Tra sanatoria e agibilità: il condono edilizio non garantisce automaticamente l'abitabilità
Consiglio di Stato: anche in presenza di una concessione in sanatoria condonistica, non esiste dovutezza in deroga dell'agibilità in quanto l'art. 35, comma 20, legge 47/1985 non contiene una deroga generale e indiscriminata alle norme che presidiano i requisiti di abitabilità degli edifici
Aver ottenuto un permesso in sanatoria per una legge condonistica (nella specie, la n.47/1985) non significa automaticamente ottenere una deroga all'agibilità, e quindi all'abitabilità, di un fabbricato. Detta diversamente: c'è differenza tra agibilità urbanistica e agibilità sanitaria.
Il perché è spiegato molto bene dal Consiglio di Stato nella sentenza 6091/2021 dello scorso 30 agosto, relativa ad un ricorso proposto da una società immobiliare contro il diniego, da parte del comune (e confermato poi dal Tar Veneto) al rilascio del certificato di agibilità relativo ad alcune unità immobiliari.
Questi i principali motivi del ricorso:
- il giudice di primo grado ha errato nel ritenere che non si fosse formato il silenzio assenso sulle istanze di rilascio dell’agibilità, atteso che se è vero che l'art. 25, comma 5, dpr 380/2001 consente di interrompere il termine previsto per il rilascio del certificato al fine di richiedere documentazione integrativa, vero è anche che il termine stesso incomincia a decorrere nuovamente dalla data di ricezione di detta documentazione. Posto che il richiesto adempimento istruttorio è stato adempiuto in data 17 novembre 2011, da quella data il termine procedimentale (di trenta giorni) è tornato a decorrere e il procedimento si è completato, con il superamento del termine finale, precedentemente rispetto alla data di adozione degli atti di diniego che, per tale ragione, sono illegittimi;
- ai sensi dell'art. 35, comma 20, legge 47/1985, una volta che sia intervenuto l'accoglimento della domanda di condono edilizio, il rilascio del certificato di agibilità dell'immobile può avvenire in deroga rispetto alle norme regolamentari, sempre che non siano carenti le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di livello primario, ed è questa la situazione nella quale versano gli immobili condonati e rispetto ai quali (per tutto quanto si è sopra rappresentato, compresa la circostanza che il citato D.M. 5 luglio 1975 costituisce, semmai, una fonte secondaria, in quanto illustra alle amministrazioni solo alcuni profili in base ai quali valutare la salubrità o meno degli immobili e recando unicamente “modificazioni alle istruzioni ministeriali 20.6.1896 relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico sanitari principale dei locali di abitazione”) era stato chiesto il rilascio del certificato di agibilità.
Certificato di agibilità: le regole del procedimento
Palazzo Spada ricorda che il procedimento di rilascio del certificato di agibilità, disciplinato dall'art. 25 del dpr 380/2001 (testo vigente ai tempi della controversia), si articola(va) - sulla base dei seguenti principi fondamentali:
- il procedimento deve essere concluso nel termine di 30 giorni dalla ricezione della domanda di rilascio del certificato di agibilità o di 60 giorni (nel caso in cui l'interessato si sia avvalso della possibilità di sostituire con autocertificazione il parere dell'Asl);
- il decorso del termine per la definizione del procedimento importa la formazione del silenzio assenso sull'istanza di rilascio del certificato di agibilità;
- il termine del procedimento può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni dalla domanda, esclusivamente per la richiesta di documentazione integrativa, che non sia già nella disponibilità dell'amministrazione o che non possa essere acquisita autonomamente; in tal caso, il termine per la conclusione del procedimento ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa;
- il rilascio del certificato di agibilità non impedisce l'esercizio del potere di dichiarata inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell'art. 26 del dpr 380/2001.
Ebbene che il silenzio assenso si formi, per espressa previsione di legge, in ragione della colpevole inerzia dell’amministrazione procedente solo nel caso in cui l’istruttoria, in ordine al procedimento avviato su istanza di parte, sia integra e sussistano tutti i presupposti – di fatto e di diritto - per l’accoglimento dell’istanza, sono affermazioni che costituiscono principi generali a tutti noti.
Nel caso di specie l’istruttoria, indispensabile per la valutazione della accoglibilità dell’istanza (rectius, delle istanze) non è mai stata completata per responsabilità della società interessata e non per inerzia degli uffici comunali che, pressoché nell’immediatezza rispetto alla richiesta di rilascio dei certificati, avevano “denunciato” la necessità di acquisire documentazione indispensabile ai fini della valutazione dell’accoglibilità o meno delle relative richieste.
Condono e abitabilità: non c'è automatica corrispondenza!
Con riferimento, invece, alle specifiche doglianze proposte in sede di appello dalla società nei confronti della sentenza di primo grado che aveva respinto la censura di illegittimità dei provvedimenti di diniego di rilascio del certificato di agibilità per violazione dell’art. 35 della legge 47/1985 (applicabile ratione temporis alla vicenda qui in esame), si evidenzia che:
- la norma surrichiamata prevede che “a seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b) del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni”.
- la giurisprudenza del Consiglio di Stato, in merito all'interpretazione della citata previsione normativa, ha già avuto modo di affermare che il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio, ai sensi del citato art. 35, comma 20, legge 47/1985, può legittimamente avvenire in deroga solo ad autonome e autosufficienti disposizioni regolamentari e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da fonti normative di livello primario (eventualmente integrate, nel precetto, da norme di fonte secondaria), poiché la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. II, 23 dicembre 2020 n. 8289; Sez. VI, 16 dicembre 2019 n. 8502 e Sez. IV, 18 aprile 2014 n. 1997).
E' quindi escluso che l'art. 35, comma 20, legge 47/1985 contenga una deroga generale e indiscriminata alle norme che presidiano i requisiti di abitabilità degli edifici; e ciò proprio perché - come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza 256 del 10 luglio 1996 (e, già prima, con la sentenza 6 settembre 1995 n. 427) - la detta legge intende contemperare valori tutti costituzionalmente garantiti, quali, tra gli altri, da un lato il diritto alla salute e, dall'altro, il diritto all'abitazione e al lavoro.
Una interpretazione che validi una deroga generale e indiscriminata alla normativa a tutela della salute si porrebbe, dunque, in contrasto non solo con l'art. 32 Cost., ma anche con quelle stesse esigenze di contemperamento tra diversi valori costituzionali, sottese all'impianto normativo della legge 47/1985.
In definitiva: mentre potrebbero essere al più derogate disposizioni regolamentari non integrative di precetti della normazione primaria, non possono esserlo disposizioni di natura primaria, in quanto, rispetto ad esse, la deroga di cui all'art. 35, comma 20, legge 47/1985 non è ammessa.
Esclusa con ciò la configurabilità di un'automatica corrispondenza tra condono ed abitabilità, per come chiarito dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 256/1996, rileva il Collegio come, nel caso di specie, ad essere violate siano norme che, seppur previste dal citato decreto del Ministro della Sanità del 5 luglio 1975 (e quindi da norme di carattere regolamentare), nondimeno costituiscono diretta attuazione degli artt. 218 e 221 Testo unico leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265.
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