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La fiscalizzazione dell'abuso tra giurisprudenza e prassi applicativa - Parte Prima

Se le numerose risoluzioni giurisprudenziali delimitano il perimetro di applicabilità della norma repressiva alternativa alla demolizione, non danno però indicazioni operative alle pubbliche amministrazioni che l’Autrice invece prefigura deducendole da una lucida analisi di sintesi.

Si illustrano qui tempi, modi e limiti degli accertamenti demandati alle amministrazioni per l’accertamento della sussistenza dei presupposti tecnici, collegandoli doverosamente alle norme tecniche sulle costruzioni e sottolineando anche il necessario ruolo collaborativo (ancorché non decisionale) del privato interessato.

In questa Prima Parte si commentano i casi di difformità o assenza di titolo; nella Seconda si parlerà delle modalità di calcolo.

*presentazione di Ermete Dalprato


Più volte su Ingenio sono stati menzionati interventi della giurisprudenza amministrativa e penale in tema di c.d. fiscalizzazione dell’abuso, dei quali riassumeremo i principi ormai consolidati tentando poi di comprenderne le conseguenze nella prassi applicativa.

 

La fiscalizzazione dell’abuso

Partiamo dall’ambito oggettivo di riferimento chiarendo che, per fiscalizzazione dell’abuso, si intende la sostituzione, da parte dell’Amministrazione Comunale, del provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un’opera abusiva con un diverso ed autonomo atto applicativo di una sanzione pecuniaria alternativa.

Il T.U. Edilizia (D.P.R. 380/01) prevede almeno tre ipotesi in cui questa sostituzione può, a determinate condizioni, operare.

  • Art. 33 per interventi di ristrutturazione edilizia realizzati in assenza di permesso di costruire;
  • Art. 34 per interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire;
  • Art. 38 interventi eseguiti in forza di un permesso di costruire annullato.

Tratteremo in questo articolo solo dei primi due casi, assimilabili reciprocamente tanto in relazione ai presupposti di applicabilità della sanzione quanto in ragione delle modalità di determinazione della stessa.

La terza ipotesi soggiace ad un regime del tutto peculiare oggetto di recentissimi interventi anche da parte dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ma che richiedono una disamina separata e che sarà oggetto di un prossimo scritto.

 

Presupposti della fiscalizzazione

Seppur diverse nelle rispettive formulazioni normative, le fattispecie previste dagli artt. 33 e 34 D.P.R. 380/01 presentano elementi comuni.

In entrambi i casi il Legislatore prevede la possibilità di applicare una sanzione pecuniaria che consente la conservazione delle opere abusive, solo qualora dette opere siano state realizzate su un immobile già esistente dotato di parti legittimamente eseguite.

L’art. 33 DPR 380/01 sanziona le ristrutturazioni che, pur se eseguite sine titulo, si traducono in interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente e che possono portare ad un’entità in tutto od in parte diversa dalla precedente. L’art 34 D.P.R. 380/01, sanziona invece le diverse ipotesi in cui, a fronte del rilascio di un permesso di costruire, vengono realizzati interventi in parziale difformità (si veda il recentissimo intervento del Cds sez IV n. 1/2022 descritto nell’articolo “Fiscalizzazione degli abusi edilizi: quando si può pagare per evitare la demolizione? I paletti”).

Da ciò deriva il primo assunto ossia che in nessun caso è consentita la fiscalizzazione dell’abuso laddove sia stato realizzato un manufatto autonomo in assenza di permesso di costruire.

Giova infatti ricordare che “……in presenza di abuso edilizio, l’applicazione delle misure sanzionatorie deve, in principio, assicurare la prevalenza della sanzione ripristinatoria perché satisfattiva della restituzione in integro dell’ordine urbanistico violato” (Cons. Stato, sez. VI, 22 ottobre 2015, n. 4843, nello stesso senso Cds Sez II n 3156/2020).

La sanzione pecuniaria, infatti, si sostanzia in una deroga alla regola generale della demolizione e presuppone la rigorosa dimostrazione dell’oggettiva impossibilità di procedere alla rimozione delle parti difformi senza incidere, sul piano delle conseguenze materiali, sulla stabilità dell'intero edificio (Cons. St., VI, 10 gennaio 2020 n. 254).

