Qualche (non molto sommessa) riflessione a valle del sisma.
Io l’avevo detto.
È antipatico dirlo, è vero, ma non posso a fare a meno di ricordare quello che ho detto (e scritto) tante e tante volte negli ultimi anni.
Citerò qui solo quanto scritto, solo pochi mesi fa, proprio su Ingenio.
“Il rischio sismico.
Ma di cosa stiamo parlando? Si tratta forse di rischi remoti, per i quali le preoccupazioni di future problematiche sono solo il frutto di bizzarre e fantasiose dissertazioni teoretiche?
Purtroppo la situazione non è questa, salvo per quelle poche regioni italiane dove il rischio sismico è inesistente o irrilevante. Per le altre zone del nostro paese, più che della probabilità di avere eventi tellurici, con il loro seguito di disastrosi crolli di chiese, palazzi, o di costruzioni dei nostri centri storici (spesso strutturalmente alterate con il susseguirsi dei secoli) si deve parlare di certezza di un periodico manifestarsi di eventi sismici di intensità elevata.
In altri termini: non sappiamo, in maniera puntuale, dove e quando, ma entro pochi anni, in quelle zone ci saranno certamente eventi distruttivi.
D’altra parte, anche senza entrare nella probabilistica o nella attuale disputa tra sismologi in merito alla valutazione della pericolosità dei diversi siti (quale è il modello più attendibile?) basta guardarci indietro per renderci conto della situazione: negli ultimi 30 anni l’Italia è stata colpita da una trentina di terremoti con magnitudo pari o superiore a 5.
Danni, e in vari casi anche vittime, si sono avuti a Potenza e nella Sicilia sud-orientale del 1990, in Umbria e nelle Marche nel 1997, sull’Appennino calabro-lucano del 1998, a Palermo e nel Molise nel 2002, in Abruzzo nel 2009 e nell’Emilia Romagna nel 2012.
C’è qualcuno, per caso, che pensa che il futuro sarà diverso? Forse no. Eppure molti sembrano dimenticarsi completamente del problema, arrivando, per un fenomeno psicologico di rimozione, ad un vero e proprio negazionismo. Nella vita normale, quotidiana, chi pensa mai al terremoto? La conseguenza pratica è che “il terremoto non esiste” e quindi non si fa nulla per prevenirne gli effetti.
Salvo poi, all’indomani di tragedie come quelle passate, riprendere istantaneamente e drammaticamente coscienza e consapevolezza del problema.”
Quell’indomani è tragicamente arrivato, e la differenza tra il fare ed il NON fare è riemersa in tutta la sua evidenza.
E il prossimo “domani” sarà diverso? Purtroppo no, anzi, potrebbe essere anche peggiore.
La storia purtroppo si ripete, e si ripeterà in ogni sua parte, compresa la componente, un po’ schizoide, per la quale, il problema sismico, completamente ignorato per anni, nel giro di pochi istanti diventa l’argomento centrale dell’intera nazione, coperto H24 dai media, per giorni e giorni.
Salvo poi, dopo qualche tempo (tre mesi? sei mesi? un anno?) ridimenticarci di tutto e ricominciare da capo con il negazionismo: “il terremoto non esiste”, e si tornerà a NON fare.
I “cattivi ingegneri”
Vedo poca televisione e sono poco “social”, quindi (per mia fortuna) mi sono perso lo tsunami di pareri, dissertazioni, consigli e anche varie fesserie di “wébeti” (neologismo coniato da Mentana) che hanno inondato i media in questi giorni.
Da quanto mi hanno riferito, colpisce l'accanimento mediatico nei confronti dei "cattivi ingegneri", scatenato da parte di tanti tecnici improvvisati, neo-esperti di costruzioni (che in realtà hanno tutt’altre competenze) generando un’informazione scorretta che inevitabilmente condizionerà anche l'operato della magistratura.
Non parlerò però di quanto avvenuto in questo sisma, almeno non in particolare, non avendone esperienza diretta. Mi limiterò a fare solo alcune riflessioni di carattere generale e lo farò solo in questa sede, tra colleghi, lasciando ad altri, soprattutto a chi ci rappresenta (il CNI in primis) il non facile compito di chiarire i diversi aspetti di questa vicenda.
