Data Pubblicazione:

Sulle tracce delle opere di Pier Luigi Nervi in Campania:i serbatoi interrati a Pozzuoli

Nel periodo compreso tra il 1936 e il 1940 Pier Luigi Nevi elaborò, per la Regia Marina Militare e la Regia Aeronautica, una serie di progetti per serbatoi interrati, destinati allo stoccaggio di gasolio, kerosene o benzina avio.

Ricerca e sperimentazione nei brevetti di Pier Luigi Nervi per serbatoi interrati

Articolo tratto da: Concrete2014 - Progetto e Tecnologia per il Costruito Tra XX e XXI secolo

Nel periodo compreso tra il 1936 e il 1940 Pier Luigi Nevi elaborò, per la Regia Marina Militare e la Regia Aeronautica, una serie di progetti per serbatoi interrati, destinati allo stoccaggio di gasolio, kerosene o benzina avio.

Trattandosi di sostanze liquide più leggere dell’acqua si presentavano innumerevoli problematiche strutturali, tecnologiche ed esecutive.

Nervi intraprese, quindi, un percorso sperimentale, iniziato nel 1936 e durato cinque anni, durante il quale il prototipo per serbatoio interrato subì evoluzioni e migliorie, tutte riportate in originali brevetti depositati dalla ditta “Ingg. Nervi & Bartoli”. Il prototipo del 1935, denominato Tipo Ingg. Nervi e Bartoli, era costituito essenzialmente da una struttura cilindrica in calcestruzzo armato, gettata direttamente nello scavo, con una fitta serie di colonne nello spazio interno per sostenere la copertura.

Di tale progetto furono elaborare diverse soluzioni, in base alle diverse caratteristiche dei luoghi ai quali erano destinati o alle specifiche esigenze militari: serbatoi da 10.000, 15.000 e 30.000 mc, prototipi per terreno roccioso, per terreno non roccioso, a semplice mascheramento (ricoperto da terreno vegetale), a copertura blindata (in grado di resistere alla percussione diretta di due bombe da 500 chilogrammi).

L’aspetto più interessante che emerge dall’esame dei diversi brevetti di serbatoi depositati dalla ditta Nervi e Bartoli presso il Ministero delle Corporazioni, Ufficio delle Attività Intellettuali1 , è connesso alla ricerca di un sistema via via più raffinato per ottenere una perfetta tenuta del mantello perimetrale. Il primo brevetto ritrovato è del 1936, reca il n° 338800 e il titolo “Serbatoio per liquidi più leggeri dell’acqua e con essa non miscibili, specialmente nafta, oli, benzine e simili”; la tipologia è a vasca di cemento armato con diaframma a separare acqua da nafta, con vasche a sezione circolare.

Questa prima versione di serbatoi sfrutta il peso specifico maggiore dell'acqua per ridurre la perdita di nafta attraverso probabili lesioni del mantello: uno strato d’acqua si interponeva, infatti, fra il liquido da conservarsi e la superficie interna del serbatoio, strato che, in caso di imperfetta tenuta del fondo o delle pareti del serbatoio, veniva costantemente ripristinato con pompe o altre sorgenti in modo da evitare ogni perdita del liquido più leggero in essi immagazzinato2 .

Questa tipologia poteva applicarsi anche ad invasi d’acqua già costruiti che avrebbero potuto trasformarsi in serbatoi per nafta, oli e benzine. Nel 1937 venne depositato il brevetto n°349384 dal titolo “Procedimento di costruzione di una parete cementizia composta, formata di strati alternati di conglomerato cementizio e sottili strati di cemento puro per tenuta di liquidi o gas e prodotto relativo”. È il primo caso di serbatoio con mantello in calcestruzzo armato contro terra. Come è noto, tutti i conglomerati presentano una elevata penetrabilità a liquidi come oli o nafta ad elevata pressione.

