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Nuovo Codice Appalti: le modalità di scelta del Collegio Consultivo Tecnico integrano il principio della fiducia

Commento nel merito e nel metodo degli aspetti strategici e sostanziali della corretta “interpretazione” della norma relativa al Collegio Consultivo Tecnico introdotto dal Nuovo Codice Appalti

L’Autore ha già trattato il Collegio Consultivo Tecnico nei suoi aspetti ritenuti strategici e torna ora sull’argomento ritenendo che proprio la parte discrezionale della sua interpretazione/applicazione sia premessa di successo della sua finalità: supportare il RUP nelle scelte controverse dell’esecuzione del contratto al fine della realizzazione dell’opera.

Discrezionalità che si esercita già nella modalità di scelta dei membri in cui trovano prima applicazione i principi che ispirano il Codice.


In un precedente articolo abbiamo messo in luce la finalità del Collegio Consultivo tecnico (“Collegio Consultivo Tecnico: inquadramento sistematico-concettuale) dal punto di vista concettuale quale momento strategico applicativo del principio di conseguimento del risultato di cui all’articolo 1 del Codice: la realizzazione delle opere.

Che già da solo dovrebbe bastare a dare la corretta applicazione della norma se stiamo all’articolo 12 delle Preleggi che – proprio in merito all’“interpretazione della legge” – dopo “il palese significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” induce a rifarsi all’“intenzione del legislatore.

Ma presumibilmente non sarà così, visto il formalismo bizantino (spesso non disinteressato) che purtroppo permea ormai l’attività tecnico-normativa.

Abbiamo anche detto che l’efficacia di questo “strumento” (peraltro innovativo) sarà necessariamente dipendente dalla modalità con cui le parti ne faranno uso: se davvero come modalità di risoluzione consensuale dei potenziali conflitti o come sovrastruttura burocratica imposta, ma di fatto inutile.

Tralasciamo quindi la pedissequa elencazione dei compiti del Collegio – ognuno se li può leggere nel Codice o nei tanti commenti compilativi - per commentare invece nel merito e nel metodo quelli che ritengo aspetti strategici e sostanziali della corretta “interpretazione” della norma.

Dei poteri di nomina abbiamo già detto in precedenza (“Poteri di nomina del Collegio Consultivo Tecnico”); vediamo oggi le modalità di scelta e come possano essere utilmente interpretate per renderle efficaci.

Le fonti normative del Nuovo Codice (con qualcosa in più per il Collegio Consultivo Tecnico)

Trascurando il burrascoso passato di cui abbiamo già detto, ad oggi le norme che regolano il Collegio Consultivo Tecnico sono:

  • gli articoli da 215 a 218 del Codice
  • l’Allegato V.2 del Codice (fino a eventuali future modifiche come previsto all’articolo 215, comma 1) che comunque – come afferma la relazione di accompagnamento alla Camera – dovrebbe essere la collazionatura di sintesi delle previgenti disposizioni.

Una norma in divenire dunque. Ma non solo.

Infatti queste dovrebbero essere le uniche fonti normative cui riferirsi ma in realtà per il Collegio Consultivo Tecnico non è del tutto vero perché proprio l’Allegato V.2 che abbiamo appena detto all’articolo 1, comma 3, richiama in vita il d.m. 17.01.2022 n° 12 anche se limitatamente ai requisiti professionali, alle incompatibilità e determinazione dei compensi.

I criteri di scelta

Sui requisiti professionali oggettivi il Legislatore ha dunque detto la Sua e, come abbiamo visto, in via transitoria si continuano ad applicare le disposizioni delle linee guida del d.m. 17.01.2022, n. 12 cui fa espresso rinvio l’Allegato V.2 all’articolo 1, comma 3.

Si tratta dei requisiti professionali analiticamente elencati all’articolo 2.4 di cui al citato d.m. che peraltro suddivide i requisiti per i potenziali presidenti al p.to 2.4.2 e per i componenti al p.to 2.4.3.

Distinzione significativa dell’autorevolezza (o, quanto meno, della completezza curriculare) degli aspiranti.

Interdisciplinarietà professionale

Un dato è significativo: non c’è preclusione di competenza per materia, anzi lo spettro dei papabili è professionalmente ampio, significativo dell’interdisciplinarietà del ruolo. Quanto ad ambito per materia possono aspirare sia tecnici (ingegneri, architetti) che giuristi ed economisti; quanto ad esperienza dimostrabile deve essere garantita da percorsi universitari, di carriera nella pubblica Amministrazione con un minimo di durata.

Quel che appare rilevante è la sostanziale differenza di requisiti oggettivi tra presidenti e membri tanto che restringe oggettivamente il campo dei possibili presidenti (livelli ricoperti e durata degli incarichi).

Requisiti oggettivi questi, integrati però dall’esigenza che siano anche “adeguati alla tipologia dell’opera” (art. 2.4.1 della linea guida) con cui il Legislatore introduce quel dovuto margine di discrezionalità al “Criterio” di scelta (Dunque il criterio è la sommatoria dei requisiti e di una valutazione discrezionale specifica che va motivata).

Sull’incompatibilità c’è un elemento soggettivo (innovativo)

Sui casi di incompatibilità ci sarebbe poco da dire: neutralità, estraneità, insussistenza di conflitti di interesse , ….   sono anch’essi requisiti oggettivi e inoppugnabili, senonché ce n’è uno (punto 2.5.1, lett. d) che ci pare innovativo e particolarmente significativo perché introduce un elemento discrezionale qualitativo: la mancanzadi requisiti reputazionali e di onorabilità adeguati all’incarico da assumere”.