La fiscalizzazione dell'abuso tra giurisrudenza e prassi applicativa

Solo pregiudizio statico od anche funzionale?

In ossequio al mero dato letterale delle disposizioni normative richiamate, le opere abusive possono essere mantenute, in deroga alla regola generale che le vuole ripristinate, solo ove il ripristino dello stato dei luoghi crei un pregiudizio alle parti legittimamente realizzate.

In merito a questa condizione, secondo l’orientamento granitico della giurisprudenza penale ed amministrativa, le norme citate debbono essere interpretate "nel senso che si applica la sanzione pecuniaria soltanto nel caso in cui sia “oggettivamente impossibile” procedere alla demolizione. Deve, pertanto, risultare in maniera inequivoca che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso" (Cds sez IV n 1912/2013 e nello stesso senso Cons. Stato, Sez. V, 29 novembre 2012, n. 6071; Cons. Stato, Sez. V, 5 settembre 2011, n. 4982).

Di nessun rilievo pertanto sarebbe il fatto che l’intervento di ripristino risulti eccessivamente oneroso anche in ragione del valore attribuibile all’immobile.

Lo stesso Consiglio di Stato ritiene infatti che “….se si potessero prendere in esame anche questi profili si rischierebbe di trasformare l’istituto in esame in una sorta di “condono mascherato” con incidenza negativa grave sul complessivo assetto del territorio e in contrasto con la chiara determinazione del legislatore, che ha imposto che abbia luogo la demolizione parziale, tranne il caso in cui la relativa attività materiale incida sulla stabilità dell’intero edificio, e dunque anche nell’ipotesi in cui nella parte da demolire siano stati realizzati strumenti o impianti più o meno costosi" (Cds 1912/2013).

Quanto al pregiudizio funzionale ovvero ai danni arrecati all’immobile che possono impedirne l’utilizzo (es interruzione degli impianti), lo si ritiene irrilevante in quanto, ripristinati lo stato dei luoghi e lo status legittimo (art. 9 bis D.P.R. 380/01), l’interessato potrà dare corso a tutti gli interventi utili all’ottenimento delle condizioni previste per l’agibilità degli immobili.

Non mancano tuttavia esperienze regionali in cui il Legislatore ha riconosciuto valenza anche al pregiudizio funzionale.

L’art. 14 LR Emilia Romagna n 23/2004 statuisce infatti che : “lo Sportello unico per l'edilizia, su richiesta motivata dell'interessato (...), irroga una sanzione pecuniaria (…) qualora accerti, con apposita relazione tecnica, l'impossibilità della rimozione o demolizione delle opere abusive, in relazione al pregiudizio strutturale e funzionale che sarebbe arrecato alle parti residue dell'immobile. In tale ipotesi il Comune può prescrivere l'esecuzione di opere dirette a rendere l'intervento più consono al contesto ambientale, assegnando un congruo termine per l'esecuzione dei lavori”.

 

Chi svolge la verifica sulla sussistenza di un pregiudizio funzionale?

Altrettanto granitico è il principio secondo cui spetta all’Amministrazione comunale la valutazione sulla ricorrenza di un pregiudizio tale da legittimare l’applicazione di una sanzione pecuniaria sostitutiva dell’ordine di demolizione.

Tuttavia tale principio è di non semplice applicazione pratica, considerato che spesso si è di fronte ad immobili che hanno visto il sovrapporsi nel corso degli anni di numerosi interventi, preceduti da titoli abilitativi o sanatorie non di rado concepiti e realizzati in forma episodica.

Si possono poi avere casi in cui l’immobile oggetto di vaglio sia stato parzialmente ristrutturato senza alcuna valutazione sulla complessiva staticità della sua intera consistenza strutturale per cui mancherebbe una valutazione generale sulla risposta statica dell’edificio.

Carenza difficilmente colmabile da parte del privato interessato ed ancor di più da parte dell’Amministrazione Comunale che possiede un patrimonio conoscitivo dell’immobile ulteriormente ristretto.

