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Nuovo Codice Appalti: poteri di nomina del Collegio Consultivo Tecnico

Approfondimento su chi nomina il Collegio, la logica, la facoltà di istituire il Collegio in via facoltativa nelle fasi ante-esecuzione, il principio della competenza residuale, il potere dell'inadempimento e la valutazione della responsabilità dirigenziale

Già in un precedente scritto l’Autore ha esaminato questo istituto - che torna d’attualità dopo una contrastata iniziale previsione - inquadrandolo nell’ottica delle innovazioni che dovrebbero portare ad una maggiore operatività del sistema di realizzazione delle opere pubbliche.

Tutto dipende da come sarà inteso e applicato e a chi stanno in capo i poteri di formazione del collegio e la definizione delle sue modalità di funzionamento; per questo vale la pena di chiarirle, anche se la norma appare tutt’altro che cristallina e inequivocabile su questo delicato aspetto.


I commenti sul nuovo Codice dei Contratti Pubblici si concentrano prevalentemente (e giustamente) sulle disposizioni operative di dettaglio (sia in periodo transitorio che definitivo) in materia di modalità di espletamento delle gare, di pubblicità, di partecipazione, ….. .

Tutti aspetti rilevantissimi per la legittimità dell’operato della Pubblica Amministrazione che galvanizzano l’attenzione degli operatori preoccupati di bene operare evitando i ricorsi.

Questo però mette in secondo piano altri aspetti – per certi versi ben più rilevanti perché strutturali – inerenti l’organizzazione dell’attività di realizzazione delle opere pubbliche.

Siccome riteniamo che il Collegio Consultivo Tecnico bene si inserisca nel contesto della gestione discrezionale – come abbiamo già avuto modo di rilevare (v. Ingenio 14.04.2023 – “Collegio Consultivo Tecnico: inquadramento sistematico-concettuale”) – di lui parleremo ancora perché la modalità del suo “utilizzo” può fare la differenza.

Chi nomina il Collegio

Approfondiamo allora i poteri di nomina che è aspetto tutt’altro che indifferente sull’efficacia e sui risultati attesi.

E sulla competenza della nomina un po’ di nebbia c’è; anzi possiamo dire vere e proprie contraddizioni che ci inducono a rilevare un cambio di attribuzione rispetto al passato.

Il Legislatore non lo dice mai a chiare lettere a chi sia in capo il potere di nomina e proprio in esordio della definizione del Collegio Consultivo Tecnico (articolo 215) afferma solo che “ciascuna parte può chiederne la costituzione”; ma a chi?

L’articolo 1 dell’Allegato V.2 dice che è “formato, a scelta della stazione appaltante” termine che più generico non si può, anche se va escluso che sia competenza di un organo politico (come vedremo).

Approfondiamo allora seguendo varie piste interpretative.

La logica

A rigore, visto che si tratta della gestione del pre-contenzioso giudiziale, verrebbe da pensare che il titolare dei poteri di scelta e di nomina sia il RUP; se il Collegio deve essere un supporto alla sua attività sarebbe logico pensare che a Lui spetti la scelta dei suoi “collaboratori”. Perché è indubbio che si tratti di un incarico fiduciario per quanto già abbiamo detto.

L’articolo 218

A questo ci indurrebbe anche l’articolo 218 che disciplina la facoltà di istituire il Collegio in via facoltativa nelle fasi ante-esecuzione, laddove espressamente si afferma che “le stazioni appaltanti   … , tramite il RUP, possono costituire” detto Collegio. Norma poi confermata dall’articolo 6 dell’Allegato (sempre in materia di “Costituzione facoltativa del Collegio …”) ove però si cita solo che è la “stazione appaltante” che nomina; se ne dovrebbe dedurre, per estensione, che (sempre) laddove si cita “stazione appaltante” deve intendersi il RUP.

Uno sguardo al contorno - le analogie (tra conferme ……

Poiché il Collegio Consultivo Tecnico fa parte dei “rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale” previsti dal Titolo II e se le analogie (di categoria) possono offrire contributi interpretativi, a questa conclusione ci porterebbe anche l’articolo 210 dell’Accordo Bonario in cui è ancora il RUP – per espressa disposizione – che effettua la richiesta dei cinque esperti e su quelli (d’intesa con la controparte) “sceglie”.

Anzi, il fatto che se il RUP non richiede la rosa degli esperti è Lui stesso che funge da esperto, riconosce il suo ruolo di primo compositore delle controversie, ovvero di soggetto competente al pre-contenzioso (il che confermerebbe le considerazioni logiche dianzi svolte).

