Norme tecniche per le costruzioni, modelli di pericolosità sismica e sicurezza degli edifici?
Intervista a Antonio Occhiuzzi,
L'INTERVISTA. La rubrica “Le Interviste” di Progettazione Sismica vuole mettere a tu per tu il lettore con personalità della ricerca e delle istituzioni, cercando di chiarire il più possibile l’opinione del mondo della ricerca nei riguardi di alcuni temi di ingegneria sismica e di sismologia.
L’intento è quello di trattare in modo molto semplice e lineare dei temi che ai più possono sembrare complessi, andando a coinvolgere esperti del settore che rispondendo ad alcune domande cercheranno di chiarire i dubbi del lettori. Le interviste sono pensate e condotte da ricercatori esperti che attraverso domande specifiche riusciranno a raggiungere l’obiettivo previsto.
Questa intervista è stata condotta dal sismologo Massimiliano Stucchi. Stucchi è stato ricercatore presso il CNR, direttore della sezione INGV di Milano. Oggi collabora con Eucentre ed anima il blog “terremoti e grandi rischi”. Il blog “terremoti e grandi rischi” nasce nel settembre 2013 durante il processo “Grandi rischi” e ora ha lo scopo di dedicare spazio a materiali e opinioni riguardo al processo oltre che a dibattiti e interviste sui terremoti, i loro effetti e possibili modalità per la riduzione del rischio sismico.
Con questo secondo articolo continua la collaborazione tra EUCENTRE e INGENIO per la diffusione di contenuti facenti parte della ben conosciuta rivista "PROGETTAZIONE SISMICA".
Questo l'articolo o meglio l'intervista contenuta nel 2° Quaderno di Progettazione Sismica
Intervista a Antonio Occhiuzzi
Antonio Occhiuzzi, napoletano e tifoso del Napoli, è professore di Tecnica delle Costruzioni presso l’Università Parthenope. È laureato in ingegneria a Napoli e al MIT di Boston, ha un dottorato di ricerca in ingegneria delle strutture, materia cui si dedica da sempre. Dal 2014 dirige l’Istituto per le Tecnologie della Costruzione (ITC), ossia la struttura del CNR che si occupa di costruzioni, con sedi a Milano, Padova, L’Aquila, Bari e Napoli. Dal 2017 fa parte del Comitato Scientifico della Fondazione EUCENTRE.
Caro Antonio, tempo fa avevi commentato un mio post di risposta a un articolo dell’Espresso in cui veniva riproposta, come avviene periodicamente, la questione del superamento dei valori di progetto in occasione dei terremoti recenti e, di conseguenza, la presunta fallacia dei modelli di pericolosità e delle normative basate su di essi, quasi che entrambi fossero responsabili dei crolli e delle vittime.
Poichè in questa problematica si intrecciano aspetti sismologici e ingegneristici, ti ho invitato a approfondire la tematica.
Caro Max, l’avevo commentato perché ero assolutamente d’accordo con te. L’articolo dell’Espresso, rivolto al grande pubblico, risulta ingannevole per il non addetto ai lavori perché vengono mescolate considerazioni ragionevoli a clamorose inesattezze. Il giornalista si basa su di un’intervista a un geofisico, la figura professionale più credibile per studiare i fenomeni fisici del nostro pianeta: tuttavia, quando poi si passa agli effetti di tali fenomeni sulle costruzioni, il geofisico diventa, come lo sarebbe un medico o un letterato, un incompetente, perché si “entra” nei temi dell’ingegneria strutturale e, in particolare, di quella antisismica. Temi che non fanno parte degli studi e delle esperienze di geologi, fisici, medici e letterati (tra i tanti).
Le mappe, o meglio i modelli, di pericolosità sismica vengono compilati - nella maggior parte delle nazioni e anche dei progetti internazionali – secondo un approccio probabilistico, poiché questo viene “richiesto” dagli utilizzatori dei modelli stessi, ovvero dagli ingegneri progettisti. Ci puoi spiegare perché?