La parete cementizia in questione era formata da un primo strato di conglomerato cementizio normale, sul quale veniva proiettato, dopo la presa ma prima dell’avvenuto indurimento, uno strato di malta di cemento puro ed acqua con la tecnica del cement gun, dello spessore pari 5 o 10 mm. Veniva poi gettato un successivo strato di conglomerato cementizio normale. Lo strato di cemento puro (bianco e privo di scorie d’alto forno) compiva la sua stagionatura in condizioni di perfetta umidità, essendo compreso fra gli altri due strati. La parete così formata, per la perfetta solidarietà fra i vari strati, era caratterizzata da ottime caratteristiche meccaniche, grazie agli strati di conglomerato cementizio normale, e da una elevata impermeabilità, conferita dallo strato di cemento puro.

Nel 1937 il genio di Nervi elaborò un’altra famiglia di serbatoi interrati, tutti con Tipologia a doppia parete cementizia di controllo e tenuta. L’evoluzione è segnata dal brevetto n. 348774 dal titolo “Doppia parete cementizia di tenuta e di controllo per grandi serbatoi interrati”.

Il mantello in questo caso era costituito da una parete a diretto contatto con il liquido, a cui era affidata la funzione di tenuta, e da una parete contro terra, a cui era affidata la funzione di contenimento delle spinte idrostatiche. Pareti e fondo contro terra potevano essere realizzati in cemento armato, in muratura o essere ricavati da superficie rocciosa regolarizzata. La parete più interna, in blocchi di calcestruzzo forati, andava realizzata ad una distanza di 10 o 20 cm dalla parete in calcestruzzo, con i fori dei blocchi disposti verticalmente in prosecuzione l’uno dell’altro. Via via che la parete in blocchi veniva innalzata, si procedeva al getto, tra le due pareti, di uno strato di conglomerato a dosatura normale e accuratamente compattato. Tra una fila di blocchetti e la superiore erano previste scanalature per accogliere un’armatura formata da tondini di ferro Ø 5. Questi ferri venivano annegati nel getto di calcestruzzo, sporgendo dalla parete di tenuta in blocchetti. Analoga stratigrafia veniva prevista per il fondo, nel quale i blocchetti forati seguivano, ovviamente, una orditura orizzontale. Tutti i canali che venivano a formarsi dalla successione dei blocchi convergevano in gallerie perimetrali a quota fondale del serbatoio, immettendosi tramite tubi in acciaio o in eternit con chiusura con tappo a vite. Inoltre, lo strato di conglomerato gettato nell’intercapedine veniva tenuto in costante umidità, facendo circolare acqua nei canali verticali dei blocchetti forati. Mentre il conglomerato cementizio acquisiva le proprietà meccaniche, veniva giuntata ai ferri sporgenti dai blocchetti una rete metallica con maglia di 20 cm, rifinita con successivo getto di uno strato di 7 cm di pasta di cemento con la tecnica cement gun.

Sempre nel 1937 iniziano le sperimentazioni sulla Tipologia tronco conica in lamiera metallica e intercapedine areata e viene depositato il brevetto n° 355466 dal nome “Perfezionamento nei serbatoi interrati per combustibili liquidi e simili, allo scopo di renderli atti all’offesa di bombe aeree”. In questo caso il serbatoio troncoconico è costituito da due pareti con intercapedine aerata; la parete interna, che contiene il liquido, è metallica, mentre quella esterna è in calcestruzzo armato e presenta una sezione via via decrescente man mano che ci si allontana dalla copertura, ossia man mano che si sarebbero ridotti gli effetti di una deflagrazione. Con il brevetto n°363646 del 1938, “Procedimento e dispositivo per creare e mantenere uno strato di pressione determinato in valore e direzione, fra due corpi, ad esempio fra una struttura edilizia e il terreno d’appoggio”, Nervi sperimenta la Prima modalità di forzamento preventivo. In molti campi della tecnica è necessario sollecitare due corpi contigui o uno in presenza dell’altro mediante una forza prestabilita. Lo stato di sollecitazione viene attivato mediante speciali dispositivi, che hanno bisogno a loro volta di elementi accessori, e, una volta raggiunto lo stato desiderato, necessita di azioni successive per essere mantenuto tale. Il brevetto del 1938 applicava tale principio alle pareti del recipiente, le quali, preventivamente sollecitate, si predisponevano a resistere alle pressioni delle sostanze liquide che dovevano contenere, senza il rischio di deformazioni non controllate. A tal fine, fra le pareti da mettere in reciproco stato di sollecitazione, era prevista l’introduzione di sacchette, costituite da materiale flessibile e diverso a seconda della natura delle pareti, che venivano poi riempite con malta cementizia o sostanze asfaltiche. Su tutta la superficie delle sacche si veniva, quindi, a creare una pressione ben definita che, a seguito del successivo indurimento della sostanza iniettata, avrebbe mantenuto costante lo stato di compressione per deformazione.

