BIM | Digitalizzazione
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BIM: Incognite, Vincoli, Limiti ed Evoluzioni

In sintesi, il testo solleva diverse questioni critiche riguardanti la digitalizzazione nel contesto professionale e imprenditoriale, mettendo in evidenza le sfide, le opportunità e le tensioni che emergono in questo processo complesso. Le riflessioni presentate invitano a una valutazione approfondita delle strategie, delle tecnologie e delle competenze necessarie per navigare in un paesaggio in rapida evoluzione.

Per molti, l’acronimo BIM sta per Building Information Modelling, per altri equivale a Digital Innovation.

Nel primo caso, si vuole intendere una sfera piuttosto circoscritta, mentre, nella seconda circostanza, si indica una parte per il tutto.

Per alcuni, il BIM riguarda le tecnologie, in apparenza assai concrete, per talaltri concerne i processi, di primo acchito piuttosto evanescenti.

Per questa ragione, storicamente gli utenti degli strumenti solo in un secondo tempo hanno avvertito la necessità di regolare e di coordinare le proprie attività secondo criteri definiti sia nelle guide linee sia negli execution plan, proprio perché una operatività individualistica non può sortire gli esiti desiderati, a prescindere anche dalla volontà della controparte contrattuale o di altri attori, come, ad esempio, quelli preposti ai percorsi autorizzativi.

La definizione ufficiale di BIM, contenuta nella norma UNI EN ISO 19650-1, così recita: «utilizzo di una rappresentazione digitale condivisa di un cespite immobile per facilitare i processi di progettazione, di costruzione e di esercizio, in modo da creare una base decisionale affidabile».

In maniera coerente, ma distinta, il Codice dei Contratti Pubblici, D. Lgs. 36/2023, così tratta i metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni: «metodologie, processi e tecnologie abilitati dalla formulazione dei requisiti informativi e dalla modellazione dei dati, che permettono la collaborazione e lo scambio di dati strutturati fra i soggetti interessati durante tutte le fasi del ciclo di vita, in particolare finalizzati a mitigare e gestire i rischi, a migliorare lo studio della fattibilità e a incrementare l'efficacia di un investimento pubblico, nelle fasi di progettazione, realizzazione e gestione nel ciclo di vita dei cespiti fisici quali edifici, infrastrutture e reti».

La ratio comune a entrambe le definizioni è evidentemente incentrata sul ruolo della qualità del dato e dell’informazione per incrementare l’efficienza e l’efficacia dei processi decisionali lungo tutte le fasi del processo edilizio o infrastrutturale.

Incentivi e Competenze

Vi è una necessità di incentivare la formazione professionale e l'acquisizione di dispositivi digitali. Le competenze richieste non sono limitate a un settore ma sono trasversali.

Per quanto esista, prima e oltre il 1992, data in cui compare formalmente in una pubblicazione scientifica la locuzione BIM, una storia del BIM, il punto effettivo è che l’acronimo trascende qualunque significato originario possa avere posseduto e che, per questa ragione, esso risulta sempre più ingombrante, senza poter essere rimosso definitivamente, in virtù della sua capacità evocativa, epperò sempre nella percezione del suo limite da orto recintato.

In altre parole, una migliore implementazione della digitalizzazione, in linea teorica, come si vedrà nelle conclusioni di queste riflessioni, dipenderebbe dalla evasione dall’acronimo, al fine di trattare senza mediazioni ciò che abbia a che fare con i dati e le informazioni: sostanzialmente, una simile condizione sembra, purtroppo, assai improbabile, cosicché dal BIM si dovrà pur sempre iniziare, restando esso prefisso o suffisso, apparentemente insuperabile.

Chi scrive, già diversi anni or sono, al Politecnico Federale di Zurigo, ragionava con Gerhard Girmscheid sulla possibilità di considerare il BIM come una vera e propria disciplina autonoma: con esito, ovviamente, negativo, stante la natura del tema, oscillante tra l’essere ancillare e l’essere trasformativo.

Per il BIM, infatti, si sono, nel passato, utilizzate espressioni quali game changer o transformational agent, oppure si è detto di elemento per il re-shaping o il re-thinking del settore.

Maturità Digitale

La progressione verso una maturità digitale richiede l'inclusione di esperti come i data scientist, ma sorge la domanda se il settore sia sufficientemente attraente e remunerativo.

