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L’illegittimità della SCIA: quando non può sostituire il permesso di costruire nel cambio di destinazione

Secondo la normativa vigente, il cambio di destinazione rilevante, specie tra categorie distinte quali industriale e commerciale, richiede sempre il rilascio del permesso di costruire, e non può essere legittimato mediante la SCIA. La sentenza del Consiglio di Stato n.181/2025 ribadisce l’illegittimità dell’uso improprio della SCIA per mutamenti di destinazione urbanisticamente rilevanti, sottolineando il ruolo di tutela dell’amministrazione contro eventuali abusi edilizi.

Mutamento di destinazione d’uso: differenze tra SCIA e permesso di costruire

Il cambio di destinazione d’uso di un immobile è un’operazione frequente in ambito urbanistico, ma al tempo stesso può essere un’operazione insidiosa, soprattutto quando si ricorre all’uso di un titolo abilitativo in modo errato. In particolare, il passaggio da una destinazione produttiva o artigianale a una commerciale non può sempre essere realizzato con una semplice Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), specie quando comporta modifiche edilizie rilevanti o incide sul carico urbanistico.

In questi casi, potrebbe essere necessario il permesso di costruire. L’art. 23 ter del DPR 380/01, aggiornato al DL 69/2024, decreto salva casa, evidenzia che “il mutamento della destinazione d’uso di un immobile o di una singola unità immobiliare si considera senza opere se non comporta l’esecuzione di opere edilizie ovvero se le opere da eseguire sono riconducibili agli interventi di cui all’articolo 6. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria (…).

Per mutamento senza opere si intende quella variazione di destinazione che non comporti interventi edilizi oppure se le opere previste rientrano nell'edilizia libere ai sensi dell’art. 6 del Testo Unico Edilizia. È ad esempio il caso della realizzazione di uno studio in una destinazione residenziale ove non occorre inserire nuovi impianti perché sono di fatto utilizzabili quelli a disposizione, e altre situazioni analoghe per le quali non occorre ad esempio modificare la geometria degli ambienti spostando elementi divisori, non occorre una compartimentazione per quanto concerne il rispetto delle norme antincendio, etc.

Inoltre, sempre l’art. 23 ter del DPR 380/01 sottolinea che il cambio di destinazione d’uso è rilevante se comporta il passaggio da una categoria funzionale all’altra (es. da produttivo a commerciale) chiarendo quali siano le categorie funzionali:

  • residenziale;
  • turistico-ricettiva;
  • produttiva e direzionale;
  • commerciale;
  • rurale.

Infatti, il cambio di destinazione d’uso è sempre consentito:

  • se avviene all’interno della stessa categoria funzionale;
  • se riguarda unità immobiliari situate in zone urbanistiche A, B o C (centri storici, aree urbane consolidate o di espansione), anche tra categorie diverse, purché nel rispetto delle condizioni previste e della normativa di settore.

I titoli necessari per tale operazione sono:

  • la SCIA, qualora la variazione, come anticipato, non comporti la realizzazione di nuove opere o se le stesse siano di lieve entità;
  • il permesso di costruire, nei casi in cui il cambio richieda la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia consistenti o, più in generale, gli interventi previsti dall’art. 10 del DPR 380/2001.

La SCIA, quindi, non può sostituirsi al PdC (permesso di costruire) per interventi complessi. Ulteriori delucidazioni arrivano dalla sentenza del Consiglio di Stato n.181/2025.

I limiti e rischi dell’utilizzo della SCIA

Con la sentenza del Consiglio di Stato n.181/2015 si riapre il dibattito sull’utilizzo errato della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) per interventi edilizi che in realtà necessitano di un titolo alternativo superiore, come il permesso di costruire (PdC).

Il caso della sentenza riguarda infatti il mutamento di destinazione d’uso da produttivo a commerciale di un immobile, inizialmente legittimato con SCIA, che in un secondo momento è stata annullata dall’amministrazione.
In tale contesto diventa fondamentale l’art. 23-ter del DPR n. 380/2001, il quale sottolinea che il mutamento rilevante di destinazione d’uso è definito come il passaggio a una diversa categoria funzionale (es. da industriale a commerciale), quindi ciò richiede generalmente un permesso di costruire, salvo deroghe regionali o comunali.

Mentre la SCIA è uno strumento semplificato previsto per interventi minori, non rilevanti, o per cambi di destinazione all’interno della stessa categoria funzionale.
Detto e chiarito ciò, la vicenda ha avuto origine nel 2021, quando la società appellante aveva presentato una SCIA per convertire un immobile industriale in spazio commerciale, sostenendo che il Comune avesse implicitamente riconosciuto la validità della SCIA e che la LRC 13/2022 con lo Strumento Attuativo Decentrato (SIAD) del Comune consentissero il mutamento tramite SCIA.

Il complesso e articolato caso è stato affrontato in primis dal TAR e in seguito al Consiglio di Stato ed entrambi hanno confermato l’illegittimità della SCIA.

Il Consiglio di Stato ha infatti sottolineato che “la SCIA non costituisce titolo edilizio idoneo a sostenere la modifica di destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome che si è preteso per tale via di legittimare. (…) la società *** *** ha presentato una segnalazione certificata di inizio attività al fine di legittimare un passaggio tra categorie di destinazione d’uso funzionalmente distinte, giacché il complesso a uso industriale nella relativa titolarità è stato destinato a uso commerciale (cfr. scia in variante del 3.05.21, in allegato al ricorso introduttivo del giudizio).
Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, tale modifica necessitava del previo rilascio di permesso di costruire. (… ) Quando si prospetta un caso di attività edilizia eseguita in assenza o in difformità dal titolo (…) la SCIA, in fattispecie di tal fatta, in radice non produce effetti.

Quindi il passaggio da industriale a commerciale rientra in categorie funzionali distinte, richiedendo un iter autorizzativo più complesso, come quello previsto per il PdC.

Di conseguenza la SCIA diventa inefficace quando l’intervento modifica la destinazione urbanistica rilevante.
Inoltre, il Consiglio di Stato chiarisce che “(…) il potere repressivo dell’Amministrazione in ordine agli illeciti edilizi, aventi natura permanente, non è sottoposto a termini di decadenza né di prescrizione (…)”.
Il compito di vigilare sugli abusi edilizi è dato all’Amministrazione indipendentemente dai termini di autotutela.

Il caso conferma come la SCIA non sia uno strumento onnicomprensivo e che, qualora ci sia un mutamento di destinazione urbanisticamente rilevante, c’è sempre la necessità di un permesso di costruire, salvo espresse deroghe previste eventualmente dalle leggi regionali.

 

LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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L’articolo nella sua forma integrale è disponibile attraverso il LINK riportato di seguito.
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