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Prodotti Immobiliari e Progetti Esistenziali

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Transform Data into Insights è uno slogan lanciato da Microsoft per valorizzare strumenti legati all'interpretazione (e alla regolazione?) dei fenomeni attraverso le Data Analytics, utilizzando il maggior numero possibile di dati numerici, più o meno strutturati: una delle magnifiche ossessioni del nostro tempo.

Sotto questo profilo, di conseguenza, ciò che rileva è il fatto che ogni azione (e ogni pensiero?) siano registrabili (con la Distributed Ledger Technology, eventualmente) in forma numerica e strutturata.
 
Testfit, ancora, ad esempio, su un piano molto più specifico, propone soluzioni computazionali che permettano di ottimizzare le soluzioni distributive e planivolumetriche di un edificio residenziale, anche in funzione di parametri fruitivi, utilizzando un'altra delle categorie oggi in voga, il Generative Design.
 
Si tratta forse di uno dei tanti modi per indicare che le logiche che si attribuiscono al «BIM» possano rapidamente risalire a monte del processo decisionale, rivolgendosi direttamente agli attori finanziari nelle fasi embrionali del processo decisionale.

Valorizzare il dato numerico che interessa il comportamento degli individui

Uno degli effetti più rilevanti della digitalizzazione è, dunque, per certo valorizzare il dato numerico che concerna il comportamento degli individui, al fine di indirizzare a essi le proprie offerte politiche, sociali, commerciali.
 
D'altra parte, una volta di più, Daniel Davis, una delle figure di spicco in WeWork, ricordava su Architect Magazine come agli architetti sarà sempre più richiesto progettare strutture di dati, poiché questi ultimi, appunto, traducono ormai operativamente il funzionamento dei cespiti e il comportamento degli utenti, in una sorta di reductio ad unum.
 
WeWork ha ampiamente dimostrato, al proposito, che cosa significhi rilevare puntualmente i dati relativi ai comportamenti e alle preferenze di coloro che utilizzano gli spazi di lavoro.
In questo scenario, anche il prodotto immobiliare è destinato a subire una profonda evoluzione, che non può ricondursi unicamente allo sviluppo delle PropTech, ma che andrà a incidere sul significato ultimo degli attori e dei beni.

L'importante concept che AECOM, in collaborazione con Lend Lease, ha recentemente proposto per Mindlab appare assolutamente in linea con questo indirizzo e ne costituisce un prezioso indizio, ancorché «sperimentale».
Nicola Colella aveva anticipato i contenuti dell'iniziativa nel corso dell'evento organizzato dal DICATAM e da eLux Lab dell'Università degli Studi di Brescia, assieme ad Agorà e a MADE EXPO, presso la nota manifestazione fieristica il 14 Marzo 2019, mettendo magistralmente in risalto questa questione fondativa per il settore della costruzione e dell'immobiliare che regolarmente si è affrontata in questa sede in passato.

Essa riguarda, infatti, la natura ultima del prodotto (?) immobiliare e si coniuga col tema complementare della Rete come meta-piattaforma digitale di configurazione delle soluzioni attinenti agli investimenti in capitale fisso, che costituisce il tema di ricerca principale di cui si occupa lo scrivente.
 
In altri termini, si tratta probabilmente di immaginare un mercato globale in cui attraverso la Rete si sia in grado di individuare probabilisticamente le operazioni immobiliari e infrastrutturali più interessanti per un determinato profilo di investitore, profilo che, inoltre, si attagli a un determinato stile di vita, vale a dire a quello che, provocatoriamente, potremmo definire un peculiare «contratto esistenziale».
 
Naturalmente, il fenomeno si deve di primo acchito a un tendenziale cedimento della condizione proprietaria di detenzione del bene, a favore della locazione, sennonché ciò che sembra mutare di senso sono proprio i contenuti di quest'ultima.
 
In luogo, infatti, della disponibilità a titolo provvisorio di un cespite fisico, si immagina ovunque di poter offrire una serie personalizzata di servizi a consumo agli occupanti, ma ancora non è chiaro quanto ciò possa essere consolidato e con quali tempi.
 
Come emerge, da più parti e con assoluta evidenza, non è tanto, tuttavia, a contare la dialettica tra prodotto e servizio (cespite servitizzato) quanto la natura della catena di fornitura, tema che interroga radicalmente l'intero comparto.
 
Se, infatti, è possibile affermare che il paradigma dello Space as a Service sia entrato, anzitutto grazie a WeWork, nell'immaginario collettivo, occorre, sotto questo profilo, capirne, in prospettiva, l'effettiva praticabilità diffusa, la sua istituzionalizzazione da parte del mercato, nel medio periodo, e il ruolo che la detenzione dei cespiti fisici continuerà a esercitare.
 
Parimenti, l'idea che il contenitore delle attività, ormai sempre più interconnesse, di vita, di viaggio e di lavoro debba divenire maggiormente adattivo, flessibile ed evolutivo, appare anch'esso embrionalmente accettato dalle comunità di riferimento (ad esempio, quella accademica o quella professionale), oltre una accezione negativa di precarietà e di provvisorietà, ma stenta ovviamente ad assumere una forma definita: ammesso che possa averla.
 