L’unica certezza risiede, però, nella constatazione che su di esso si sia creato un mercato di forniture e di servizi, interagente con quelli del CAD e del GIS, con differenti gradi di sviluppo tra edifici e infrastrutture, tra nuova costruzione e interventi sul costruito, ma pure che siano note aspirazioni strategiche da parte delle istituzioni pubbliche nelle forme delle strategie industriali.

Non vi ha dubbio, pertanto, che il settore della costruzione e dell’immobiliare, in questi ultimi lustri, abbia iniziato a confrontarsi col tema della digitalizzazione, nel nome del BIM, ma quanto consapevolmente lo abbia fatto è oggetto di discussione.

E ciò è dipeso da fattori esogeni, cioè dalla sua capacità di pensarsi definitivamente sia come settore dell’ambiente costruito, in dialogo con l’ambiente naturale, denso di criticità, per i noti problemi, sia, in maniera non facilmente reversibile, quale settore industriale.

Le ambizioni che vi sono sottese riguardano, perciò, l’occuparsi di uno spettro molto ampio di cespiti e di sistemi, edilizi, infrastrutturali, ma anche reticolari (dal settore idrico a quello energetico) per proporsi come comparto centrale nel panorama economico nazionale.

Sotto questo punto di vista, le problematiche palesi nella digitalizzazione sono interconnesse con l’irresolutezza di queste questioni che rimandano, successivamente, alla debole forza del comparto nell’evidenziare ai decisori politici e finanziari esattamente la propria effettiva rilevanza, assai incisiva.

In quest’ottica, il BIM e la digitalizzazione sarebbero utensili della valorizzazione reputazionale del settore stesso, potrebbero essere spesi a questi fine.

Semplificazione vs Innovazione

Vi è una tensione tra il desiderio di semplificare i processi esistenti e la necessità di riformulare e innovare, con una preoccupazione che una semplificazione eccessiva possa ostacolare la crescita.

Si noti, purtuttavia, che tale irresolutezza, come si cercherà di comprendere, è icona di una aporeticità costitutiva, per la quale non appare semplice sciogliere o tagliare nodi gordiani.

E’, infatti, la vicenda del settore, a partire dall’Ottocento, secolo di consolidamento delle identità professionali e imprenditoriali, che testimonia questo impedimento, affatto legittimo.

Con ciò si vuol dire che, se, per un verso, la questione industriale, a digitalizzazione mutata, si stia riproponendo tal quale nel senso della industrializzazione edilizia (Design for Manufacturing and Assembly od Off Site Construction), per un altro, l’antagonismo tra i soggetti committenti e i prestatori di servizi e di lavori e, in special modo, l’antitesi tra cultura professionale e cultura imprenditoriale risale, appunto, alle origini della moderna contemporaneità, alla fine del Settecento, laddove si formano le identità dei professionisti, formalizzate attraverso gli ordini professionali e le scuole accademiche, e degli imprenditori, che si evolvono come costruttori e come immobiliaristi.

Le infrastrutture informative legate al CAD e al GIS, di fatto, sinora non hanno messo in discussione gli statuti di cui si accennava: l'ambizione o la velleità del BIM starebbe, invece, nel farlo.

Al contempo, però, una delle conseguenze indesiderabili potrebbe consistere nella evoluzione, supportata dalla digitalizzazione, delle prestazioni intellettuali in commodity.

Onerosità e Valore

La costosa natura degli strumenti digitali richiede una valutazione dell'effettivo ritorno sull'investimento e una considerazione del valore dei metodi e dei dispositivi

In molti Paesi, europei ed extraeuropei, il BIM è, a ogni modo, incluso esplicitamente nei programmi strategici nazionali, talora supportati dalla legislazione nazionale, oltreché dal diritto comunitario, e, in suo nome, è da anni in corso anche una prolifica produzione normativa volontaria a livello nazionale, sovranazionale e internazionale.

Secondo un meccanismo di emulazione, ma anche di contestualizzazione, questi programmi nazionali, di cui quello britannico (nelle sue diverse articolazioni statali) è stato l’antesignano per eccellenza, poi proposto dal governo medesimo a livello intercontinentale, contengono una narrazione promettente significativi risultati, il cui conseguimento comincia a essere oggetto di puntuale verifica, anzitutto, a livello comunitario.

