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Gazebo in legno, opera temporanea o permanente? Quanto pesano tempo e dimensioni? La sentenza

Tar Campania: un gazebo di dimensioni importanti e copertura in coppi non è una struttura precaria

C'eravamo tanto 'preoccupati', della differenza tra opere edilizie temporanee (altrimenti dette precarie) e permanenti, che arriva subito un'altra sentenza a ricordarci come funziona il nostro vecchio e caro Testo Unico dell'Edilizia (art.31 dpr 380/2001).

Il Tar Campania, infatti, nella pronuncia n.1783/2019 ha affermato che un gazebo in legno delle dimensioni in pianta pari a m. 4,5 x 3,00 e in altezza m. 2,20, ultimato ed in uso, con tetto a spiovente, copertura in coppi, grondaia per il convogliamento dell’acqua pluviale e sottostanti travi in legno non è una struttura precaria.

Insomma, a vederla così, sono le dimensioni a fare la differenza. O forse non è detto. Conta l'esigenza che l'opera deve soddisfare: nelle ipotesi in cui il gazebo costituisce una struttura funzionale a soddisfare esigenze permanenti, evidenziano i giudici campani, va considerato come manufatto in grado di alterare lo stato dei luoghi, con riflessi non solo per il profilo urbanistico ma anche per quello paesaggistico-ambientale.

Ad avviso di costante e condivisa giurisprudenza, un’opera può essere qualificata come precaria ove sia destinata ad essere rimossa non appena siano venuti meno i bisogni, meramente occasionali, che ne hanno determinato l’installazione. Se, invece, la costruzione sia precostituita al soddisfacimento di interessi stabili e permanenti, come accade nell’ipotesi in esame, viene meno il requisito della precarietà (cfr. ex multis, TAR Firenze. Sez. III, 17 aprile 2018, n. 556).

Gazebo importante e duraturo: non basta la SCIA

Secondo la ricorrente le opere in questione (oltre al gazebo, c'era anche un capannone delle dimensioni in pianta pari a m 7,00 x 10,00 e in altezza media di circa m. 3,20, composto da struttura metallica con copertura e chiusura laterale in plastica trasparente e pavimentazione in cls, in uso a deposito vario), per natura e caratteristiche, avrebbero richiesto di premunirsi di semplice D.I.A./S.C.I.A.

In particolare, il gazebo non avrebbe comportato alcun incremento di volume e sarebbe comunque di modesto impatto urbanistico perché di ridotte dimensioni e costituito da una struttura interamente bullonata e smontabile, aperta su tutti i lati, mentre il deposito, impropriamente definito come “capannone”, consisterebbe invece in una struttura destinata all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, ossia un’opera strettamente legata – per modalità esecutrici, materiali utilizzati e destinazione impressa - all’attività agricola che si svolge sul fondo e, pertanto, non assoggettabile ad autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 149, lett. b), d.lgs. 42/2004. Inoltre, la struttura non comporterebbe alcuna permanente alterazione dello stato dei luoghi né dell’assetto idrogeologico del suolo.

Per il Tar la tesi non regge, le opere vanno demolite perché prive del permesso di costruire.

Amovibilità e precarietà: se non ci sono, serve il permesso

Diversamente dagli assunti del ricorrente, infatti, sia il gazebo sia il capannone, per le caratteristiche costruttive, unite alla zona in cui sono state erette (E1 agricola normale), peraltro in area vincolata ai sensi del d. lgs. 42/2004, sono opere che avrebbero richiesto il permesso di costruire unitamente all’autorizzazione paesaggistica. Il gazebo descritto nel provvedimento impugnato rientra tra le opere “prive dei connotati della precarietà e dell’amovibilità”.

Dividendo le due opere:

  • le riproduzioni fotografiche allegate alla memoria di costituzione del comune lasciano pochi dubbi sulle caratteristiche del gazebo, il quale si palesa per essere una struttura solida, con tetto a spiovente, copertura in coppi, grondaia per il convogliamento dell’acqua pluviale e sottostanti travi in legno, tutti elementi che la rendono una struttura solida ed affatto provvisoria;
  • riguardo al capannone, lo stesso costituisce un manufatto chiuso su tutti i lati con pavimento in calcestruzzo, con evidente alterazione dello stato dei luoghi e con evidenti aumenti plano-volumetrici, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Trattasi a tutti gli effetti di una nuova costruzione per la quale sarebbe stato necessario acquisire il permesso di costruire, unitamente all’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 d. lgs. 42/2004, non conseguibile a sanatoria in via postuma, in presenza della chiara preclusione dettata dall’art. 167, comma 1, n. 4) d. lgs. 42/2004.

LA SENTENZA INTEGRALE E' DISPONIBILE IN FORMATO PDF


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