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Varianti in parziale difformità da titoli edilizi ante '77 e "agibilità sanante": cosa cambia col nuovo art. 34 ter del TUE

L’articolo analizza le novità introdotte dall’art. 34-ter del D.P.R. 380/2001, come modificato dal “Salva Casa”, che consente la regolarizzazione di difformità parziali in due casi: varianti ante 1977 e agibilità rilasciata in assenza di sanzioni.

Continua l’analisi del “Salva Casa“ con il nuovo art. 34-ter del T.U.E. che disciplina le modalità di regolarizzazione di interventi costituenti difformità parziali dal titolo rilasciato in due peculiari ipotesi:

  • (i) varianti in corso d’opera in parziale difformità da titoli rilasciati ante L. n. 10/1977 (commi da 1 a 3), regolarizzabili mediante presentazione di SCIA;
  • (ii) parziali difformità da (qualsiasi) titolo, rilevate dal Comune (ma non sanzionate) ed a cui sia seguito il rilascio del certificato di agibilità, soggette alla disciplina delle tolleranze costruttive.

Già la rubrica del nuovo art. 34-ter del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. (introdotto in sede di conversione del decreto cd. “Salva Casa“), consente di comprendere, ove fa riferimento a “casi particolari“ di interventi in difformità parziale, la peculiarità della disposizione intesa ad agevolare la regolarizzazione di difformità “minori“, risalenti nel tempo o comunque “tollerate“ dalla P.A.

La previsione è sostanzialmente suddivisa in due parti:

  • i primi tre commi che introducono una forma semplificata di regolarizzazione (di tipo simil-condonistico) applicabile alle ipotesi di interventi in variante in corso d’opera costituenti parziali difformità rispetto a titolo abilitativo rilasciato prima dell’entrata in vigore della L. n. 10/1977 (cd. “Legge Bucalossi“). Tali difformità sono “sanabili“ mediante presentazione di segnalazione certificata di inizio attività, previo pagamento di oblazione;
  • il comma 4 che disciplina invece le parziali difformità al titolo abilitativo (anche successivo all’entrata in vigore della L. n. 10/1977), accertate dal competente ufficio comunale all’esito di sopralluogo ma non sanziona te. Tali difformità – sempreché sia stato rilasciato il certificato di abitabilità od agibilità dell’immobile e detto certificato non sia più annullabile d’ufficio – sono soggette alla disciplina delle tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis del medesimo T.U.E.

  

Le varianti ante ’77

Nel passato accadeva sovente che, per esigenze emerse nel corso dei lavori o, comunque, per scelte adottate in corso d’opera, venissero realizzati interventi parzialmente diversi da quelli assentiti; nondimeno accadeva che tali difformità fossero “tollerate“ dall’Amministrazione comunale (per un approccio magari più “permissivo“ e, ad ogni modo, in una cornice normativa senz’altro meno rigorosa rispetto a quella attuale).

In altri termini, a fronte di difformità “minori“, di frequente i funzionari comunali non sollevavano contestazioni e si finiva, pertanto, per rilasciare l’abitabilità o l’agibilità sul presupposto (inesatto) della conformità dello stato realizzato rispetto a quello assentito.

Si aggiunga l’enorme divario di mezzi tecnologici e strumentazione rispetto a quelli odierni e, quindi, inevitabilmente, la maggiore approssimazione degli elaborati che inducevano ad un atteggiamento più “elastico“ a fronte di variazioni ritenute trascurabili.

Il “giudizio“ su dette difformità è tuttavia progressivamente mutato; il quadro normativo si è via via fatto più severo e più “intransigente“ il contegno della pubblica amministrazione.

Si ritiene sia questa la ragione per cui, in sede di conversione, il Legislatore ha inteso inserire una speciale disciplina di regolarizzazione relativa, anzitutto, alle varianti in corso d’opera costituenti difformità parziali a titoli rilasciati prima dell’entrata in vigore della L. n. 10/1977.

Tale limite temporale non è ovviamente causale. La citata L. n. 10/1977 ha infatti, per la prima volta, disciplinato le varianti in corso d’opera (art. 15) prevedendone la regolarizzazione purché non in contrasto con gli strumenti urbanistici ed a condizione che non modificassero sagoma, superfici utili e destinazione d’uso e che fossero comunque approvate prima del rilascio del certificato di abitabilità.