…. e smentite)

Se però leggiamo in parallelo anche l’articolo 212 della “Transazione (anch’esso appartenente allo stesso “Titolo II”) veniamo però smentiti perché in questo caso al RUP è riservato solo un ruolo consultivo (il parere), ma la potestà della “proposta” è del dirigente del Settore competente per materia (e, aggiungiamo, titolare del potere di spesa).

Se poi andiamo all’Arbitrato (articolo 213) che rappresenta però una fase successiva e di livello più alto (in quanto conseguenza del fallimento dell’accordo bonario) il Legislatore conduce la “designazione” degli arbitri in capo alle “parti” (fermo restando che il Presidente è nominato dalla Camera Arbitrale).

Nel campo delle analogie vediamo allora che, aumentando il livello del contenzioso le competenze del RUP arretrano per lasciare spazio a quelle del “dirigente”.

Dobbiamo allora vedere a che punto del pre-contenzioso si attesta l’attività del Collegio Consultivo Tecnico; sta di fatto che non siamo più tanto sicuri della sua potestà di nomina.

Il principio della competenza residuale

Potremmo anche cercare di portare a sostegno della tesi fin qui proposta il principio della competenza residuale del RUP, espresso chiaramente all’articolo 6, co. 3, all’articolo 7, co. 2 e all’articolo 8, co. 5 dell’Allegato I.2 sull’ “Attività del RUP”.

Poiché però detta residualità si esplica solo se la legge non attribuisce specificamente le competenze ad altri soggetti il criterio di residualità non è risolutivo perché in più punti dell’articolato si fa riferimento alle “parti”.

Lo fa il Codice:

  • all’articolo 215, co. 1 per chiederne la costituzione;
  • all’articolo 217, co. 1 e 2 in merito alla potestà di attribuzione della natura di “lodo arbitrale” alle determinazioni del Collegio;

Lo fa (e in modo forse più significativo) l’Allegato V.2:

  • all’articolo 1, comma 2 in merito appunto alla potestà di scelta;
  • all’articolo 2, co. 2 e 3 per la seduta di insediamento;
  • all’articolo 3, comma 1 per l’attribuzione della facoltà di attivazione della richiesta di pareri/determinazioni del Collegio.

Se è vero, com’è vero, che le “parti” sono i sottoscrittori del contratto e che il contratto è firmato dal Dirigente competente per materia (a nome della Stazione Appaltante) l’attribuzione di questi poteri/adempimenti riferiti espressamente alle “parti” dovrebbe farci ritenere che siano in capo al dirigente che ha sottoscritto il contratto (e non al RUP).

Ma c’è un’evidente anomalia

Quando però si tratta di presiedere la seduta di insediamento nella quale si decide se attribuire o meno al Collegio i poteri di emanare “lodi arbitralisubentra un’altra indeterminazione. Infatti, mentre l’articolo 217 del Codice (commi 1 e 2) continua a parlare genericamente delle “parti” l’articolo 2, comma 2 dell’Allegato vorrebbe la “presenza dei rappresentanti legali delle parti”.

Orbene, il dirigente è “parte” in contratto, ma non è rappresentante legale dell’Ente ! cosa voleva dire davvero il Legislatore?

In precedenza ….

La corrispondente norma previgente dell’articolo 3.1.2 della linea guida del d.m. 12/2022 disponeva che la prima riunione di insediamento avveniva “alla presenza del responsabile del procedimento e del rappresentante dell’operatore economico”.

Il che era corretto: il RUP per la Stazione Appaltante e “il rappresentante” per il privato. Ma questa normativa è oggi abrogata.

Se dessimo retta all’interpretazione cronologica per cui la norma successiva abroga la precedente, dovremmo ritenere che oggi anche la Stazione Appaltante debba essere presente col “rappresentante legale” (alias il Sindaco), ma ci pare che questo contrasti col principio generale (ineludibile) della ripartizione delle competenze (politiche e gestionali) per cui ci sentiremmo di ipotizzare che il Legislatore abbia solamente male trascritto la norma previgente.

Certo è che non siamo più sicuri che la Stazione Appaltante sia adeguatamente rappresentata dal RUP e non necessiti almeno del dirigente !

Il livello di confusione si alza ed è difficile trarre conclusioni inoppugnabili.

Che la competenza della nomina sia del dirigente ci pare essere confermato anche da un'altra disposizione.