Ragion per cui il principio sopra esposto non può realisticamente affermarsi in senso assoluto, onerando l’Amministrazione ad una valutazione circostanziata che prescinda dall’intervento partecipativo dell’interessato, senza poter per altro apoditticamente ricorrere alla formula di stile secondo cui “tutto è demolibile”.

Più realisticamente sarà onere del privato fornire dimostrazione dell’obiettiva impossibilità di ottemperare all’ordine stesso senza pregiudizio per la parte conforme (Cons. Stato, nn. 7637/2020, n. 561/2020, n. 6147/2019; 4939/2019, n. 3280/2019, n. 4169/2018, n. 6497/2018 e n. 5585/2017 ;T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 6 aprile 2020 n 596).

L’Amministrazione poi potrà fare proprie le valutazioni assunte dal professionista incaricato di redigere la perizia tecnica che attesti, in modo circostanziato e comprovato, l’impossibilità di dare corso al ripristino nei termini anzidetti.

Nel merito tale riscontro può avvenire anche considerando lo stato di fatto, in termini di sicurezza, dell’immobile e il pregiudizio che può derivare a tale stato dalla rimozione della parte oggetto di contestazione.

L’argomento impone una breve parentesi sulla normativa tecnica attinente alle costruzioni, così come oggi aggiornata dal D.M. 17/01/2018 (in seguito NTC 2018) da cui attingere gli elementi caratterizzanti la perizia da redigere accennata poco sopra.

In particolare ci si potrà fare riferire al capitolo 8 dedicato alle costruzioni esistenti ove si stabiliscono i criteri generali per la composizione della c.d. valutazione della sicurezza che, secondo quanto statuito dal paragrafo 8.3 NTC 2018, deve obbligatoriamente redigersi a fronte di opere realizzate in assenza o difformità dal titolo abitativo, ove necessario al momento della costruzione, o in difformità alle norme tecniche per le costruzioni vigenti al momento della costruzione.


Circolare NTC 2018, edifici esistenti: il Capitolo 8 con alcuni commenti tecnici

L’articolo contiene il testo integrale del Capitolo 8 dedicato agli EDIFICI ESISTENTI con svariati approfondimenti e commenti tecnici da parte di alcuni esperti in materia.

Scopri tutto!


La valutazione della sicurezza di una struttura esistente è un procedimento quantitativo, volto a determinare l’entità delle azioni che la struttura è in grado di sostenere con il livello di sicurezza minimo richiesto dalle stesse NTC 2018.

La stessa valutazione, argomentata con apposita relazione, deve permettere di stabilire se:

  • l’uso della costruzione possa continuare senza interventi;
  • l’uso debba essere modificato (declassamento, cambio di destinazione e/o imposizione di limitazioni e/o cautele nell’uso);
  • sia necessario aumentare la sicurezza strutturale, mediante interventi.

Qualora i rilievi di cui ai punti precedenti riguardino porzioni limitate della costruzione, la valutazione della sicurezza potrà essere limitata agli elementi interessati e a quelli con essi interferenti, tenendo presente la loro funzione nel complesso strutturale, posto che le mutate condizioni locali non incidano sostanzialmente sul comportamento globale della struttura.

Trattasi di valutazione che riflette lo stato delle conoscenze al tempo della sua realizzazione e nella definizione dei modelli strutturali dovrà considerarsi che sono conoscibili, con un livello di approfondimento che dipende “…..dalla documentazione disponibile e dalla qualità ed estensione delle indagini che vengono svolte, le seguenti caratteristiche:

  • la geometria e i particolari costruttivi;
  • le proprietà meccaniche dei materiali e dei terreni;
  • i carichi permanenti.

Si dovrà prevedere l’impiego di metodi di analisi e di verifica dipendenti dalla completezza e dall’affidabilità dell’informazione disponibile e l’uso di coefficienti legati ai “fattori di confidenza” che, nelle verifiche di sicurezza, modifichino i parametri di capacità in funzione del livello di conoscenza (v. §8.5.4) delle caratteristiche sopra elencate” (par. 8.2 NTC 2018).

Quello riassunto è l’unico riferimento normativo a cui ci si può riferire per tradurre, nella perizia tecnica di parte allegata alla richiesta di applicazione di una sanzione pecuniaria, i principi anzidetti garantendo una valutazione oggettiva (con margini di discrezionalità limitati) sulla concreta possibilità di ripristinare lo stato dei luoghi.

