere qualificato come pertinenza esclusiva dell’appartamento sovrastante.
Nel diritto condominiale, l’art. 1117 c.c. individua una serie di beni che, in mancanza di diverso titolo, si presumono comuni.
Tuttavia, come precisato dalla Corte, tale elencazione non può essere interpretata rigidamente, ma deve essere letta in chiave funzionale e strutturale: è necessario valutare l’uso effettivo e la destinazione oggettiva del bene.
La funzione del vespaio
La Corte d’Appello di Firenze, con un accertamento di fatto insindacabile in Cassazione, ha osservato che nel caso di specie il vespaio:
- a) era stato realizzato a vantaggio esclusivo dell’appartamento al piano terra,
- b) non svolgeva una funzione di copertura o sostegno per altre parti dell’edificio,
- c) non era accessibile né funzionale agli altri condòmini,
- d) era composto da un semplice riempimento in materiale inerte e non da una intercapedine tecnica utilizzabile o ispezionabile.
Tali elementi hanno condotto gli Ermellini ad escludere che si tratti di un bene condominiale: il vespaio, infatti, non è essenziale alla stabilità o funzionalità dell’intero stabile, ma serve solo a migliorare le condizioni abitative dell’unità immobiliare situata al piano terra.
La diversa posizione della Procura Generale di Cassazione
Interessante è il rilievo critico del Pubblico Ministero il quale, richiamandosi ad un orientamento più recente, ha sostenuto che la funzione del vespaio - indipendentemente dalla tecnica costruttiva - sarebbe quella di proteggere l’edificio dalla umidità di risalita dal suolo comune assolvendo, perciò, ad una funzione a vantaggio collettivo.
Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto tale impostazione ritenendo che non si possa prescindere da una valutazione concreta dello stato dei luoghi e ribadendo la necessità di considerare l’effettiva struttura e funzione del manufatto. L’elemento dirimente non è tanto la finalità astratta, quanto l’utilizzo concreto e la destinazione esclusiva.
Continuità con la giurisprudenza pregressa
Riprendendo un orientamento risalente (Cass. n. 6357/1993, n. 1632/1983), la Corte ha chiarito che il vespaio posto sotto il piano terra, riempito con materiale inerte, non ha funzione portante né è destinato all’uso comune.
Perciò servendo esclusivamente ad isolare l’appartamento dal suolo non può considerarsi bene comune essendo parte integrante dell’unità immobiliare del piano terraneo.
Le conseguenze sul piano economico
La seconda questione affrontata riguarda le spese sostenute dal condomino per la manutenzione del vespaio.
Esclusa la natura condominiale del bene, la Cassazione ha conseguentemente negato che si tratti di spese per beni comuni. In base all’art. 1134 c.c., il condomino può ottenere il rimborso delle spese effettuate per la conservazione delle cose comuni solo se queste sono urgenti e necessarie.
Tuttavia, nel caso di specie, mancando il presupposto della «comunanza» del bene, la Corte ha ritenuto inapplicabile la norma. Anzi, ha ribadito (in continuità con Cass. n. 5264/1983) che l’art. 1134 c.c. non si applica alle spese che un condomino sostiene su beni esclusivi, anche se migliorativi, purché non abbiano rilevanza per la conservazione dei beni comuni.
L’indirizzo contrapposto
Per completezza, va dato atto della presenza di un orientamento esattamente contrapposto volto a ritenere il vespaio un bene comune.
Sulla questione, la giurisprudenza non è univoca.
In alcune pronunce è stato affermato che l’intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni, costituente il suolo dell’edificio, e il piano di calpestìo del pianterreno debba considerarsi bene comune ai sensi dell’art. 1117 c.c., ove non emerga un diverso assetto proprietario dai titoli.
Ciò in quanto essa assolve una funzione tecnica essenziale per l’intero edificio, garantendo la corretta aerazione e l’isolamento igrotermico, prevenendo fenomeni di umidità e infiltrazioni a beneficio sia dei piani interrati/seminterrati sia delle strutture portanti (fondazioni, pilastri), elementi indispensabili per la stabilità dell’intero fabbricato (App. Messina 6 settembre 2023, n. 731, Cass. 25 settembre 2018, n. 22720).
Conclusioni
La pronuncia annotata assume rilievo per due ordini di ragioni.
Stabilisce il criterio funzionale nella qualificazione delle parti comuni: perciò non basta una collocazione «intermedia» o «strutturale» di un manufatto per ritenerlo condominiale; occorre, invece, che assolva effettivamente ad una funzione comune.
Chiarisce il perimetro applicativo dell’art. 1134 c.c.: il diritto al rimborso spetta solo in relazione a spese su beni comuni, non anche su beni esclusivi sebbene poggianti su suolo comune.
In definitiva, la sentenza costituisce un importante punto fermo sulla necessità di una verifica concreta della funzione e destinazione dei beni condominiali per evitare indebite estensioni del concetto di «parte comune» e ingiustificati obblighi di contribuzione a carico degli altri condòmini.
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