Una ulteriore evoluzione del progetto si ebbe nello stesso anno con il brevetto dal nome “Perfezionamento ai serbatoi in conglomerato cementizio per combustibili liquidi”, che introduceva la Tipologia di serbatoi con intercapedine in materiale sciolto. L’impenetrabilità degli oli all’interno del conglomerato è data dalla presenza di piccole quantità di acqua all’interno dei pori dello stesso; con il tempo, la perdita di acqua nei pori del calcestruzzo rende il materiale più permeabile ai prodotti petroliferi. Il brevetto risolveva l’inconveniente mantenendo sempre umida la parete in calcestruzzo, attraverso l’introduzione di materiale sciolto poroso e imputrescibile (come pozzolana, pomice, pietrisco, polvere di coke o farina fossile) all’interno dell’intercapedine formata tra due strati di conglomerato cementizio; il materiale sciolto tendeva, infatti, a trattenere fra i pori elevate quantità d’acqua, che mantenevano ad umidità costante l’adiacente parete interna iin calcestruzzo, rendendola impenetrabile agli idrocarburi presenti nel serbatoio.

Sempre nel 1938 la società Nervi & Bartoli depositava il brevetto n° 364418 che apportava alcune migliorie alla tenuta ed era applicabile a qualsiasi serbatoio con mantello in calcestruzzo armato. Il brevetto, denominato “Perfezionamento ai serbatoi in conglomerato cementizio armato per combustibili liquidi”, mirava a ridurre il prosciugamento della parete cementizia che costituiva il mantello, utilizzando sostanze igroscopiche (come il cloruro di calcio) nel confezionamento dell’intonaco applicato alla superficie esterna del serbatoio, in grado di assorbire, quindi, l’umidità atmosferica.

Il successivo brevetto n°375055 rappresenta, invece, un’evoluzione del n°363646 del 1938 e difatti riporta la stessa denominazione “Procedimento e dispositivo per creare e mantenere uno stato di pressione determinato in valore e direzione, fra due corpi, ad esempio fra una struttura edilizia e il terreno d’appoggio”. La ditta Nervi & Bartoli raggiungeva in questo caso un alto livello di specializzazione nella induzione di stati di coazione fra struttura e terreno, sviluppando quella che si può definire la Seconda modalità di forzamento preventivo. La parete interna del serbatoio veniva realizzata con speciali blocchi in calcestruzzo magro composti da due parti, una a C e una a T, accostate fra loro e tra le quali veniva inserito un tubo in juta. Dopo la messa in opera, i tubi di juta venivano riempiti d’acqua, provocando in tal modo l’allontanamento delle due parti dei blocchi e la formazioni di intercapedini (in posizione alternata rispetto a quelle contenti i tubi) che venivano, pertanto, riempite con malta cementizia. Dopo la presa della malta, le sacche che contenevano acqua venivano svuotate, svitando il tappo presente nei cunicoli di ispezionamento, e successivamente estratte dall’intercapedine. I blocchetti di forzamento potevano essere affiancati ad una struttura portante in muratura oppure ad un mantello in cemento armato contro terra, consentendo il costipamento e l’assestamento del sistema terreno-struttura.


