Rischio idrogeologico. L’importanza del monitoraggio del territorio sul dissesto
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Intervista a Alessandro Trigila, geologo e responsabile Segreteria tecnica Progetto IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia), ISPRA
Il territorio italiano è indubbiamente fragile. Le aree ad elevata criticità per alluvioni e frane rappresentano il 9,8% della superficie nazionale e riguardano 6633 comuni (81,9%) secondo i dati elaborati nel 2008 dal Ministero dell’Ambiente su cui sorgono 6.250 scuole e 550 ospedali. Nel 2009 è stato stimato un fabbisogno complessivo di 40 miliardi di euro per la messa in sicurezza del territorio nazionale sulla base dei dati contenuti nei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) redatti dalle Autorità di bacino e dalle Regioni e Province Autonome.
Ad aggravare ulteriormente il quadro è il consumo del suolo, passato dal 2,9% di suolo consumato rispetto alla superficie nazionale negli anni ‘50 al 7,3% nel 2012, con una superficie consumata pro-capite aumentata da 178 m2 a 369 m2, secondo il rapporto ISPRA sul consumo di suolo 2014.
Dai 100 eventi meteo all’anno con danni ingenti registrati fino al 2006 siamo passati al picco di 351 del 2013 e a oltre 100 nei soli primi 20 giorni del 2014. Da ottobre 2013 all’inizio di aprile 2014 sono stati richiesti dalle Regioni 20 stati di emergenza con fabbisogni totali per 3,7 miliardi di euro. Il costo del dissesto idrogeologico sul territorio italiano ha raggiunto dal 1944 al 2012 la cifra di 61,5 mld di euro. La fotografia è tristemente nota. Gli interventi per mettere in sicurezza il territorio sono possibili ma sono costosi. I fondi messi a disposizione dallo Stato non sono sufficienti e laddove questi vengono reperiti, la burocrazia spesso blocca i lavori. Gli eventi atmosferici gravi, come le recenti alluvioni verificatesi sul nostro territorio, sono sempre più intensi e ravvicinati.
Dott. Trigila, quanto è importante l’attività conoscitiva e il monitoraggio del territorio sul dissesto idrogeologico? Ci può parlare del progetto IFFI?
Conoscere il territorio è un’attività fondamentale per l’individuazione delle zone a più elevato rischio idrogeologico al fine di effettuare una corretta pianificazione territoriale e definire le priorità di intervento. Per quanto riguarda le frane, l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e le Regioni e Province Autonome realizzano l’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (Progetto IFFI), che è la banca dati sulle frane più completa esistente in Italia con un elevato dettaglio della cartografia (scala 1:10.000), con molteplici informazioni associate alle frane, come ad esempio la tipologia di movimento e i danni. La cartografia delle frane, corredata da foto, filmati e documenti, è consultabile dal 2005 sul Web all’indirizzo http://www.progettoiffi.isprambiente.it. L’Inventario IFFI riveste grande importanza per la memoria storica degli eventi di frana del passato, tenuto conto che buona parte dei fenomeni franosi possono riattivarsi nel tempo anche dopo periodi di quiescenza di durata pluriennale o secolare.
Quante sono le frane in Italia? Quali sono le principali cause?
In Italia sono state censite 499.511 frane che interessano complessivamente un’area di oltre 21.000 km2, pari al 7% del territorio nazionale. Occorre rivolgere una particolare attenzione ai fenomeni con elevate velocità di movimento, quali ad esempio crolli e colate rapide di fango e detrito, che sono responsabili del maggior numero di vittime. Le precipitazioni brevi ed intense e quelle prolungate sono i fattori più importanti per l’innesco dei fenomeni di instabilità, rispettivamente per le frane superficiali e per quelle caratterizzate da una superficie di scivolamento più profonda. I fattori antropici assumono un ruolo sempre più determinante tra le cause predisponenti, con azioni sia dirette, quali tagli stradali, scavi, sovraccarichi dovuti ad edifici o rilevati, che indirette quali ad esempio la mancata manutenzione del territorio, delle opere di difesa del suolo e le perdite della reti acquedottistica e fognaria.
Questo lavoro di censimento rappresenta un’importante azione di prevenzione del rischio e dovrebbe fornire alle amministrazioni locali gli strumenti per una corretta pianificazione territoriale. Chi e quanti sono gli utenti interessati alla consultazione del progetto? Come vengono utilizzati i dati?
L’Inventario IFFI costituisce un importante strumento tecnico di supporto per la pianificazione territoriale (Piani di Assetto Idrogeologico, Piani Regolatori Generali), la programmazione di interventi di difesa del suolo, la pianificazione e la gestione di emergenze idrogeologiche e la progettazione preliminare di reti infrastrutturali. I principali utenti sono le Amministrazioni pubbliche centrali e locali quali Ministeri, Dipartimento della Protezione Civile, Autorità di Bacino/Distretto, Regioni, Province, Comuni, Università ed Enti di ricerca e soggetti che gestiscono le reti infrastrutturali, gli ordini professionali e infine i cittadini.
Quali sono le ultime elaborazioni sul rischio da frana effettuate a scala nazionale?
Per quanto riguarda le principali infrastrutture lineari di comunicazione l’ISPRA ha stimato 6.180 punti di criticità per fenomeni franosi lungo la rete stradale principale (autostrade, superstrade, strade statali, tangenziali e raccordi), di cui 720 lungo la rete autostradale; 1.862 punti di criticità per frana sono stati individuati lungo la rete ferroviaria. In tali punti i tracciati autostradale e ferroviario potrebbero essere interessati dalla riattivazione di frane già censite e cartografate nell’Inventario IFFI. L’ISPRA, utilizzando le frane dell’Inventario IFFI e i dati di popolazione del censimento ISTAT, ha stimato una popolazione esposta a fenomeni franosi in Italia pari a 1.000.989 abitanti.
Consumare il suolo a questa velocità non significa aumentare l'esposizione delle persone alle conseguenze dei fenomeni naturali?
Il forte incremento delle aree urbane, verificatosi a partire dagli anni ‘50, è spesso avvenuto in assenza di una pianificazione territoriale e di studi di dettaglio sulla pericolosità da frana con percentuali di abusivismo che hanno raggiunto anche il 60% nelle regioni dell’Italia meridionale. L’ubicazione delle aree di nuova urbanizzazione in aree instabili o con elevata propensione al dissesto ha determinato, di fatto, un aumento considerevole degli elementi esposti a tali fenomeni e quindi del rischio da frana.
Quali sono le misure per la mitigazione del dissesto?
Per le aree già edificate sono necessari l’insieme di interventi strutturali e non strutturali che vanno dalle opere di ingegneria per il consolidamento dei pendii instabili e la messa in sicurezza dei centri abitati, alle delocalizzazioni e alle reti di monitoraggio strumentale che consentono l’attivazione di sistemi di allertamento. Per le aree non ancora edificate è fondamentale ubicare in posti sicuri gli edifici strategici quali ospedali, scuole, uffici pubblici e attuare una corretta pianificazione territoriale che costituisce l'azione più efficace di riduzione del rischio nel medio-lungo termine. La comunicazione e diffusione delle informazioni via Web ai cittadini riveste infine grande importanza per la prevenzione del rischio. Una maggiore consapevolezza sul rischio da frana o idraulico del proprio territorio favorisce il rispetto delle norme e dei vincoli, portando tutti a prendere decisioni informate su dove costruire, acquistare beni immobili o terreni e dove localizzare nuove attività economiche.