La speciale disciplina di cui all’art. 34-ter del D.P.R. n. 380/2001 (commi 1-3) risponde dunque all’esigenza di consentire la regolarizzazione anche delle difformità parziali, realizzate in corso d’opera, rispetto a titoli rilasciati in epoca anteriore alla L. n. 10/1977.

Sul punto, come opportunamente rilevato dalle «Linee di indirizzo e criteri interpretativi sull’attuazione del D.L. del 29 maggio 2024, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 luglio 2024, n. 105 (D.L. “Salva Casa“)» del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, da ultimo pubblicate, gli interventi realizzati “in variante“, e costituenti difformità parziali, «possono essere stati realizzati anche in data successiva al 30 gennaio 1977, purché entro i limiti di validità temporale del titolo che permettono di caratterizzare gli interventi come variante».

È quindi il titolo abilitativo – in variante al quale sono realizzate opere in difformità parziale – che dovrà essere anteriore alla L. n. 10/1977. Le difformità, purché realizzate nel periodo di validità temporale della licenza, potranno anche risalire a periodo successivo.

Il che, tipicamente, può accadere nel caso, di titolo rilasciato, a titolo esemplificativo, uno o due anni prima dell’entrata in vigore della L. n. 10/1977 con difformità realizzate, nel corso dei lavori, dopo il gennaio 1977 ma entro il termine triennale (decorrente dall’inizio dei lavori) di validità della licenza.

Il Ministero “lambisce“ un altro aspetto critico (che richiederebbe, tuttavia, intervento del Legislatore): ossia la concreta individuazione delle opere effettivamente riconducibili alle “difformità parziali“. Queste infatti non sono definite dal T.U. Ed. (che si limita ad individuare le “difformità totali“ e, rinviando alla disciplina di dettaglio regionale, le “variazioni essenziali“).

  

Le tipologie di difformità edilizie
Le tipologie di difformità edilizie

  

La relativa FAQ richiama alcuni arresti giurisprudenziali secondo cui:

«La parziale difformità si configura quando l’intervento, sebbene contemplato dal titolo abilitativo, risulti realizzato secondo modalità diverse da quelle previste a livello progettuale, e, quindi, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 ottobre 2024, n. 8072)». Od ancora «tale valutazione deve essere effettuata sulla base di un esame complessivo e non parcellizzato delle singole difformità, non potendosi dunque ammettere una qualificazione di ognuna di esse come difformità solo parziale dell’immobile assentito rispetto a quello realizzato (Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 ottobre 2020, n. 6432)».

Si tratta senz’altro di “spunti“ utili i quali tuttavia, in assenza di una espressa definizione normativa, si ritiene renderanno incerta – quanto meno in taluni casi – una sufficientemente chiara perimetrazione delle difformità cd. parziali.

  

L’epoca di realizzazione delle varianti

Si pone inoltre il problema di attribuire una data certa alla realizzazione delle varianti (visto appunto il limite temporale di applicabilità coincidente con l’entrata in vigore della “Legge Bucalossi“).

Il comma 2 prevede che l’epoca di realizzazione delle varianti è provata mediante la documentazione di cui all’art. 9-bis del T.U.E.

 

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Soggiunge che nel caso in cui sia impossibile accertare l’epoca di realizzazione della variante mediante la documentazione di cui al citato art. 9-bis, la data di realizzazione delle opere può essere attestata dal tecnico incaricato.

La formulazione di tale previsione desta qualche perplessità. L’impossibilità di provare la data di realizzazione delle opere mediante gli elementi di prova indicati dall’art. 9-bis cit. (e dunque informazioni catastali di primo impianto, riprese foto- grafiche, estratti cartografici, documenti d’archivio, «altro atto pubblico o privato di cui sia dimostrata la provenienza» e ultimo titolo abilitativo) non sembra lasciare alcun margine per l’attestazione del professionista; attestazione, che, come il medesimo comma 2 si premura di ricordare, è resa dal tecnico «sotto la propria responsabilità» e pena le sanzioni penali previste dall’ordinamento «in caso di dichiarazione falsa o mendace».