Con il brevetto n°377827 del 1939, “Perfezionamento nella costruzione di serbatoi murari con foderatura in lamiera metallica, specialmente per combustibili liquidi”, veniva invece introdotto un sistema per risolvere alcuni inconvenienti esecutivi e di esercizio per i serbatoi murari con incamiciatura in sottili lamiere metalliche. Veniva presentato, infatti, un metodo che consentiva il controllo delle saldature tra le giunzioni dei vari fogli prima della messa in esercizio, nonché il controllo della tenuta nel tempo. Il sistema prevedeva di disporre l’incamiciatura metallica non a diretto contatto con la struttura muraria, costituente le pareti ed il fondo del serbatoio, ma lasciando fra essi una intercapedine di limitato spessore. Le lamiere venivano fissate con chiodi, le cui teste sarebbero poi state coperte dalla saldatura, su correnti di legno fissati a loro vota con zanche alla struttura muraria. Ciò consentiva di collaudare la tenuta delle saldature attraverso l’introduzione di aria a leggera pressione nell’intercapedine, passando nel contempo una soluzione saponosa sulla superficie della lamiera: la formazione di bolle avrebbe evidenziato anche la minima perdita. Inoltre, assegnando una pendenza alla struttura muraria, ogni perdita di liquido che si sarebbe verificata durante la fase di esercizio sarebbe stata immediatamente rilevata ispezionando il pozzetto posizionato nel punto di convergenza prestabilito. L’ultima famiglia di serbatoi interrati ideati da Nervi appartiene alla Tipologia con pareti in argilla plastica che risale al 1940. Con il brevetto n°384152, denominato “Perfezionamento ai serbatoi per liquidi e particolarmente per idrocarburi mediante l’adozione di fondi o pareti in argilla plastica”, Nervi sfruttava il principio secondo cui l’argilla, sufficientemente pura e opportunamente trattata e costipata, presenta una perfetta impermeabilità al passaggio dei liquidi, quali anche gli idrocarburi. L’argilla veniva, quindi, disposta sul fondo e nelle intercapedini del mantello ed era mantenuta costantemente allo stato plastico, nonché costipata. Una ulteriore variante venne poi introdotta con il brevetto n°388212 del 1940 dal nome “ Perfezionamento ai serbatoi per liquidi e particolarmente per idrocarburi mediante l’adozione di fondi o pareti in argilla plastica” che prevedeva il caso in cui il serbatoio interrato fosse realizzato in un terreno argilloso, molto compatto e quindi già di per sé impermeabile.

I serbatoi interrati in Sicilia

Man mano che procedeva nella progettazione dei diversi tipi di serbatoi, Nervi con la sua impresa fece fronte alle diverse commesse ricevute, realizzandone numerosi esemplari in varie località italiane (del centro-sud), tutte con posizioni strategiche e dotate di importanti attrezzature portuali: Gaeta, Cagliari, Palermo, Siracusa, Trapani e Pozzuoli in provincia di Napoli. Trattandosi di aree coperte da segreto militare, fino ad epoca recente, scarse sono le informazioni sui serbatoi realizzati e sulla loro esatta ubicazione, anche se è possibile - in parte - individuarli esaminando le foto aeree delle località interessate.

Alcuni di essi, come quelli realizzati a Palermo per l’Aeronautica Militare, sono stati oggetto di studi ed approfondimenti recenti3 , che hanno consentito di localizzare le dodici strutture ipogee nella zona militare di Monte Pellegrino, all’interno del parco della Favorita.

Nel fondo Nervi del Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma sono conservati diversi disegni non datati relativi al progetto per serbatoi di Nafta per Palermo, che ne evidenziano le precise caratteristiche tecniche e dimensionali. Si tratta di una versione del brevetto Doppia parete cementizia di tenuta e controllo per grandi serbatoi interrati del 1937, con elementi che presentano un diametro di 36 metri e colonne alte 16,5 metri (ventidue per serbatoio). Indagini sui luoghi hanno evidenziato che in corrispondenza di ogni serbatoio sono ancora presenti gli ingressi delle discenderie che permettevano l’ accesso al sistema di percorsi sotterranei, costituiti da cunicoli coperti a volta che ospitavano le condotte e permettevano l'ispezione.

Attraverso questi cunicoli sotterranei le dodici cisterne erano messe in comunicazione tra loro e con il porto da cui si apriva la prima discenderia4 .