È, del resto, la stessa policy della Commissione Europea, nel contesto delle riforme legate al tempo attuale, a indicare la digitalizzazione come pilastro del progetto di riforma insieme alla resilienza e, ovviamente, alla sostenibilità.

Tutto ciò induce una specie di convinzione generalizzata sulla inevitabilità della digitalizzazione, ma è proprio questa forte genericità del termine che si cercherà di sollecitare in questa sede.

Che cosa significa, in ultima analisi, per qualunque attore del settore, promuovere ladigitalizzazione?

Occorre, dunque, chiedersi, di là della naturale constatazione dell’enorme dilatazione delle tematiche digitali che stanno investendo il settore, talché il BIM ne sia solo una componente assai parziale, quale cultura del dato stia permeando gli attori e gli operatori del settore.

Transizione e Trasformazione Digitale

Viene enfatizzata la necessità di una transizione ben pianificata e di una trasformazione che consideri l'autonomia e la consapevolezza degli operatori.

A prescindere dai cosiddetti campioni nazionali, che hanno lodevolmente e profittevolmenteinvestito risorse umane e strumentali, potendo, peraltro, sostenere l’onore dei progressivi aggiustamenti, i numeri non paiono rivelare una proliferazione esponenziale della diffusione.

Non la indicano gli osservatori, né le analitiche dei mass media né la banca dati di ACCREDIA relativi ai profili professionali certificati: essi semmai indicano una crescita tendenziale, i cui tratti sono da meglio comprendere per intuirne la crescita prospettica.

A fronte di una unanime convinzione circa le inesorabili e progressive sorti della digitalizzazione, così come pure di una certa perplessità su come essa sia intesa da una buona parte dei praticanti, sarebbe utile forse ricondurre le considerazioni a un ambito più realistico e disincantato.

La digitalizzazione, di cui il BIM sarebbe l’araldo, appare, a leggere una certa letteratura, non poco banalizzata, ma dietro a una legittima richiesta di maggiore comprensibilità e di maggiore semplificazione, bisognerebbe domandarsi che cosa vi sia.

D’altro canto, quanti si sono sinora esercitati nel chiarire che cosa significhi parlare di modelli o che cosa siano realmente gli strumenti per la modellazione e quanti utenti dei dispositivi, pur abili nel loro impiego, siano pienamente consapevoli delle azioni che stanno compiendo in materia di gestione dei dati e dei protocolli?

Ha senso formare gli operatori sugli strumenti senza renderli pienamente edotti del loro significato dal punto di vista dell’ingegneria dell’informazione?

Limitandosi al BIM, senza esplorare, ad esempio, la necessità di adottare l’intelligenza artificiale da parte del settore (un tema, invero, che richiederebbe perlomeno di saper attrarre competenze spendibili in tutti i settori economici), sussiste certamente una certa onerosità per l’acquisizione di una postazione per quanto riguarda l’investimento richiesto alle micro e alle piccole organizzazioni, vincoli tecnologici in relazione ad alcune discipline e sotto settori, scarsa capacità delle tecnologie propriamente dette di simulare i processi e gli eventi dinamici tipici dell’interconnessione tra le entità, e così via.

Omogeneizzazione e Standardizzazione

L'adozione di standard comuni è cruciale, ma solleva interrogativi sulla possibile perdita di identità e equilibrio tra le parti coinvolte.

Tutto questo richiama il tema degli eventuali incentivi da concedere agli operatori professionali e imprenditoriali, ma servirebbe anche la considerazione che tutti i saperi più avanzati della digitalizzazione necessitino di competenze trasversali a ogni settore economico: che sono, pertanto, contendibili tra essi.

Si vuol dire, quindi, che se, da un lato, sarebbe utile disporre di risorse per formare i profili professionali specifici e per acquistare i dispositivi corrispondenti, da un altro lato, la progressione della maturità digitale richiederebbe di avvalersi anche di data scientist.

È il settore sufficientemente attrattivo e remunerativo per raccogliere pure queste competenze (non disciplinari) nell’ambito del settore?