La prevenzione prossima futura
Ci sono state molte dichiarazioni ufficiali sulla attivazione di politiche di prevenzione e messa in sicurezza del patrimonio edilizio nazionale.
Si potrebbe anche credere alla sincerità delle emozioni e delle intenzioni del momento, ma la realtà è che senza un progetto strategico complessivo adeguato (coinvolgimento dei privati, delle assicurazioni, dei professionisti, delle imprese, etc) contano solo le risorse pubbliche effettivamente disponibili.
E questo sappiamo cosa significa…: si farà poco, per non dire nulla. Se poi i fatti mi smentiranno sarò il primo a gioirne.
D’altra parte, almeno a giudicare da quanto è accaduto sino ad ora, lo Stato, per varie ragioni, preferisce sempre intervenire a posteriori. Qualcuno pensa che stavolta andrà diversamente? Sarebbe bello, e più economico, però…
La via della classificazione sismica degli edifici esistenti è certo la più idonea a mettere in moto il circuito virtuoso conoscenza-prevenzione-riduzione del rischio-riduzione dei danni.
Su questo, io e l’ing. De Maria, negli anni passati, abbiamo proposto due metodi di classificazione degli edifici in muratura, il primo nel 2011 [1], il secondo nel 2014 [2], ma ci sono anche altri metodi che potrebbero essere applicati.
Questo per dire che gli strumenti operativi ci sono, e da tempo. Si scelga quello che si vuole; l’importante è che questa politica di conoscenza pratica del costruito venga finalmente attivata.
I segnali in tal senso però non sono positivi: il documento del “gruppo di lavoro Lupi” (di cui in altro articolo su questo stesso numero) è rimasto a lungo insabbiato al Ministero delle Infrastrutture, e solo adesso, sulla spinta del sisma, pare che verrà esaminato.
Il problema però resta lo stesso che ha causato l’incagliamento: per fare la classificazione sismica degli edifici privati (propedeutica, fra l’altro, ad una assicurazione sui danni futuri calibrata proprio sugli esiti della classificazione) si dovrebbe chiedere ai privati di mettere mano al portafoglio, e specie di questi tempi, con le elezioni programmate per il futuro prossimo, ciò appare davvero poco probabile...
Miglioramento sismico
Cosa significa miglioramento noi lo sappiamo bene; c’è una norma che lo definisce.
Andrebbe spiegato meglio a tutti (giornalisti in primis) dicendo chiaramente che migliorare non significa avere la sicurezza che ci si può aspettare da una costruzione antisismica, anzi, significa proprio accettare palesemente dei rischi, che pur essendo minori rispetto alla situazione originaria, possono rimanere anche molto elevati.
Quasi sempre siamo obbligati a fare questo compromesso, o perché non ci sono risorse sufficienti per adeguare sismicamente o perché, come negli edifici tutelati, interventi più pesanti non si conciliano con la conservazione.
Per noi ingegneri è più che chiaro. Bisognerebbe che questa (spesso inevitabile) necessità di accettare dei rischi venisse spiegata meglio, per evitare questo vezzo tutto italiano di cercare poi, in frangenti come questo, "il responsabile" o "il mostro" di turno.
Purtroppo il primo, e spesso unico, responsabile di questi disastri è il fatto che, almeno sino ad ora (ma il domani sarà diverso?) non si sia mai voluto affrontare il problema del rischio sismico attraverso un programma ampio e di lungo respiro.
C’è qualcuno dei nostri rappresentanti in sede nazionale, che può chiarirlo adeguatamente, cercando così di tutelare la figura dell’ingegnere in questi frangenti?
Bisognerebbe che fosse chiaro a tutti che i miracoli, specie quando le risorse sono limitate, non si fanno e purtroppo, quando arrivano terremoti così violenti, che hanno periodi di ritorno di 300-400 anni, le costruzioni in muratura caratterizzate da periodi molto bassi, con qualità muraria povera, senza collegamenti (si vedono pochissime catene! cosa assurda per una zona così!) e senza manutenzione, hanno ben poche possibilità di resistere.
Certo, se poi c’è stato messo sopra un bel tetto “antisismico” in c.a. senza rinforzare le murature verticali, la situazione è ancora peggiore.
Nulla di nuovo, quindi, né di inaspettato.
Allora ci si dovrebbe chiedere perché tutti si meravigliano di quanto è successo, dando addosso al tecnico di turno.