Abbiamo ripetutamente sottolineato come gli istituti innovativi del Codice necessitino di una “corretta e coerente” applicazione pratica, senza la quale non possono conseguire l’efficacia attesa, che non potrà mai dipendere dalla sola pedissequa applicazione di legge senza passare dalla “interpretazione” delle facoltà che il Legislatore pone a disposizione; discrezionali appunto.

Interpretazione lasciata in capo agli operatori di quel “principio della fiducia” di cui all’articolo 2 del Codice.

Certo sarà arduo e imbarazzante dire espressamente che un membro proposto da controparte non ha idonei requisiti di “reputazione e onorabilità” (perché sono valutazioni soggettive che non danno diritto di “veto”); ma c’è un modo di dirlo indirettamente: esprimendo o meno condivisione alla proposta.

Per quanto riguarda il Presidente proposto (per esempio) questi potrebbe non accettare l’incarico se ritiene non sussistere le condizioni di poterlo condurre con serenità.

Vediamo allora meglio se il Legislatore ha suggerito modalità di applicazione di questo delicato criterio.

Nella modalità di scelta sta la traduzione del principio della fiducia (la condivisione)

Infatti qualcosa è cambiato rispetto alla corrispondente disposizione dettata in precedenza dall’articolo 2.2.1 della linea guida (ex d.m. 12/2022) in base alla quale si prevedeva che la nomina dei componenti poteva avvenire anche di comune accordo” tra le parti.

Espressione che di per sé fa un po’ sorridere (quando mai si poteva pensare che non fosse possibile una nomina condivisa?), ma è significativa del fatto che il Legislatore la riteneva solo un’ipotesi “eventuale” (“residuale” direi).

Oggi invece il Legislatore (all’articolo 1, comma 2 dell’allegato V.2) ha prefigurato/suggerito tre modalità di nomina introducendo una graduazione (con evidente gradimento decrescente cui corrisponde un decrescente livello di attesa di esiti positivi):

  • 1° - Situazione ottimale: Tutti i membri scelti di comune reciproco accordo
  • 2° - Situazione in subordine accettabile: I membri di parte scelti rispettivamente dalle parti e il presidente di comune accordo tra i membri
  • 3° - Situazione residuale (sconsigliabile): Non trovandosi l’accordo il presidente è nominato da soggetto esterno (ministero, regione a seconda dell’interesse dell’“opera” o, forse, meglio sarebbe dire dell’ambito territoriale del contratto).

La soluzione 1) sottende il tacito riconoscimento dei requisiti (tutti, compreso quelli soggettivi) in capo ai membri di controparte.

E’ evidente che – indipendentemente dal livello di competenza tecnica individuale dei membri, che si dà per scontata - più si scende dalla situazione ottimale a quella residuale, minore è il grado di fiducia reciproca nei membri del Collegio ed anche minore è il grado di riconoscimento dell’autorevolezza della competenza dei membri di “controparte”.

Questo non è di buon auspicio perché è proprio nel riconoscimento condiviso dell’autorevolezza dei membri che si incarna (a prescindere) la disponibilità delle parti ad accettarne poi il giudizio.

Un Collegio autorevole dovrebbe essere nominato “di comune accordo” dalle parti come auspicato in prima ipotesi dal Legislatore. E così il presidente nominato di “comune accordo” dai membri designati.

Il Legislatore è stato un ingenuo a prefigurare questa ipotesi? Può anche darsi, ma non si dica che non ci ha provato (o sperato).

Sarebbe però un bell’esercizio di “leale collaborazione” se le parti interpretassero in tal modo la gestione del contratto ancor prima del suo avvio.

Prevenire è meglio che reprimere

Questo perché il Collegio Consultivo Tecnico – giuridicamente inserito nel Titolo II tra i metodi “alternativi alla tutela giurisdizionale” si pone in realtà logicamente in posizione primaria (a prescindere).

Se infatti l’Accordo Bonario (articolo 210), la Transazione (articolo 212) e l’Arbitrato (articolo 213) si attivano come forma di risoluzione di un contenzioso già in essere (con riserve già iscritte), il Collegio Consultivo Tecnico (impregiudicato il ricorso poi alle riserve) si attiva a monte ancor prima che il contenzioso si instauri come dice l’articolo 215: “Per prevenire le controversie …. dispute tecniche di ogni natura che possano insorgere ….” .

Tutte le “dispute”, anche quelle non traducibili in riserve che il Nuovo Codice meglio circoscrive nei contenuti e nelle modalità all’articolo 115 e all’Allegato II.14.

Se dunque l’accordo bonario, la transazione e l’arbitrato sono alternativi al giudizio giurisdizionale il Collegio Consultivo Tecnico ha - per meglio dire - funzione di “prevenzione” ex ante.

Sorge spontanea una domanda.

Sarà efficace o semplicemente un altro formalismo burocratico?

Come sempre dipenderà da come saranno interpretate e tradotte in pratica le sue disposizioni.

Lo abbiamo già detto più volte.

L’efficacia del collegio dipenderà dal riconoscimento congiunto e bilaterale della sua autorevolezza – che è garanzia di imparzialità – e dovrebbe dissuadere dal ricorso al giudizio.

Certo è che in ogni caso (come già abbiamo anticipato in altra riflessione – v. InGenio 29.05.2022 “L’esercizio della discrezionalità tecnica nel Codice dei Contratti Pubblici”) l’espressione dei suoi pareri va iscritta tra le “sponde” che possono orientare e sorreggere l’attività del RUP in corso d’opera perché (anche qualora fossero semplici determinazioni e non lodi) e al netto dell’esonero dalla responsabilità erariale, costituiscono interpretazione “terza” del corretto adempimento contrattuale da far valere poi anche in eventuale successivo giudizio formale.

Dunque sono elemento di supporto al RUP nell’esercizio di quella discrezionalità tecnica voluta dal Codice ai fini del raggiungimento del risultato.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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