Scontato, perciò, il fatto che, per rendere davvero profittevole il dato, magari distaccandosi dal documento, occorrano anche percorsi formativi specialistici largamente estranei, quanto a fondamenti disciplinari, agli operatori del settore (a oggi inesistenti o disertati) per forza di cosa, la sensazione è che al fondo vi siano condizioni eccentriche rispetto al tema, così influenti dal renderlo a molti soggetti sideralmente lontano dalla prassi e dal vissuto quotidiano.

Al contempo, però, questi molti soggetti, implicitamente, paiono rivelare di non essere interessatialle articolazioni che una cultura e una operatività avanzate hanno posto in essere negli anni, reclamando, appunto, una sorta di esplicitazione più comprensibile, più divulgabile.

In un certo senso, si potrebbe ritenere che vi sia una richiesta, questa sì, di semplificazione, di limitarsi a efficientare i processi tradizionali, quasi a dire che la struttura consolidata del mercato non potrebbe sopportare riformulazioni eccessivamente eversive.

Si può, però, veramente pensare che una simile semplificazione possa realmente aiutare questi soggetti e che evitare la transizione dal documento al dato valga l’impresa?

Il quesito da porsi, allora, probabilmente non dovrebbe vertere sul fatto che i contenuti più raffinati non siano utili a una comprensione basilare e che, dunque, la comunicazione elementare dovrebbe essere delegata ai cosiddetti divulgatori, bensì sulla constatazione che, confermando gli assetti attuali del settore e del mercato, il BIM e la digitalizzazione siano inevitabilmente destinati a uno stallo: anche perché questa semplificazione è accompagnata, non di rado, da una involontaria de-valorizzazione, anzitutto sul piano dei costi e dei prezzi dei servizi consulenziali, ma, al contempo, le conoscenze sull’argomento, negli anni sempre più raffinate, divengono più faticosamente condivisibili coi neofiti.

In altri termini, la onerosità degli strumenti evocherebbe la richiesta di rendere meno costosi i metodi (dalla consulenza strategica in poi), ma sono questi ultimi che rendono più utili i dispositivi.

Al proposito, forse le catene di fornitura create dai migliori esponenti potrebbero svolgere una funzione preziosa sotto il profilo maieutico.

Ammesso e non concesso che le comunicazioni o le esplicazioni riduzioniste siano davvero utili alla causa, al più probabilmente potrebbero contribuire giusto per ottimizzare i processi analogici, benché ciò richiederebbe pure di valutarne l’effettivo ritorno sull’investimento, il tema si pone, non si potrebbe ignorarlo.

Non si scordi, d’altronde, che la formalizzazione dell’argomento, per cui esiste un corpus di studi ormai robusto, ne mostra la crescita culturale e operativa avvenuta nel corso degli ultimi tre lustri.

Naturalmente, sui mercati internazionali non potrà che continuare la rincorsa alle soluzioni sempre più avanzate, almeno sul piano formale, della grande narrazione, perché poi su quello sostanziale molte verifiche si renderebbero opportune, ma senza una significativa riconfigurazione dei processi,non nominale, spesso trascurati, e una riqualificazione del capitale umano, ammesso che questo sia reperibile, il fenomeno potrebbe presto o tardi arenarsi in una terra intermedia.

Sotto questo profilo, i grandi sistemi professionali e imprenditoriali, in altri Paesi, stanno investendo collaborativamente sul tema, poiché, così facendo, si vedono riconoscere lo stesso statuto da parte degli analoghi sistemi, tra l’altro, nell’ambito dell’aerospazio o dell’autoveicolo.

Pare chiaro, comunque, che il tessuto atomizzato del mercato non possa essere ricondotto a questa fattispecie e che vale, per esso, sempre la massima per la quale la sorte peggiore consisterebbe nell’ereditare le peggiori prassi dal passato analogico e dal futuro digitale, auspicando, pertanto, di trovare un punto di equilibrio maggiormente inclinato verso le migliori pratiche relative, non certo assolute.

Non è un caso che vi sia oggi una forte preoccupazione per i metodi di valutazione della maturità digitale, perché essa tradisce il bisogno delle istituzioni nazionali e sovranazionali di decidere in quale misura la transizione digitale sia supportabile e in quali tempi si possa avverare.

A questo proposito, vi è una sostanziale distinzione tra la transizione e la trasformazione: nel primo caso è indubbia l’esistenza del transito, è nota la provenienza, ma non certa la destinazione.
Nella seconda evenienza, al centro vi sono le conseguenze della transizione, che implicano di dovere definire velocità e destinazioni differenziate.

