Data Pubblicazione:

Riusare senza rifiutare: il riuso come strumento di conservazione di energia e materia

L’esempio di una comune bottiglia mostra la sottile differenza tra un bene e un rifiuto, le possibilità che quest’ultimo può avere per tornare ad essere un bene e le occasioni che possiamo dare a un oggetto per non dover essere mai considerato un rifiuto. Il riuso ha una tradizione storica che è parte stessa dell’ingegnosità umana, strumento essenziale nella sua quotidiana lotta per la sopravvivenza. Nella contemporaneità fatta di sfruttamento dissennato del pianeta è diventata una risorsa che potrebbe essere recuperata per diminuire l’ammontare dei rifiuti prodotti e salvaguardare le risorse della Terra. Attraverso un design sostenibile questa esigenza dovrebbe essere prevista già in fase di progettazione, facendo sorgere nuove opportunità di lavoro artigianale sia nei paesi a basso che ad alto sviluppo umano. [1] “Di sicuro si sa solo questo: un certo numero d’oggetti si sposta in un certo spazio, ora sommerso da una quantità d’oggetti nuovi, ora consumandosi senza ricambio; la regola è mescolarli ogni volta e riprovare a metterli insieme” [Calvino, 1972].

L’esempio di una comune bottiglia mostra la sottile differenza tra un bene e un rifiuto, le possibilità che quest’ultimo può avere per tornare ad essere un bene e le occasioni che possiamo dare a un oggetto per non dover essere mai considerato un rifiuto. Il riuso ha una tradizione storica che è parte stessa dell’ingegnosità umana, strumento essenziale nella sua quotidiana lotta per la sopravvivenza. Nella contemporaneità fatta di sfruttamento dissennato del pianeta è diventata una risorsa che potrebbe essere recuperata per diminuire l’ammontare dei rifiuti prodotti e salvaguardare le risorse della Terra. Attraverso un design sostenibile questa esigenza dovrebbe essere prevista già in fase di progettazione, facendo sorgere nuove opportunità di lavoro artigianale sia nei paesi a basso che ad alto sviluppo umano. “Di sicuro si sa solo questo: un certo numero d’oggetti si sposta in un certo spazio, ora sommerso da una quantità d’oggetti nuovi, ora consumandosi senza ricambio; la regola è mescolarli ogni volta e riprovare a metterli insieme” [Calvino, 1972].

Parole chiave: Riuso, rifiuti, autocostruzione, ecodesign, architettura

La differenza tra bene e rifiuto

Se compro una bibita, e me la bevo, la bottiglia di vetro che la conteneva diventa subito un rifiuto. Il suo passaggio dalla categoria di bene a quella di rifiuto è avvenuto perché è cessata la funzione per la quale era stata creata e non perché la bottiglia in sé abbia subito delle trasformazioni sostanziali, dato che né il vetro che la compone, né il tappo che la chiude hanno subito cambiamenti. La bottiglia potrebbe ancora contenere un altro liquido, ma non risponde più ad una particolarissima funzione, che è quella di contenere quella determinata bibita insieme alla quale mi è stata venduta.
Se un oggetto diventa un rifiuto non significa dunque che sia anche inutilizzabile, quindi la differenza è solo semantica: e se quella che chiamiamo bottiglia la definissimo con qualunque altra parola, fosse anche con il termine rifiuto, potrebbe comunque contenere liquidi. E non solo.
Nella bottiglia di vetro usata non vediamo solo un rifiuto, perché il materiale che la compone può essere riciclato e avere una nuova vita come bottiglia o come altro oggetto del tutto o in parte in vetro, in un ciclo ripetibile innumerevoli volte. Si recuperano così le materie seconde che componevano la bottiglia: il vetro perde la sua forma originaria ma non la sua consistenza materica, e viene trasformato in qualcos’altro.
L’utilità del riciclo è assodata, ma ci si può chiedere se non si possa fare di meglio. Dalla creazione al riciclo il processo è lineare [Saint-Gobain, 1989]: dalle materie prime viene creato un impasto vitreo, che diverrà una bottiglia; terminato l’uso e volendo riciclare il vetro la bottiglia verrà frantumata, e per far questo si impiegherà energia; una volta riottenuti gli elementi base per creare il vetro, questo sarà nuovamente fuso nella pasta vitrea (ancora energia) per ricreare un’altra bottiglia (con altra energia). Ma oltre all’energia impiegata per il riciclo andrebbe considerata anche quella andata persa, l’energia grigia [Zeumer e Hartwig, 2010] che era già stata impiegata nel primo processo di produzione della bottiglia.
Per realizzare un oggetto, anche apparentemente semplice, l’industria studia approfonditamente le caratteristiche dei materiali che lo comporranno e come la loro correlazione possa combinare nuove e migliori qualità. Anche la forma ha un ruolo importante: la cosiddetta “energia nella geometria” rende necessari oltre 1.785 kg/cm2 di pressione per frantumare una bottiglia, mentre bastano 482 kg/cm2 (un terzo!) per sbriciolare blocchi prefabbricati con lo stesso vetro, conferendo alle bottiglie una resistenza paragonabile a quella dei mattoni o dei blocchi di calcestruzzo [Foti, 1982]. Ma quando si ricorre al riciclo questa qualità merceologica [Bologna, 2010], cioè questa quantità di lavoro progettuale e industriale incorporata nella merce, va irrimediabilmente persa.



Figura 1. Nel riuso rispetto al riciclo il punto 3 può ripetersi senza consumo di energia.
 

CONTINUA LA LETTURA >>> SCARICA IL PDF

Da Baratta A. F. L., Catalano A., Il riciclaggio come pratica virtuosa per il progetto sostenibile, Edizioni ETS, Pisa, 2015