Sta di fatto, tuttavia, che sulla «visione» il consenso sia comune, ancorché non completamente delineato, ma sulle conseguenze di essa poca riflessione sia stata compiuta da parte degli operatori tradizionali, anche di quelli che non si lasciano ingannare dal successo prodotto dalle proprie attività.
 
Nella narrazione offerta da Mindlab si coglie, peraltro, un tratto comune ad altri tentativi, più parziali, come quello intrapreso da IBM e Kone sulla mobilità orizzontale e verticale nell'edificio: una idea di «dematerializzazione» del componente, nel senso di anteporre la funzione al mezzo, fungibile nel tempo.

Il nuovo mercato della costruzione e dell'immobiliare 

Ciò che, tuttavia, risulta determinante, in termini evocativi, a partire da quel «Laboratorio» che idealmente, sta diventando Milano, specialmente la «Milano dello sviluppo immobiliare», verte a mio avviso, su due aspetti complementari:
  1. la riconfigurazione della filiera (e della catena di fornitura) come «sistema di sistemi», laddove l'oggetto della «costruzione» diviene sempre più una offerta integrata e continuativa di servizi (e di emozioni) tramite i cespiti im-mobili;
  2. la possibilità di «contrattualizzare» percorsi esistenziali, per cui i beni tangibili siano «strumentali» a esperienze e a progetti di vita e di lavoro.
Per entrambi i punti, in effetti, l'Internet of Platforms, vale a dire una Interoperable Intelligence, potrebbe generare, forse in via disintermediata, una sorta di mercato globale della costruzione e dell'immobiliare che generi al contempo soluzioni ottimali in relazione al manufatto, inteso come dispositivo di fruizione di servizi individualizzati alla persona, e alle fasi della propria, di quest'ultima, esperienza, singolare e collettiva, nel ciclo della vita.
 
Se, da un canto, nell'ottica dinamica dello spazio e dell'ambiente costruito, vani e componenti possono mutare nel corso del tempo, ma, anche, comunicare in tempo reale e in remoto i valori effettivi e notarizzati delle proprie prestazioni, per un altro verso, questa dimensione di «servizio» che a essi si attribuisce può riflettere simulazioni dei modi d'uso che, in definitiva, nell'ottica del capitalismo di sorveglianza per cui Amazon può conoscere tempestivamente e individualmente le abitudini del sonno dell'utente attraverso gadget illuminotecnica collegati ad Alexa e a Echo, corrispondono a stili di vita: delocalizzabili su scala intercontinentale?
 
Per questa ragione, in potenza, le logiche computazionali e combinatorie relative a modelli comportamentali, relazioni spaziali, sistemi costruttivi, alimentano l'ipotesi dei manufatti cognitivi, capaci, cioè, di «riconoscere» gli occupanti e di supportarne o persino progettarne le relazioni in chiave evolutiva e interattiva attraverso spazi immateriali e componenti interconnessi.
 
È un tentativo già parzialmente in atto in diversi organismi di progettazione, anche in Italia, con l'apporto congiunto di competenze digitali, sociologiche, neurobiologiche e psicologiche, con l'obiettivo di declinare, appunto, in «contratti» forme e spazi che riflettano progetti esistenziali ed esperienze (nel senso da alcuni già definito di «sensorialità»).
 
Di là di nuovi materiali, «quadri-dimensionali», il punto sta, perciò, non tanto nell'eventualità che i tradizionali attori della filiera della costruzione e dell'immobiliare possano scomparire, o almeno essere profondamente riallocati, quanto nel comprendere il loro ruolo all'interno di un sistema di produzione di entità, mobili e im-mobili (muta il cespite o si sposta l'utente?), che abbiano i maggiori valori aggiunti e i maggiori margini di profitto in risvolti strettamente attinenti alla soddisfazione (quanto singolare?) del ciclo di vita della persona che, peraltro, diviene pure cittadina/o ai tempi della digitalizzazione.
 
Personalmente, credo che un simile scenario possa inverare ciò che la strategia denominata Digital Built Britain abbia chiamato Social Outcome o Service Provision, che corrisponde, in definitiva, alla fase di massima espansione del settore dell'ambiente costruito: ma anche alla sua massima modificazione di significato.
 
Potrebbe, se davvero questa opzione si avverasse, il settore sopravvivere, nel senso di conservare un ruolo decisivo, a un tale sconvolgimento?
Può essere Milano, nel contesto internazionale, nell'attuale finestra temporale di successo, il luogo dimostrativo di una tale accezione di sviluppo immobiliare, con una capacità riproduttiva, sul mercato domestico e su quelli internazionali, del business model? Esportare stili di vita attraverso «dispositivi» immobiliari?
Saprebbero gli attori tradizionali del settore agire come driver anziché a traino del fenomeno, quali meri beneficiari (sino a che momento?) passivi?