L’articolo 2, co. 1 dell’Allegato V.2 stabilisce (oggi) che il CCT vada costituito non oltre dieci giorni dall’avvio dell’esecuzione e che la mancata istituzione nei termini costituisce elemento di valutazione della “responsabilità dirigenziale ed erariale …”.

Poiché il RUP (se interpretiamo a stretto rigore) non necessariamente è un dirigente la norma ci confermerebbe che la nomina del Collegio spetta ad un dirigente e non al RUP. Certamente non ad un organo politico.

La chiave di volta: un indizio interpretativo può venire dalla norma sull’inadempimento

Se però buttiamo un occhio al passato, l’evoluzione normativa ci offre una conferma forse risolutiva.

La norma or ora richiamata disciplina il caso di inadempimento nella nomina (obbligatoria), ma già esisteva corrispondente normativa sull’inadempimento anche nel previgente regime dell’articolo 6 del d.l. n. 76/2020.

Norma corrispondente ma non analoga, perché nel riformularla il Legislatore l’ha cambiata radicalmente.

Dal potere sostitutivo dell’inadempimento alla mera valutazione (negativa) della responsabilità dirigenziale

Infatti la previgente disposizione dell’articolo 6 citato rinviava alla linea guida approvata con d.m. n. 12 del 17.01.2022 che, all’articolo 2.3.2 (oggi abrogato in questa parte), disponeva che “Ove la costituzione del CCT non sia intervenuta nei termini previsti dall’articolo 6, comma 1 del d.l. 76/2020, il responsabile dell’unità organizzativa di cui all’articolo 2, comma 9-bis della legge 241/90 esercita il potere sostitutivo …. “.

Norma coerente con il rinvio alla legge n. 241/90 in base alla quale nel Previgente Codice – articolo 31, co. 1, 3° periodo – “il RUP è nominato con atto formale del soggetto responsabile dell’unità organizzativa, che deve essere di livello apicale, …”( come è noto era competenza del dirigente del settore nominare il RUP; ora non più – v. InGenio 02.05.2023 -“Nel Nuovo Codice dei Contratti Pubblici il RUP sostituisce il RUP).

Come si vede la fattispecie in esame è la stessa (l’inadempimento della costituzione del CCT), ma la conseguenza è affatto diversa: allora il dirigente esercitava il potere sostitutivo, oggi ne subisce solo la valutazione negativa della “performance” individuale.

Una ragionevole conclusione

Se facciamo mente locale al fatto che il potere sostitutivo esercitabile dal “responsabile dell’unità organizzativa” era evidentemente nei confronti del RUP inadempiente (da Lui stesso nominato) abbiamo conferma che il potere di costituzione del Collegio Consultivo Tecnico fosse (allora) competenza del RUP.

Se oggi il dirigente non ha più il potere sostitutivo nei confronti di un altro soggetto competente, ma l’inadempimento ricade direttamente su di Lui come valutazione negativa del suo operato significa che la competenza è sua e non di altri.

Da questa modifica legislativa dovemmo poter concludere (ma il condizionale è d’obbligo) che nel previgente regime la competenza era del RUP, ora non più: è del dirigente che ha sottoscritto il contratto.

Tutto chiarito? ni

Certo le indeterminazioni restano, come resta il conflitto con l’articolo 218 di cui abbiamo parlato in esordio: parrebbe in effetti illogico che la competenza sia del dirigente in via generale e in caso di collegio facoltativo (cioè in caso specifico e per di più facoltativo) sia del RUP; per di più visto che il Collegio dell’articolo 218 è quello ante esecuzione di quale RUP parliamo? del RUP generale o del responsabile di Fase?

Così come appare sovrabbondante e incongruo con il resto del contesto pretendere la presenza del “legale rappresentante” per la decisione di attribuzione del potere di “lodo” alle determinazioni.

Diciamo che si poteva fare di meglio.

L’indeterminazione di “chi fa che cosa” non è mai foriera di chiarezza dei ruoli, delle competenze e dei poteri, cosi indispensabili per condurre coerentemente una procedura complessa come quella della realizzazione di un lavoro pubblico.

Quando si vuole passare dal formalismo delle procedure all’interpretazione in base ai principi è fondamentale sapere chi interpreta e quali poteri ha.

Ermete Dalprato

Professore a c. di “Laboratorio di Pianificazione territoriale e urbanistica” all’Università degli Studi della Repubblica di San Marino

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