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Indagini finanziarie in materia di accertamenti fiscali: le novità per i professionisti

Indagini finanziarie per accertamenti fiscali ai professionisti: il DL Fiscale ha soppresso la parola compensi nel passaggio della norma che prevede, alle stesse condizioni, di porre come ricavi delle stesse rettifiche e accertamenti

Cosa è cambiato per i professionisti per quel che riguarda le indagini finanziarie in materia di accertamenti fiscali? Le novità principali arrivano dal combinato tra il recente DL Fiscale 193/2016, che ha modificato l'art.32, comma 1 del dpr 600/1973, che ha apportato due modifiche riguardanti il mondo dei professionisti da un lato e i titolari di reddito di impresa dall'altro, e le conclusioni della sentenza 16440/2016 della Corte di Cassazione.

Procedendo con ordine, la modifica del DL Fiscale consiste nella soppressione della parola 'compensi' nel passaggio della norma che prevede "alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti". Per i titolari di reddito d’impresa (essendo interessate anche le società tra professionisti), invece, è stata introdotta una sorta di soglia di non applicazione della presunzione sui prelievi, stabilendo la non possibilità di contestazione se di ammontare non superiore 1.000 euro e comunque con un tetto massimo di 5.000 euro mensili.

Dalla presunzione di evasione anche con riguardo ai prelievi eseguiti alla sentenza della Corte Costituzionale 228/2014
La sentenza 228/2014 della Consulta cambiò il senso della normativa del 2005, che prevedeva la previsione della presunzione di evasione anche con riguardo ai prelievi eseguiti, applicabile per tutte le annualità ancora accertabili.

Per la Corte Costituzionale, “l’attività svolta dai lavoratori autonomi si caratterizza per la preminenza dell'apporto del lavoro proprio e la marginalità dell'apparato organizzativo, che è quasi del tutto assente nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell'attività svolta, come per le professioni liberali”. Ne deriva, quindi, la non ragionevolezza della presunzione sui prelievi, visto che gli stessi “vengono ad inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria”.

Per la Consulta, gli impedimenti per utilizzare la presunzione sui prelievi per i professionisti erano quindi il conto corrente promiscuo, l'utilizzo degli importi anche per finalità personali e la mancanza di obblighi specifici.

L'intervento del DL 193/2016
Il Collegato Fiscale, sull'onda della pronuncia sopracitata, ha eliminato quindi il dubbio di fondo sui prelievi operati dai professionisti: gli importi non sono mai contestabili da parte dell'Agenzia delle Entrate. Per quel che riguarda invece i versamenti, la legge consente di procedere ad un accertamento fiscale riferito a quelli ritenuti non giustificati in relazione a qualsiasi contribuente, anche privo di partita IVA.

La sentenza 16440/2016 della Corte di Cassazione
Non sono possibili, in relazione ai versamenti, determinati automatismi accertativi, essendo onere dell’Agenzia delle Entrate (amministrazione finanziaria) provare che gli stessi siano derivati da incassi "in nero" dell'attività professionale.

E' la massima di riferimento della pronuncia, che prende il là dal fatto che per i professionisti è 'naturale' incassare contanti e non sussitono obblighi specifici per gli adempimenti conseguenti, ovverosia:

  • il professionista può incassare anche 4.500 euro in contanti in una sola settimana per le prestazioni eseguite e regolarmente documentate;
  • il professionista può non versare immediatamente tali incassi e non c'è una legge che gli obblighi di versarli entro un determinato lasso di tempo;
  • il professionista può trattenere tali importi per destinarli a spese inerenti l'attività professionale o per utilizzi privati;
  • il professionista può, in definitiva, spendere una parte di quei 4.500 euro per acquisti inerenti l'attività professionale, trattenere un'altra parte per motivi privati e versare la settimana successiva ciò che resta in un conto corrente bancario.

Il fisco, pertanto, dovrà dimostrare la motivazione per cui ritiene il versamento 'residuo' non giustificato, mentre il contribuente dovrà dimostrare che i singoli versamenti siano estranei a fatti imponibili. Quel che va dimostrato è che il singolo versamento contestato sia estraneo ad un accadimento reddituale oppure che è riconducibile agli incassi regolarmente documentati, e non è necessaria quindi una dimostrazione "puntuale" (fattura corrispondente al versamento effettuato). C'è un limite 'a grandi linee', però: va dimostrato, cioè, che il fatturato annuo sia comunque superiore ai versamenti eseguiti.

Prelievi in contanti dei titolari di reddito da impresa
Qui vige la soglia massima di prelievi non contestabili, ovverosia su base giornaliera e mensile: i prelievi in contanti, anche se non risultanti dalle scritture contabili e non si è in grado di dimostrane la destinazione, non saranno contestati se di importo non superiore a 1.000 euro al giorno e comunque di importo non superiore a 5.000 euro al mese.

Va segnalato che l'Agenzia delle Entrate non si è ancora espressa invece sulla corretta modalità con cui si debbano intendere tali soglie in caso di più conti correnti del contribuente controllato, più soggetti titolari di conto corrente (conto cointestato) oppure l'indagine è estesa su conti correnti di terzi (soci, familiari, ecc.) che si ritengono collegati al soggetto controllato.