Anche se non vi sono notizie precise circa l’epoca della loro realizzazione è possibile avanzare l’ipotesi che risalgano a dopo il 1937, anno in cui fu depositato il relativo brevetto.

Oltre ai disegni di archivio, esistono anche alcune foto storiche5 che riprendono le cisterne di Palermo all’epoca della realizzazione e che consentono di apprezzare la particolare spazialità interna, scandita dalla fitta rete di colonne, che evoca gli affascinanti spazi ipogei delle antiche cisterne romane (come le Cisterne di Istanbul o Yerebatan Sarniçi e la Piscina Mirabilis a Bacoli in provincia di Napoli).

3 I serbatoi interrati realizzati a Pozzuoli (Napoli)

A partire dal 1939 la ditta Nervi & Bartoli progettò e realizzò quindici serbatoi interrati anche a Pozzuoli, nella provincia occidentale di Napoli, per la Regia Marina Militare e per la Regia Aeronautica.

Pozzuoli era dotata di un porto strategico e i serbatoi, localizzati in tre ambiti diversi e a breve distanza, erano collegati tra di loro e con il porto mediante un articolato sistema di condotte interrate.

Le cisterne, anche se perfettamente funzionanti già alla fine degli anni ’30, non furono poi mai utilizzate e quando furono dismesse, alla fine della guerra, contenevano ancora gli idrocarburi che sono rimasti lì per decenni, fino al massiccio lavoro di bonifica avviato nei primi anni del 2000 e tuttora in corso.

Dei quindici serbatoi, tredici erano destinati a contenere nafta ed erano localizzati, parte (cinque), presso la via Campana, nella zona nord-occidentale della città in un’area confinante con il cimitero (alla Via Alfonso Artiaco), e, parte (otto), a ridosso dell’area archeologica di via Celle nella zona nord, mentre altri due serbatoi, commissionati dalla Regia Aeronautica, erano ubicati in Via vecchia delle Vigne, presso la via Solfatara, ai piedi la collina di Cigliano.

Presso gli archivi6 sono stati ritrovati solo i progetti relativi a tre dei cinque serbatoi di via Alfonso Artiaco, che risultano tuttora esistenti anche se completamente interrati ed inaccessibili.

Si tratta di manufatti cilindrici (la pianta circolare era utilizzata affinché la struttura si comportasse come un arco soggetto a spinte esterne) con diametro interno pari a circa 29,50 metri e diametro esterno pari a circa 33,50 metri. Il mantello perimetrale non superava l’altezza di 20 metri (onde evitare eccessive pressioni sul fondo) per un'altezza complessiva pari a 23,75 metri.

La tecnica costruttiva utilizzata è quella dei serbatoi a forzamento preventivo, con il mantello costituito da due pareti in blocchetti cementizi prefabbricati separati da un’intercapedine riempita con muratura di tufo e malta di calce e pozzolana. La parete contro terra era realizzata con blocchetti sagomati a C ed a T con i tubi interposti per il forzamento preventivo7 , così come era stato illustrato nel brevetto n°375055 del 1939, mentre la parete interna era realizzata con blocchetti forati per garantire la tenuta ed il controllo di eventuali perdite di liquido, così come brevettato nel 1937 (n°348774) e come già utilizzato nei tipi realizzati a Palermo8 .

All’interno del serbatoio erano poi impostati 19 pilastri in calcestruzzo armato per il sostegno della copertura. Il fondo era costituito da una platea in calcestruzzo armato ricoperta da uno strato di rivestimento idrofugo in asfalto e sovrastante masso delle pendenze in calcestruzzo magro, su cui venivano messi in opera gli stessi blocchi forati impiegati per la parete interna del mantello, con i fori disposti in continuità orizzontale, in modo da realizzare anche per il fondo lo strato di controllo e tenuta del liquido. I canali formati dai fori dei blocchi, disposti sia sul fondo che sulla parete, confluivano poi in un cunicolo perimetrale dove si sarebbero raccolte le eventuali perdite. L’eliminazione di eventuali fuoriuscite di gas, nonché l’aerazione per le manutenzioni, erano garantite dagli stessi blocchi utilizzati nella parete verticale, che facevano confluire i gas in sommità.

