L’autorizzazione paesaggistica postuma è sempre applicabile? Vediamo cosa dice la legge…
L'autorizzazione paesaggistica postuma, disciplinata dall’art. 167 del DLGS 42/2004, rappresenta uno strumento di sanatoria che consente di ottenere un provvedimento di compatibilità paesaggistica per interventi edilizi già realizzati senza il preventivo rilascio dell'autorizzazione necessaria. Tuttavia, essa non è sempre applicabile. Il Consiglio di Stato sottolinea che questa sanatoria costituisce un’eccezione alla rigorosa regola generale di irrecuperabilità degli abusi edilizi in aree vincolate, applicabile solo in casi di abusi minori e privi di incidenza significativa sui valori paesaggistici.
L’art. 167 del DLGS 42/2004 e la regolamentazione dell’autorizzazione paesaggistica postuma
L'autorizzazione paesaggistica postuma rappresenta una misura per sanare interventi già realizzati in assenza del necessario titolo abilitativo. In sostanza riguarda la possibilità di ottenere un provvedimento volto a valutare la compatibilità dell’opera con i valori paesaggistici tutelati.
La norma che disciplina questa autorizzazione è l’art. 167 del DLGS 42/2004, con il quale vengono messe in evidenza le conseguenze derivanti dalla realizzazione di interventi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico senza la necessaria autorizzazione, oppure in difformità da essa. Infatti, l’articolo sottolinea anche che rimettere in pristino lo stato dei luoghi grava sempre sul trasgressore, ovvero, la stessa deve essere attuata a sue spese.
Inoltre, viene stabilito dalla norma che l’autorità competente ha dei poteri ben precisi, infatti con l’ordine di ripristino si assegna un termine ultimo al trasgressore entro il quale egli deve provvedere spontaneamente alla rimessa in pristino, ma, se il trasgressore non esegue le opportune opere, l’autorità che tutela il paesaggio può far eseguire i lavori di ripristino direttamente, tramite il prefetto, e addebitare le spese al trasgressore. Qualora questa autorità non agisca, dopo 180 giorni dall’accertamento dell’abuso, il direttore regionale del Ministero, solo dopo aver diffidato l’amministrazione inadempiente, può intervenire direttamente entro 30 giorni.
La demolizione a questo punto può essere eseguita mediante un apposito servizio tecnico del Ministero oppure, tramite apposita convenzione.
Inoltre secondo le recenti modifiche introdotte dal decreto Salva Casa, il procedimento per l’accertamento della compatibilità prevede una domanda, presentata dal proprietario, possessore o detentore dell’immobile o dell’area interessata, mentre la valutazione spetta all’autorità competente alla gestione del vincolo, che deve pronunciarsi entro 180 giorni. Tuttavia tale valutazione deve essere preceduta dal parere vincolante della Soprintendenza, la quale avrà 90 giorni per pronunciarsi.
A questo punto si possono verificare due situazioni:
- compatibilità paesaggistica accertata, allora il trasgressore è tenuto a versare una somma corrispondente al maggiore valore tra il danno arrecato e il profitto conseguito, determinati attraverso perizia;
- domanda respinta, per cui si applica nuovamente la sanzione demolitoria prevista in origine.
Il comma 4, sempre dell’art. 167 del DLGS 42/2004, suscita particolare interesse, in quanto sottolinea che “L'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica (…) nei seguenti casi:
- a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
- b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
- c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.”
Secondo quanto appena citato, la legge è chiara nello stabilire come questa forma di autorizzazione in sanatoria non possa essere sempre ammessa, ma che la stessa sia soggetta al rispetto di determinate condizioni, come:
- l’assenza di nuovi volumi o superfici;
- l’impiego di materiali diversi da quelli autorizzati;
- le tipologie di intervento riconducibili alla manutenzione ordinaria o straordinaria.
In conclusione, l'autorizzazione paesaggistica postuma è prevista dalla normativa italiana e permette di ottenere la compatibilità paesaggistica per interventi edilizi già realizzati senza l'autorizzazione preventiva, ma questa misura rappresenta un'eccezione alla regola generale che impone il rispetto delle procedure autorizzative prima dell'inizio dei lavori, tuttavia ciò non è sempre ammissibile, come chiarito definitivamente dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1260/2025.