 

In che fase del procedimento debbono essere valutati i presupposti della fiscalizzazione dell’abuso?

La consolidata giurisprudenza Consiglio di Stato (cfr., ex multis, Cons. Stato, VI, 12-5-2020, n. 2980; VI, 9-7-2018, n. 4169) afferma che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’amministrazione competente nell’ambito della fase esecutiva in cui vengono redatti gli atti propedeutici all’esecuzione coattiva del provvedimento di demolizione.

Ciò significa che l’amministrazione non è onerata a valutare:

  • preventivamente la concreta demolibilità delle opere senza pregiudizio della parte legittima;
  • eventuali perizie di parte che attestino la sussistenza delle condizioni previste per dare luogo alla fiscalizzazione dell’abuso, depositate prima dell’attivazione della fase esecutiva.

In definitiva la sussistenza di un pregiudizio per le parti legittimamente realizzate non incide sulla legittimità del provvedimento di demolizione ma sulla sua concreta eseguibilità (cfr.,ex multis, TAR Toscana, III, 12-6-2020, n. 711; TAR Campania, III, 12-2-2018, n. 898 Cons. St., VI, 10 gennaio 2020 n. 254; Parere Cds sez I n .1322/2021; Cds IV 7499/2021).

Posto tale assunto, che esonera le Amministrazioni da operazioni defatigatorie e complesse valutazioni preventive, ciò non toglie che possa ritenersi pienamente legittimo, in ossequio ai principi di economicità ed efficienza che debbono governare l’attività amministrativa, che l’Amministrazione compia preventivamente tale valutazione, stimolata da istanze comprovate e circostanziate dei privati interessati così come da esperienze pregresse della prassi applicativa purché questo si traduca in un comportamento uniforme, paritario e trasparente.

In questo caso, qualora venisse dimostrata la concreta impossibilità di ripristino così come prevista dalla normativa richiamata, l’ordine di ripristino potrebbe essere omesso, definendo in modo più celere il procedimento repressivo che non dovrebbe attendere le tempistiche spesso giustificate da contenzioni e ritardi delle verifiche proprie della fase esecutiva.

 

Casi di applicazione analogica della sanzione pecuniaria

Come chiarito in principio la fiscalizzazione dell’abuso in luogo della sua rimozione è ipotesi del tutto eccezionale, tanto che la giurisprudenza non ritiene estensibile in via analogica gli artt. 33 e 34 D.P.R. 380/01 ad altre fattispecie di abusi quali gli interventi di nuova costruzione sanzionati ex art. 31 DPR 380/01.

È noto ai più che l’art 14 delle c.d. preleggi statuisce il divieto di interpretazione analogica di previsioni derogatorie a regole generali.

Anche questo principio tuttavia va interpretato cum grano salis in quanto, pur se un manufatto autonomo, completamente abusivo, possa essere sempre demolito, possono aversi ipotesi di ampliamenti o sopraelevazioni di immobili esistenti per cui tale evidenza non è ictu oculi.

E’ altrettanto incontestabile che gli interventi di nuova costruzione, eseguiti in assenza di titolo ovvero in totale difformità o varianti essenziali dello stesso, possano essere repressi attraverso l’adozione di un’ordinanza di demolizione (art. 31 DPR 380/01) la cui legittimità, come indicato al punto precedente, non può essere messa in discussione dall’assenza di valutazioni rimesse alla fase esecutiva.

Ciò non toglie, tuttavia, che possano aversi ipotesi (es. sopraelevazioni, ampliamenti non ricompresi in condoni edilizi) nelle quali, in fase esecutiva, possa accertarsi, del pari a quanto previsto dall’art. 33 e 34 D.P.R. 380/01, che il ripristino dello stato dei luoghi creerebbe un pregiudizio alla parte legittima dell’immobile.

Pertanto in questi casi non si potrà fare altro che applicare analogicamente quanto previsto dall’art. 34 DPR 380/01 sanzionando gli interventi di ampliamento realizzati ed applicando i medesimi parametri valutativi previsti per gli interventi eseguiti in difformità dal titolo edilizio.

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