Le linee guida ministeriali si sono pronunciate sull’ambigua formulazione normativa che, al primo periodo, richiama, più genericamente, «l’epoca di realizzazione delle varianti», mentre al secondo periodo (ove è appunto prevista l’attestazione del tecnico incaricato) fa riferimento, più rigorosamente e precisamente, alla «data di realizzazione». A riguardo il Ministero ha precisato che «Il tecnico incaricato potrà limitarsi ad attestare, più in generale, l’epoca di realizzazione della variante».

Restano, ad avviso di chi scrive, i profili critici cui si accennava. Come può il tecnico incaricato attestare, «sotto la propria responsabilità», (anche solo) l’epoca di realizzazione della variante in assenza di tutti gli elementi, dati ed informazioni individuate dall’art. 9-bis T.U. Ed.?

 

Inizio attività certificata

Ai sensi del successivo comma 3, gli interventi di cui sopra possono essere regolarizzati mediante presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività previo pagamento, a titolo di oblazione, di una somma «determinata ai sensi dell’art. 36-bis, comma 5».

Numerosi i richiami al ridetto art. 36-bis anche con riguardo ai profili “procedimentali“.

Segnatamente, è prevista l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 36-bis, commi 4 e 6.

Pertanto, in caso di interventi «eseguiti in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica» (comma 4) l’accertamento di compatibilità paesaggistica può essere rilasciato «anche in caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati».

Ed anche in tale ipotesi troverà applicazione l’istituto del silenzio-assenso allorché i pareri degli Enti preposti alla tutela paesaggistica non siano resi nei termini di legge.

Analogamente, troverà applicazione il medesimo meccanismo silenzioso anche nel procedimento di accertamento di conformità edilizia (v. comma 6 dell’art. 36-bis, alla stregua del quale, decorso il termine di 45 giorni senza che l’Amministrazione si sia pronunciata, «la richiesta si intende accolta»).

Il Ministero ha infatti chiarito che «La procedura di regolarizzazione di cui ai commi 2 e 3 riguarda esclusivamente gli aspetti edilizi.

Nei casi in cui l’intervento sia stato effettuato in area sottoposta ad altri regimi – ad esempio, sismico o paesaggistico – sarà, comunque, necessario coinvolgere le altre Autorità competenti per ottenere le prescritte autorizzazioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati» e che «Il rinvio operato all’art. 36-bis, commi 4 e 6, è volto […] a regolare aspetti di natura procedurale […]. In particolare […]:

  • l’applicazione della procedura relativa agli interventi realizzati in zone vincolate sotto il profilo paesaggistico; e
  • l’operatività dell’istituto del silenzio assenso».

L’ultimo alinea del terzo comma dell’art. 34-ter dispone infine che, per gli interventi realizzati in assenza od in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, «resta fermo quanto previsto dall’art. 36-bis, comma 5-bis» (ossia l’applicazione, accertata compatibilità paesaggistica, della sanzione ambientale, previa perizia di stima, di importo equivalente alla maggior somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione).


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Regolarizzabilità della parziale difformità

Nulla abbiamo ancora detto sulla necessità di comprovare, ai fini della sanatoria, la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica e/o edilizia al momento di realizzazione dell’opera e/o a quello di presentazione della segnalazione certificata di inizio attività.

Ebbene, la “specialità“ della disciplina introdotta dai primi tre commi dell’art. 34-ter del T.U. Ed. risiede proprio nella regolarizzabilità della parziale difformità senza necessità che sussista alcuna conformità né alla disciplina tecnica dell’edilizia, né a quella urbanistica e né la cd. «doppia conformità» e nemmeno la conformità «asimmetrica» dell’art. 36-bis (ragione per cui abbiamo definito il nuovo istituto dell’art. 34-ter in commento di tipo «simil-condonistico»).

In effetti, diversamente opinando, tale disciplina non avrebbe utilità pratica andandosi a sovrapporre all’accertamento di conformità edilizia ex art. 36-bis

Il Ministero ha confermato, con pertinente FAQ, che «Ai fini del perfezionamento della SCIA in sanatoria non è richiesta la sussistenza della doppia conformità, rigida o semplificata, di cui agli artt. 36 e 36-bis del Testo Unico».

..continua la lettura dell'articolo integrale
nella rivista A&B - 01/29025 dell'Ordine degli Ingegneri di Genova

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