Il fondo, in corrispondenza della base dei pilastri, non presentava lo strato in blocchi forati, ma era costituito da una soletta in calcestruzzo con tubi in cemento inglobati e posizionati in continuità con i fori dei blocchi prefabbricati. Superiormente, completava il fondo una soletta in calcestruzzo armato dello spessore di 7 centimetri, che risvoltava anche sulla base troncoconica dei pilastri, mentre sotto la platea di fondazione era previsto un altro sistema per il forzamento preventivo che poteva essere impiegato per l’eventuale costipamento del fondo. Si trattava di una serie di tubi di canapa Ø 150, disposti ad un interasse di 60 centimetri, nei quali – a seguito della maturazione della platea - poteva essere iniettata malta cementizia a pressione, attraverso apparecchi opportunamente predisposti; l’azione di costipamento del terreno si sarebbe ottenuta con la pressione esercitata dalla malta cementizia iniettata.

Anche la copertura era realizzata in più strati: sui pilastri, posti ad una distanza radiale di 5,30 metri e collegati in sommità da travi in c.a., erano impostate voltine anulari in calcestruzzo armato gettate su casseforme a perdere in mattoni e livellate all’estradosso con muratura in tufo; superiormente una serie di muretti (0.70 m x 0.30 m) in blocchi di cemento e malta di calce e pozzolana, sormontati da tavelloni, consentivano di realizzare uno strato con aerato per lo sfogo dei gas, essendo le camere d’aria, così ricavate, collegate tra di loro attraverso fori predisposti negli stessi muretti; la copertura era poi completata in successione da uno spesso strato (2 metri) di muratura a sacco in tufo e malta di calce e pozzolana, uno strato di un metro di spessore costituito da pietrame alla rinfusa e circa 50 centimetri di spessore di terreno di ricoprimento.

In realtà Nervi aveva previsto anche una variante con copertura blindata9 , che non è stata però impiegata nei serbatoi in via Artiaco.

Interessanti sono anche le modalità di esecuzione dei lavori che Nervi indica minuziosamente in alcuni elaborati grafici. La prima fase comprendeva la realizzazione dello scavo anulare armato per l’esecuzione della parete statica del serbatoio e l’approntamento delle apparecchiature di messa in carico delle pareti. La seconda fase prevedeva l’esecuzione dello scavo interno con la realizzazione della platea, dei pilastri e delle volte anulari; la terza fase comprendeva la forzatura e messa in carico delle pareti; l’ultima fase consisteva nell’esecuzione della camicia di tenuta in gunite, del completamento della copertura e della sistemazione del terreno.

I cinque serbatoi realizzati alla via Artiaco sono collegati fra di loro mediante una rete di cunicoli voltati. Questi collegamenti interrati sono scavati nel tufo e sono larghi 3.00 metri e alti 2.50 metri. Era possibile accedervi anche mediante alcuni pozzi di discenderia dislocati lungo il tragitto. I cunicoli confluivano, poi, in una grande camera di manovra e di smistamento, anch'essa interrata, ripartita in tre vani: uno a pianta rettangolare, gli altri due a pianta trapezoidale aventi altezza di 12 metri. La camera di smistamento ricopriva un ruolo importantissimo per tutto il sistema di serbatoi, grazie ad essa, infatti, veniva gestito il flusso di nafta da convogliare nella zona del porto. La nafta arrivava al porto attraverso un’altra galleria scavata nel tufo (di 3.00 metri di larghezza e 2,5 metri di altezza) che, con un percorso rettilineo di 520 metri, superava un dislivello di circa 60 metri con una pendenza costante inferiore all' 8 %.

I cunicoli sotterranei mettevano in comunicazione i serbatoi di Via Artiaco anche con quelli realizzati poco distanti presso la necropoli romana in via Celle, nonché con quelli della regia Aeronautica in via Vecchia delle Vigne. Gli otto serbatoi di via Celle sono dislocati in un’area di circa sette ettari e furono realizzati anch’essi a forma cilindrica, con diametro esterno della base pari a circa 38 metri ed altezza interna pari a circa 12 metri. Il mantello in questo caso era costituito da muratura di tufo, con uno spessore di 90 centimetri, e incamiciatura in lamiera metallica.