Questi crolli, date le premesse, erano scontati e si ripeteranno in futuro, se non si fa prevenzione.
Evidentemente però è mancato (e continua a mancare) qualcosa, a noi ingegneri, nel campo della comunicazione.
Sugli aspetti negativi delle sostituzioni di solai e coperture leggere con elementi in c.a. ho scritto tanto nel passato e certo non starò ora a cercare di alleviare determinate colpe, ormai conclamate.
Ma anche qui occorrerebbe fare chiarezza e spiegare (anche al geologo che, nell’occasione, discetta di strutture) che occorre distinguere tra caso e caso: spesso interventi di questo tipo hanno funzionato perfettamente ed hanno salvato la vita di chi stava dentro quegli edifici.
In generale comunque, amareggia assistere alla caduta di credito della nostra figura professionale. Io credo, come detto, che sia soprattutto un problema di comunicazione e su questo invito i nostri rappresentanti nazionali ad azioni (anche legali) decise ed efficaci.
Edifici rilevanti ed edifici tutelati
C’è poi un aspetto particolare che, almeno a me, colpisce.
A valle di eventi come questo, tutti (magistrati compresi) vanno a caccia di chi “non ha reso antisismica” una scuola o un ospedale, senza nemmeno domandarsi di che tipo era quell’intervento.
Per le centinaia di chiese e palazzi storici crollati nei sismi recenti, che pure erano state interessate, anche poco prima, da interventi di miglioramento, nessuno invece ha mai detto nulla.
C’è da domandarsi: le vittime potenziali della scuola di Amatrice sono diverse da quelle che si potevano avere nelle chiese crollate a L’Aquila o in Emilia?
Certo non dovrebbe essere così, ma, evidentemente, nel sentire comune (e quindi poi nelle azioni della Magistratura) colpe assolutamente confrontabili sono percepite in modo del tutto diverso e il mondo dei Beni Culturali sembra essere in una zona franca anche quando si parla di sicurezza delle persone (oltre che di danni patrimoniali).
Così, se un ingegnere ha fatto un intervenuto su una scuola e questa crolla, la domanda che molti oggi sembrano volergli fare, a prescindere, è questa: “perché non l’hai resa antisismica?”.
Evidentemente ci si aspetta che qualunque intervento sia stato fatto e qualunque sisma arrivi, quell’edificio deve stare in piedi, per il solo fatto di essercene interessati.
Qualche avvocato e qualche CTU, più raffinatamente, potrebbe anche chiedere: “ma se sei intervenuto, come hai fatto a non accorgerti delle carenze che aveva, che evidentemente erano così gravi che poi è crollata?”.
Sono situazioni che alla fine, in massima parte, vengono chiarite positivamente, ma chi entra in questo tunnel giudiziario è sempre un “presunto colpevole” che ha di fronte a sé un lungo calvario di udienze, costi ed incertezze che si possono solo immaginare…..
La normativa prossima futura
Così, a valle di un evento e di situazioni di caccia alle streghe come abbiamo visto, varrebbe la pena di fare qualche riflessione sul quel parametro “Tempo utile dell’intervento” o “Vita nominale residua” (la formula è la stessa) che talvolta (e, sembra, anche nelle norme in uscita) il tecnico è chiamato ad esprimere.
Ad esempio, per la scuola di Amatrice, una valutazione di sicurezza sismica fatta alla vigilia del sisma, a cosa avrebbe condotto? Quale sarebbe stato il “Tempo utile per l’intervento” per quella scuola, valutato dal tecnico incaricato della verifica?
Qui gioca (negativamente) anche una particolarità delle curve di pericolosità per siti come Amatrice: probabilisticamente parlando, per periodi di ritorno bassi si hanno sismi di intensità molto lieve, mentre i terremoti con periodi di ritorno alti hanno intensità molto elevate.
Se si considera quindi il rischio nei tempi ravvicinati, questo è piuttosto basso, cioè il terremoto atteso (prendiamo quello per SLV, che ha probabilità 10% di essere superato nel periodo di tempo considerato) è di intensità modesta.
Per la scuola in questione si può quindi presumere che, anche avesse avuto una capacità bassa, il “Tempo utile per l’intervento” non sarebbe stato inferiore a 3 anni.
