Tettoia e soppalco abusivi: quali sono i confini del terzo condono edilizio? Dentro e fuori dalla sanatoria
Consiglio di Stato: in ogni caso non possono essere sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura assoluta o relativa, o comunque di inedificabilità, anche relativa
Torniamo su un 'classico' in urbanistica ed edilizia: il respingimento della domanda di sanatoria riferita ad un determinato condono, in questo caso il terzo condono edilizio, 'normato' dall'articolo 32 del DL 269/2003 convertito in legge 326/2003.
Le varianti edilizie della discordia
Nello specifico, il diniego di sanatoria ha per oggetto alcune varianti eseguite consistenti:
- a) nel cambio di destinazione d’uso dell’immobile, da agricolo a residenziale;
- b) nella realizzazione di una tettoia, di volumi tecnici e di un piano intermedio (soppalco interno).
Il diniego di condono si fondava sul rilievo che le opere abusive erano state ultimate dopo la scadenza (31 marzo 2003) prevista dalla legge 326/2003, tenuto conto che la documentazione agli atti evidenziava che, in epoca successiva a detta scadenza (il 19 maggio 2003 ed il 27 giugno 2003), tali opere non erano ancora state realizzate.
Secondo il ricorrente:
- a) l’amministrazione avrebbe erroneamente inteso il concetto di ultimazione delle opere abusive (in senso materiale e non già giuridico), facendo riferimento ad una disciplina non pertinente e non motivando sulle reali ragioni per cui il condono era stato rifiutato;
- b) violazione dell’art. 32 del d .l. n. 269/2003 (convertito con legge n. 326/2003) e dell’art. 2 della L.R. n. 12 del 2004 ed eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, in ragione della irrilevanza dei vincoli gravanti sulla zona, non imponendo l’inedificabilità assoluta.
La data di ultimazione delle opere abusive e il perimetro corretto per la sanatoria
Secondo Palazzo Spada, l'operato del comune e la decisione del Tar (conforme) sono corretti: il diniego è sorretto da plurime motivazioni, autonome tra loro, almeno una delle quali immune dalle censure dedotte dal ricorrente, per cui il ricorso va respinto.
Le opere per cui è stato espresso il diniego di condono hanno riguardato:
- a) la mancata realizzazione dei locali interrati nel corpo A dell’edificio;
- b) l’ampliamento del solaio di calpestio del piano terra con realizzazione di un portico;
- c) la realizzazione all’interno del corpo B) di quattro locali, in luogo dei tre previsti e di un soppalco;
- d) il cambio di destinazione d’uso da agricola a residenziale di alcune parti dell’immobile.
La nota comunale del gennaio 2015 ha motivato il diniego in ragione dell’esistenza, nell’area interessata dai lavori, avente destinazione a zona verde rurale, di più vincoli (idrogeologico, paesistico ambientale, Parco Nazionale del Circeo, Zona di protezione Speciale, c.d. Z.P.S.) da cui ha fatto discendere l’applicazione, alla vicenda in esame, della causa ostativa al condono ex art. 3, comma 1, lett. b) L.R. n. 12 del 2004.
Ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d) del d.l. n. 269 del 2003 (conv. con la l. n. 326/2003), il rigetto della domanda di sanatoria di un abuso edilizio scaturisce dalla sussistenza di un vincolo anteriore all’abuso, dall’assenza o difformità di un titolo abilitativo prescritto ed dal contrasto con le norme urbanistiche e con prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Il principio è ribadito anche dall’art. 3, comma 1, lett. b) della L.R. n. 12 del 2004, secondo cui, ferma restando la disciplina di cui agli artt. 32 e 33 della L. n. 47 del 1985 e dell’art. 32, comma 27, lett. d) cit., non è consentita la sanatoria di opere edilizie abusive realizzate, anche prima dell’apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali.
Opere abusive in aree sottoposte a vincoli: quando sono sanabili e quando no
Ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269 del 2003, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico come quelli di specie, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
- a) si tratti di opere realizzate prima della imposizione del vincolo;
- b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;
- c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria);
- d) vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo (v. Cons. Stato, Sez. VI, 2 agosto 2016, n. 3487).
Attenzione a questo passaggio: in ogni caso non possono essere sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura assoluta o relativa, o comunque di inedificabilità, anche relativa (Cons. Stato, Sez. VI, 2 maggio 2016, n. 1664; Cons. Stato, Sez. VI, 17 marzo 2016, n. 1898).
Nel caso di specie, in disparte i dubbi sulla riconducibilità delle opere ad epoca anteriore al 31 marzo 2003, i manufatti sono in contrasto con le prescrizioni urbanistiche, né l’appellante ha ben argomentato in ordine alla conformità di quanto realizzato all’assetto urbanistico – edilizio vigente all’epoca dei lavori.
L'area è infatti oggetto di intervento è classificata dal P.R.G. vigente come zona verde rurale, sottoposta alla disciplina dell’art. 17 delle N.T.A., disposizione che ammette esclusivamente la costruzione di edifici necessari e pertinenti alla conduzione del fondo rustico, tra cui case poderali e rurali, e consente la realizzazione di residenze plurifamiliari soltanto se rispondenti al fabbisogno del titolare dell’impresa agricola e di suoi diretti discendenti.
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