Che cosa, perciò, si dovrebbe o potrebbe immaginare?

È, prima di tutto, palese che una capillare alfabetizzazione sugli strumenti degli operatori professionali e imprenditoriali li introdurrebbe in spazi nazionali e sovranazionali dei dati entro cui si porrebbe la necessità di tutelarne l’autonomia e la consapevolezza.

È un argomento sinora recepito con maggiore attenzione dai comparti manifatturieri, poiché per essi anche la materializzazione del rischio è più prossima.

Rischio e Produttività

La digitalizzazione è vista come un mezzo per aumentare la produttività, ma deve essere abbinata a una solida gestione dei rischi

Sorge, però, un primo interrogativo: una volta ottenuto un tale, estremamente impegnativo successo, ciò darebbe adito a una dematerializzazione o informatizzazione dei processi analogici esistenti, ottimizzando gli stessi, oppure potrebbe portare a una autentica digitalizzazione, ad assetti strutturali invariati del mercato?

È chiaro che la dotazione all’operatore medio dei dispositivi, con una istruzione sugli stessi, senza che a costui sia fornita una coscienza della transizione, non potrà permettergli di essere protagonista della trasformazione, ma è questo ciò che tale soggetto, per primo, desidera?

D’altro canto, un tale esito implicherebbe una normalizzazione dei processi, in termini tassonomici: da cui la giusta insistenza sul ruolo dei dizionari dei dati e su quant’altro graviti intorno a essi, ma, al contempo, si assiste spesso alla difficoltà, da parte delle organizzazioni più attrezzate, a rinunciare alle proprie specifiche modalità consolidate.

In definitiva, questa opera di normalizzazione potrebbe permettere, ai gestori delle piattaforme digitali, di sviluppare analisi predittive e, dunque, di assumere un ruolo preoccupante, o almeno da disciplinare, di eterodirezione del mercato: il che giustificherebbe l’impellenza della costituzione di una piattaforma istituzionale.

L’omogeneizzazione e la trasparenza delle transazioni, informative, contenutistiche e commerciali, potrebbe essere accettata dal mercato, o meglio, da mercati locali, spesso addirittura sub provinciali, in cui le entità agiscono spesso con reti informali, caratterizzate da una elevata flessibilità?

Del resto, tutti i temi legati alla interoperabilità costitutivamente comportano una accettazione di modi e di contenuti standardizzati perché si rifanno alla finalità della reductio ad unum, quantunque ispirata alla democratizzazione, alla eterogeneità, alla simmetria delle informazioni e al contrasto ai comportamenti opportunistici o alla corruzione.

Resta, in secondo luogo, la vexata quaestio relativa alla possibilità di non intaccare identità ed equilibri tra i soggetti coinvolti nei processi e nei contratti: come è evidente a chiunque esamini la transizione tra la fase della progettazione e quella della realizzazione per quanto riguarda i modelli informativi, la cui struttura risente dei punti di vista, irriducibili.

La difficoltà a integrare culture, ruoli e responsabilità così diversi e antagonisti rappresenta oggettivamente un grande impedimento all’affermarsi della cultura industriale nel settore, come dimostrano le controversie intorno all’appalto integrato, e depotenziano fattualmente la digitalizzazione come fattore abilitante, ma è possibile fare altrimenti?

Sostenibilità

L'introduzione di criteri di sostenibilità sta influenzando la valutazione degli investimenti, con una richiesta di indicatori quantitativi e qualitativi

In realtà, il tema dell’omogeneizzazione è riferibile anche alla necessità (o ambizione?) di ricondurre il quadro regolamentare, ma anche le scelte progettuali, realizzative e gestionali, alla leggibilità da parte degli algoritmi, sollevando non solo numerose incognite in materia, ma anche la preoccupazione intorno a esiti riduzionisti.

Qui si apre il confronto con il mondo giuridico su una prospettiva comune a tutti i contesti socio-economici, per cui tutto sarebbe assoggettabile a semi-automatismi, controllati.

Anche il nanismo dimensionale e la parcellizzazione delle organizzazioni non sembra essere un fenomeno coerente colle logiche della digitalizzazione, ma si tratta di condizioni difficilmente mutabili, almeno nel medio periodo.