L’esito di una verifica, fatta prima del sisma e firmata dal collega ingegnere, sarebbe stato quindi: “Il tempo massimo entro il quale occorre intervenire è pari a 3 anni”.
Questo collega ora, a valle del sisma, come potrebbe rispondere al giudice che gli chiede: “ma se per l’intervento si poteva aspettare fino a 3 anni, perché è crollata adesso, a pochi mesi dalla sua analisi?”.
Vagli ora a spiegare che quella sicurezza era da intendere solo in senso “probabilistico” …. Ci vorrà molto lavoro da parte degli avvocati per chiarirlo.
Dato che è sempre meglio pensarci prima, per ogni valutazione di sicurezza è più che opportuno ricordare, in modo inequivocabile (e in forma scritta) quale è il significato dei termini che usiamo e quali sono le incertezze che, inevitabilmente, rimangono presenti.
Se poi anche le norme (le prossime, in uscita) volessero chiarire ed esplicitare meglio questi aspetti non sarebbe male...
Un cenno sui Beni Artistici
I Beni Artistici persi in un evento sismico sono un po’ come le persone: non si possono sostituire.
Purtroppo abbiamo visto come ad ogni terremoto vengono danneggiati più o meno gravemente tantissimi affreschi, statue, vasi, etc. Molti vengono recuperati, con grave sacrificio economico, e spesso i risultati risultano poco soddisfacenti.
Per brevità rimando gli interessati a quanto scritto su questi aspetti su Ingenio [3].
Ricordo solo che, da sempre, sembra qui prevalere fortemente la logica del NON fare, preferendo ignorare o comunque rimandare tutto alle prossime generazioni, con l’illusione che, nel frattempo, nulla di irreparabile possa avvenire.
Solo così si spiega (ma certo non si giustifica) un disastro come quello avvenuto nel Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila, dove, durante il sisma del 2009, molte statue rovinarono terra, frantumandosi in mille pezzetti.
Manca, tra gli addetti alla tutela, cultura di prevenzione e quanto accaduto a L’Aquila è un caso emblematico.
Erano mesi che si ripetevano scosse sismiche e, con un minimo di sensibilità, in tutto quel lungo periodo di tempo prima della scossa distruttiva, si poteva facilmente mettere in sicurezza almeno le opere più esposte.
Bastava pensarci. E invece nulla.
Infine, mi permetto di aggiungere qui un esempio concreto e recente delle differenze, sempre in tema di prevenzione sismica, tra il DIRE e il FARE, in un caso cui sono particolarmente legato, dati i molti ed approfonditi (ed evidentemente inutili) studi fatti da me e dall’Ing. Andrea Grazini tra il 2004 ed il 2009, ovvero la vulnerabilità sismica del David di Michelangelo.
A fine 2014, dopo un modesto sisma in Toscana, il Ministro Franceschini annunciò lo stanziamento di 200.000 Euro per il basamento antisismico del David dichiarando enfaticamente: “Un capolavoro assoluto non può correre nessun rischio!” [4].
Qualcuno ha notizia se poi, effettivamente, qualcosa è stato fatto? Io no, ma, almeno a quanto mi risulta, nemmeno chi (all’ENEA) doveva occuparsene.
Forse adesso qualcosa verrà attivato.
O forse no. Basta aspettare per saperlo.
Riferimenti bibliografici
[1] Antonio Borri e Alessandro De Maria: “Un Protocollo Metodologico per la Certificazione Sismica degli edifici”, Convegno ANIDIS, Bari, 2011.
[2] Antonio Borri, Alessandro De Maria, Simone Casaglia: “Il metodo EAL-M per la classificazione sismica degli edifici in muratura esistenti: confronto tra diversi metodi proposti e prime considerazioni sull’estensione ad altre tipologie”, Progettazione Sismica – Vol. 5, N. 2, 2014.
[3] Antonio Borri, Alessandro De Maria: “Vulnerabilità sismica e Beni Culturali”,Ingenio, Giugno 2015.
[4] Olga Mugnaini: “«Mettiamo il David in un bunker». Gli esperti: musei antisismici – Il capolavoro di Michelangelo sempre a rischio vibrazioni – Galleria dell’Accademia. Intanto si aspettano i 200mila euro promessi dal Ministro Franceschini per la pedana ‘isolante’”, Quotidiano Nazionale, La Nazione, Firenze, 27 dicembre 2014, pag. 11.