Il ruolo dell’autorizzazione paesaggistica postuma nelle controversie edilizie
La controversia in oggetto della su citata sentenza riguarda il diniego di compatibilità paesaggistica relativo ad alcune opere realizzate su un immobile. Tale contenzioso vede opposto i ricorrenti, proprietari degli immobili sottoposti ad interventi abusivi, e il Ministero della Cultura, in rappresentanza della Soprintendenza archeologica.
In particolare, nell’immobile erano state realizzate una serie di opere edilizie abusive, tra cui la ricostruzione di un ex fienile con ampliamento della superficie e del volume, una struttura in lamiera e modifiche al profilo altimetrico del terreno circostante.
In seguito a ciò, il Comune ha emesso un’ordinanza che imponeva la riduzione in pristino dell’ex fienile e delle altre strutture abusive. I proprietari hanno eseguito parzialmente l’ordine di demolizione, presentando al contempo anche una richiesta di accertamento di compatibilità edilizia e paesaggistica per le opere rimanenti. Tuttavia, sia la Commissione edilizia comunale sia la Soprintendenza hanno dichiarato l’improcedibilità della domanda, ritenendo che le opere realizzate, in particolare l’aumento di volume dell’edificio, fossero in contrasto con la normativa paesaggistica.
A questo punto i proprietari si sono rivolti al TAR Toscana, che ne ha accolto parzialmente il ricorso, ordinando al Comune e alla Soprintendenza di riesaminare nel merito la domanda di accertamento di conformità. Nonostante ciò, il Ministero della Cultura ha impugnato questa sentenza, ritenendo che la sanatoria non potesse essere ammissibile in quanto le opere abusivamente realizzate non rispettavano i requisiti previsti dalla normativa in materia di compatibilità paesaggistica.
A tal proposito, il Consiglio di Stato ha sentenziato che “La sanatoria paesaggistica - costituendo un’eccezione alla regola generale della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali - è consentita per i soli abusi minori contemplati dall’art. 167 comma 4 d.lgs. n. 42/2004, accomunati dall’assenza di offensività per i valori ambientali e paesaggistici tutelati con l’apposizione del vincolo. Sono, in particolare, suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica esclusivamente: i) gli interventi realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato la creazione di superfici utili o di volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati; ii) l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; iii) i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (art. 167, comma 4).”
Il Consiglio di Stato evidenzia il principio consolidato secondo cui l’autorizzazione paesaggistica postuma costituisce una rigorosa eccezione alla regola generale dell’irrecuperabilità degli abusi edilizi in ambito vincolato, in quanto ammessa solo per interventi minori e privi di incidenza volumetrica (art. 167, comma 4, del DLGS 42/2004).
Inoltre nel caso specifico, il Consiglio di Stato ha ritenuto che “(…) l’interramento del piano seminterrato non ha ricondotto il fabbricato allo stato originariamente assentito, poiché l’interramento del volume, a differenza della sua rimozione, consente in ogni momento di recuperarne l’utilizzo.”
Quindi, i giudici hanno inoltre ritenuto che l’interramento del piano seminterrato dell’edificio non fosse sufficiente a riportarlo allo stato originariamente assentito, poiché tale intervento (non comportando la rimozione del volume) consente la futura riutilizzabilità.
Il Consiglio di Stato evidenzia che una sanatoria non può essere estesa oltre i limiti fissati dalla legge, soprattutto per quanto riguarda gli abusi che abbiano determinato un incremento dei volumi o delle superfici dell’edificio in zone paesaggisticamente vincolate. Le autorizzazioni postume sono da ritenersi quindi inapplicabile in tali contesti, motivo per cui è fondamentale prevenire, già in fase progettuale, l'insorgenza di conflitti con eventuali vincoli paesaggistici.
LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO È SCARICABILE IN ALLEGATO...
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L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.
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