La digitalizzazione del settore è stata spesso associata all’incremento della produttività, cronicamente in declino, ma è il rischio l’elemento principale, che costringe a considerare assieme InformationProjectRisk Management.

Ancora una volta, è la complessa natura della produzione nel settore, foriera di peculiari alee e turbolenze a spiegare limiti e vincoli del trasferimento dei paradigmi invalsi in altri settori dell’economia nazionale.

Il punto di svolta è stato, infine, offerto dalla introduzione valoriale dei criteri di sostenibilità integrale, che sta connotando pervasivamente la valutazione della concessione dei capitali di debito e l’allocazione degli investimenti da parte dell’universo della finanza.

La digitalizzazione sarà chiamata a procurare una dimensione qualitativa e quantitativa per gli indicatori corrispondenti a tali criteri da valutare, in accordo a richieste sempre più diffidenti nei confronti di affermazioni di principio.

E si tenga conto che queste sporadiche riflessioni non fanno che lambire marginalmente tutti gli ambiti della digitalizzazione complementari al cosiddetto BIM, la cui elencazione sarebbe protratta, che inducono a chiedersi quanto i dati prodotti dal BIM siano collegabili con quelli generabili attraverso simili modalità, che sono orizzontali ai settori economici.

Paradossalmente, il BIM, come porta di accesso alla digitalizzazione per il settore, deve ora dimostrarsi di esser in grado di integrarvisi.

Sinora le maggiori esperienze sono state acquisite nelle due fasi distinte della committenza (intesa come fase della pianificazione/programmazione degli investimenti e come espressione dei requisiti contenutistici) e della progettazione.

Nel primo caso, solo raramente, ad esempio nell’ambito della edilizia ospedaliera, dell’edilizia scolastica o dell’edilizia residenziale, la struttura committente (il soggetto proponente secondo la terminologia utilizzata dalla normativa internazionale) è stata in grado di formulare le proprie richieste, dal punto di vista delle strutture di dati, in maniera computazionale e, di conseguenza, è stata capace di verificarne allo stesso modo la conformità nei modelli informativi.

Interoperabilità con BIM

Il Building Information Modeling (BIM) viene visto come una porta di accesso alla digitalizzazione, ma deve dimostrare di poter essere integrato con altri dati e settori economici.

La fase della progettazione è stata, senza dubbio, quella maggiormente praticata, quantunque, da un lato, essa si sia svolta in assenza di precise richieste provenienti dalla controparte contrattuale, mentre, da un altro canto, sulle migliori prassi abbia influito il modus operandi ottimizzato all’interno della struttura di progettazione, non sempre in sintonia colle regole previste dal committente.

Vi è anche da dire che non sempre nei modelli informativi i dati strutturati di carattere alfa-numerico siano stati particolarmente presenti e che altrettanto non immancabilmente si sia assistito a una piena interoperabilità, specie nella direzione di una fluidità della concezione, tra gli strumenti della modellazione informativa e i dispositivi di calcolo o di simulazione disciplinare.

La stessa controversa vicenda relativa ai livelli di fabbisogno informativo, oggi normata a livello sovranazionale e internazionale, iniziata dai cosiddetti LOD, mostra esemplarmente le criticità incontrate.

È, tuttavia, con la diffusione delle pratiche nelle fasi di realizzazione dei lavori e di gestione dei cespiti, ormai avviata, che le tematiche digitali maggiormente avanzate stanno emergendo: dall’Artificial Intelligence all’Internet of Things, dalla Cyber Security all’Additive Manufacturing, e così cantando.

Il caso del Digital Twinning è esemplificativo per comprendere, nelle diverse fasi del ciclo di vita del cespite, della necessità di porre a sistema diversi sistemi informativi e diversi modelli simulativi, al punto da porre in discussione la natura stessa del bene, che diviene interattivo e comportamentale.

In conclusione, la presenza di hub e di portali nazionali (o sovranazionali ovvero internazionali), di natura istituzionale, potrebbe giovare alla causa di cui si discetta, accanto e a sostegno di una politica industriale, ma a condizione che siano preliminarmente affrontati molti nodi previgenti alla digitalizzazione, poiché essa non farebbe che enfatizzarli senza intrinsecamente poterli risolvere.

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