La progettazione strutturale e antisismica è, in tutto il mondo evoluto, basata su concetti probabilistici, anche per quanto concerne le azioni, incluse quelle sismiche. È questo approccio non è in discussione nella comunità mondiale dell’ingegneria strutturale (e antisismica).
Il motivo, che spesso sfugge a chi non è del mestiere, è che la progettazione strutturale è dominata dalle incertezze: incertezze nella definizione delle azioni, sui modelli utilizzati, sulle resistenze dei materiali. Per tale motivo, la progettazione strutturale è convenzionale: nessuno al mondo pensa che nei solai di abitazione ci sia un carico variabile uniformemente distribuito pari a 2 kN/mq, che sarebbe a dire che in ogni stanza della casa c’è un allagamento con l’acqua alta 20 cm. Tuttavia, praticamente tutte le case del mondo sono progettate secondo questo tipo di ipotesi, per la quale gli effetti dei carichi che possono realmente interessare gli ambienti di una casa sono probabilisticamente minori di quelli corrispondenti a quella specie di “piscina” di cui parlavo prima. L’approccio probabilistico cerca di coniugare accuratezza e fattibilità operativa: in alternativa, ad esempio, un progettista dovrebbe prevedere, nell’ambito di un soggiorno, quale possa mai essere la disposizione dell’arredo e la posizione degli occupanti, eseguire i calcoli, imporre di non spostare divani, tavoli e pianoforte e di sedersi sempre tutti allo stesso posto. Sarebbe la “maximum credible furniture position”, concetto analogo a quello di “maximum credible earthquake” descritto nell’articolo dell’Espresso.
In entrambi i casi, sostanzialmente inutilizzabile per l’ingegneria antisismica: ti assicuro che prima o poi il pianoforte lo spostano e che il prossimo terremoto che arriva in un’area avrà caratteristiche che ai fini della sicurezza delle costruzioni saranno differenti da quelle previste: occorre progettare senza avere la presunzione di “sapere tutto”, ma gestendo “probabilisticamente” le incertezze.
Per inciso, è corretto dire che le azioni proposte dalla normativa rappresentano un valore minimo, obbligatorio, ma che se un proprietario decide di adottare valori superiori per ottenere una sicurezza maggiore è libero di farlo?
È corretto. Il “minimo obbligatorio” è frutto di un compromesso tra esigenze diverse e “contrastanti”. Nell’ambito delle costruzioni, due esigenze contrastanti sono la “resistenza al crollo” e il “danneggiamento delle componenti non strutturali”. Aumentare l’intensità delle azioni corrisponde a realizzare costruzioni più resistenti e più rigide: tale aspetto corrisponde, a sua volta, ad accelerazioni ai piani più elevate e, di conseguenza, a danneggiamenti maggiori per partizioni esterne e interne, impianti, finiture, etc. Se diminuisce l’intensità delle azioni attese, la costruzione è meno resistente, meno rigida e durante un terremoto subisce accelerazioni ai piani più modeste: meno danni, quindi, ma aumenta il “rischio crollo” (per semplificare). Il “punto di equilibrio”, basato sull’esperienza, è – per ora – quel 10% in 50 anni.
Se però io avessi un minuto da dedicare a ciascun proprietario di casa, lo utilizzerei dicendogli di non fare soppalchi abusivi, non nascondere i radiatori realizzando nicchie nelle murature portanti, non tagliare o comunque danneggiare travi e pilastri in calcestruzzo armato per fare spazio agli impianti tecnologici, di risparmiare e poi spendere qualche soldo per le verifiche strutturali e per il consolidamento strutturale. Il minuto sarebbe finito e non sarei pentito di non avere avuto il tempo di parlargli dell’ultimo dei problemi, ossia la modifica di dettaglio dell’intensità dell’azione sismica rispetto a una definizione che va già sostanzialmente bene.
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