Purtroppo non sono stati ritrovati i disegni originali di Nervi che avrebbero potuto fornire informazioni sulle caratteristiche dei serbatoi che non sono più rilevabili, in quanto due di essi sono andati distrutti (nel corso dei lavori per la realizzazione di un viadotto) e gli altri sei sono stati parzialmente smantellati a seguito delle opere di bonifica che hanno risparmiato solo il guscio esterno, privo della copertura. Quasi intatti, invece, si sono conservati i due serbatoi che attualmente ricadono nel Parco Urbano Attrezzato, recentemente inaugurato, in Via Vecchia delle Vigne10.

Anche se non vi è ancora una conferma che tali serbatoi siano stati effettivamente progettati e realizzati dalla Nervi & Bartoli, ciò è tuttavia molto probabile, in quanto vi si ritrovano modalità costruttive ed espedienti propri dei sistemi studiati da Nervi.

Le due cisterne, commissionate dalla Regia Aeronautica Militare, erano destinate a contenere kerosene o benzina avio. I serbatoi hanno una pianta circolare con diametro di 21,70 metri ed un’ altezza interna netta pari a 7,30 metri. Il mantello perimetrale è costituito da una parete in calcestruzzo armato spessa 35 centimetri con un’incamiciatura sulla superficie interna in ghisa dello spessore di 4 cm; lo stesso lamierino costituisce anche il fondo del serbatoio che poggia direttamente sul terreno.

Sedici pilastri in carpenteria metallica del tipo ad elementi gemelli, fondati su plinti isolati, sorreggono la copertura piana, costituita da un solettone in calcestruzzo armato, con armature incrociate, dello spessore di 50 centimetri,. Il collegamento pilastro - solaio di copertura avviene tramite un pulvino metallico tronco conico, dello spessore di 2 cm, su cui è saldata una piastra metallica a pianta quadrata (0,90m x 0,90 m) collegata mediante tirafondi al solaio. Lo stesso tipo di raccordo si ritrova anche alla base dei pilastri per il collegamento con i plinti di fondazione.

La copertura è, inoltre, sostenuta perimetralmente anche dal mantello, attraverso una serie di puntoni metallici (con profili al L accoppiati). L’accesso ai serbatoi era garantito attraverso quattro discenderie ricavate nella copertura e da un passo d’uomo, del diametro di un metro, nel mantello perimetrale, a circa un metro di altezza dal fondo. Questo accesso era reso possibile, in quanto i serbatoi sono collocati in un terreno in pendio e, quindi, presentavano un lato sul versante aperto della collina. Attualmente i due serbatoi risultano bonificati e sono accessibili attraverso passaggi posti alla quota del viale di ingresso del Parco. Questa circostanza rende sicuramente più agevole la possibilità di prospettare un eventuale ed auspicabile recupero dei manufatti che, senza comprometterne l’integrità, potrebbe renderli fruibili, raccordandosi alle attività previste nel Parco Urbano, disvelando al contempo un inedito documento della storia dell’ingegneria italiana del Novecento11.

Bibliografia
Argiroffi G. - Le cisterne interrate di Pier Luigi Nervi a Palermo, in Cantiere Nervi La costruzione di
un’identità. Storie, geografie, paralleli. Quaderni dello CSAC, SKIRA, Milano, 2012, pp. 209-212
Argiroffi G., Le cisterne sotterranee di Pier Luigi Nervi a Palermo. Lexicon n. 7/2008, pp. 75-77
Desideri P.; Nervi P.L.jr; Positano G. - Pier Luigi Nervi, Zanichelli, Bologna, 1979
Pica A. - Pier Luigi Nervi, Roma, 1969
Kidder Smith G. E., L’Italia costruisce, Milano, 1955, pp. 112-113
Nervi P.L., Scienza o arte del costruire? Caratteristiche e possibilità del cemento armato, Roma,
1945, tav. XXIV.

L'articolo completo è disponibile gratuitamente in allegato