Il futuro dell’umanità
“Il futuro dell’umanità” è un omaggio alla memoria e alla materia dei libri, intrecciando poesia e riflessione sul capolavoro di Hrabal in un racconto che trasforma la casa in architettura dell’anima. Un testo suggestivo che invita architetti, ingegneri e geometri a pensare gli spazi come luoghi vivi, custodi di storie, emozioni e identità collettive.
Il futuro dell’umanità
Il futuro dell’umanità è una libreria. La luna in plenilunio luccica con la prima orma della suola di Armstrong. Ora sei entrata dentro il profumo di un olivo in fiore. La duna di sabbia oltre il calore trasparente è il colore delle tue cosce e dei tuoi fianchi. E il prato di margherite in fiore emette l’inudibile suono delle tue immobili ciglia. Cammino nella sabbia umida e penso alla tua pelle, penso alla tua schiena, bagno il viso in quell’acqua santa e mi faccio il segno della croce con la verticale del tuo sesso e l’orizzontale della mia bocca.
Bohumil Hrabal con “Una solitudine troppo rumorosa”, tradotto e curato da Sergio Corduas per Einaudi. Un libro stupendo e crudamente tenero, che onora i libri quando stanno per morire e che si chiude (divinamente) con una poesia in omaggio allo (zio) Kafka.
È la storia di un uomo che per 35 anni pressa carta vecchia e ne spreme il meglio come per le olive nel Talmud, immerso in quintali, tonnellate di libri, valanghe, cornucopie di libri, creando “una specie di museo immaginario dell’antico passato e del vivente presente”.
Ma, come scriveva György Lukács, il presente è inesistente, il passato minaccioso è il futuro (ormai) così ben, ah così ben conosciuto… quindi? Quindi è una trappola, uno strano inferno in cui i cieli non sono umani e dove “l’uomo che si occupa del pensiero non è umano neanche lui.”
La “Solitudine” è un assoluto capolavoro (anche di schegge e frammenti di letteratura). In questi giorni del ricordo, dove il mio corpo segue il pensiero nei luoghi più cari del riposo infinito, guardo le pareti della mia “casa libro” e ogni anno che passa mi sembra di essere sempre più nel sottosuolo di quell’antico palazzo di Praga.
Mio padre è sempre lì, curioso e stupito tra il (pro)fumo della sua pipa e la ciambella che fa la nostra gatta accanto al suo braccio, mentre legge seduto al tavolo.

Dalla rubrica «Marcello Balzani: tra Parola e Immagine»
C’è un numero che, più di altri, incarna l’idea di equilibrio e compiutezza: sei. È il primo numero perfetto, perché somma dei suoi divisori (1, 2, 3), ma è anche la metrica dell’esametro omerico, che ha guidato per secoli il racconto del viaggio, del mito, dell’umano.
A questo numero si ispira la struttura di “Perfetto Sei”, una rubrica che raccoglie i testi di Marcello Balzani come pensieri in cammino, intrecciati a immagini e citazioni che non illustrano, ma evocano, non spiegano, ma interrogano.
Il titolo è anche un gioco di specchi: si può leggere come “Sei perfetto”, allusione alla somiglianza divina dell’essere umano, fatto — secondo la tradizione — a immagine di Dio. Un invito, forse, a riscoprire nel frammento la traccia di un’armonia nascosta.
Ogni articolo della rubrica ospita progressivamente sei pensieri. Sei come unità compiuta, come sequenza che diventa ciclo. Quando l’articolo si completa, ne nasce uno nuovo. E ogni nuovo inizio si pone in cima alla serie, come il primo passo di un nuovo viaggio. L’intero progetto si dispiega così in una serie aperta di cerchi perfetti, ognuno con il proprio tema originario e la propria traiettoria di senso.

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