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Chiarimenti sulla tutela inerente all’occupazione di suolo pubblico

L'occupazione del suolo pubblico necessita di un'autorizzazione da parte dell'ente gestore, tipicamente il Comune, e il pagamento della TOSAP per compensare l'uso di tali aree, sottratto temporaneamente alla pubblica utilità. L'articolo 35 del DPR 380/01 stabilisce la demolizione degli interventi abusivi su suoli demaniali, rinforzando così la protezione delle aree pubbliche, come chiarito anche dalla sentenza del CGAR per la regione siciliana n. 176/2025.

L'occupazione del suolo pubblico: regole e normative

Le aree pubbliche non sono proprietà del singolo cittadino ma dello Stato o enti ad esso subordinati (o afferenti) e non possono essere utilizzate soggettivamente sottraendole alla collettività, anche se solo temporaneamente.
Ecco perché qualora un cittadino voglia occupare un suolo pubblico deve redigere specifica richiesta e attendere l’autorizzazione all’ente che le gestisce l’area pubblica e, qualora sia previsto, pagare un apposito tributo (Tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche, TOSAP) per compensare questa sottrazione seppur temporanea.

L’ente in questione è generalmente il Comune, ma in funzione del bene demaniale può anche essere lo stesso Stato, o come a volte capita l’ente Provincia.

Generalmente ogni amministrazione comunale adotta un proprio regolamento, dove vengono stabilite le procedure e le condizioni per ottenere questo permesso.

Bisogna però fare una distinzione tra l’occupazione di suolo pubblico e la concessione, infatti:

  • per occupazione di suolo pubblico si intende un utilizzo temporaneo di una specifica area pubblica e ha una durata limitata nel tempo (scadenza a breve termine);
  • per la concessione si intende un utilizzo quasi-permanente ovvero a lungo termine della specifica porzione di proprietà pubblica.

La tassa, a favore dei Comuni e delle Province, per l’occupazione del suolo pubblico è definita, come anticipato, Tosap.
La norma che tutela il suolo pubblico è l’art. 35 del DPR 380/01 (Testo unico dell’edilizia, TUE), il quale precisa che:

“Qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 28, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all'ente proprietario del suolo.

La demolizione è eseguita a cura del comune ed a spese del responsabile dell'abuso.

Resta fermo il potere di autotutela dello Stato e degli enti pubblici territoriali, nonché quello di altri enti pubblici, previsto dalla normativa vigente.

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, eseguiti in assenza di segnalazione certificata di inizio attività, ovvero in totale o parziale difformità dalla stessa.”
Il TUE prevede quindi una specifica tutela sull’uso dei suoli pubblici e sugli abusi edilizi su tali aree, imponendo la demolizione e permettendo al Comune di agire direttamente, recuperando i costi dal responsabile.

A chiarire le conseguenze sulla costruzione di un suolo pubblico è la sentenza del Consiglio di Giustizia amministrativa regionale (CGAR) siciliano n. 176/2025.

   

Proprietà demaniale e abusi: necessità di demolizione

Nella sentenza il ricorrente, proprietario di un immobile, ha contestato l’ordinanza comunale con la quale veniva disposta la demolizione di due corpi tecnici realizzati in assenza di titolo edilizio su un cortile di circa 20 mq. Il ricorrente sosteneva fermamente che l’area fosse privata “sdemanializzata, sia pur tacitamente”.

Tuttavia, la Corte d’Appello di Catania aveva, con una precedente sentenza, dichiarato che l’area avesse invece una natura demaniale e di conseguenza aveva rigettato la domanda inoltrata dal ricorrente di accertamento della proprietà privata.

Ne sussegue quindi l’appello al consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana il quale ha precisato che la “(…) parte appellante oblitera che trattasi di abuso edilizio pacificamente realizzato su area di proprietà demaniale (v. sentenza della Corte di Appello di Catania n. 1199/2021), al quale si applica la previsione dell’art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001 che prevede la necessaria demolizione degli interventi edilizi abusivi realizzati, da soggetti privati, su area demaniale, sia se eseguiti in assenza di permesso di costruire ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, sia se eseguiti in assenza di segnalazione certificata di inizio attività ovvero in totale o parziale difformità da essa.

Per indirizzo giurisprudenziale sedimentato (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 6 dicembre 2024, n. 9786; Id., sez. III, 5 novembre 2024, n. 8818) l’art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001 va interpretato "con particolare rigore, in quanto l'abuso, se commesso ai danni del suolo pubblico, risulta essere ancora più grave che se commesso illegittimamente su suolo privato. L'art. 35 citato, volto a tutelare le aree demaniali o di enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, configura un potere di rimozione che ha carattere vincolato, rispetto al quale non può assumere rilevanza l'approfondimento circa la concreta epoca di realizzazione dei manufatti e non è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto”.

Si comprende, quindi, che l’ordine di demolizione emesso dal Comune è un atto vincolato, in quanto previsto dall’art. 35 del Testo Unico Edilizia (DPR 380/2001) per gli interventi abusivi realizzati su suolo demaniale. In tali casi, non è richiesta valutazione discrezionale da parte dell’Amministrazione né alcuna intermediazione o ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato.

Inoltre l’abuso, essendo stato compiuto su area pubblica, è ancora più grave infatti come espressamente sottolineato nella sentenza, comportando l’inappellabilità alla demolizione.

In conclusione non si può avanzare l’ipotesi alla conservazione della situazione abusiva, neppure in presenza di un uso transitorio (nel caso trentennale), infatti il tempo non può legittimare una situazione di illecito.
L’ordine di demolizione per abusi su suolo pubblico è un atto vincolato e la temporanea occupazione dell’area con la presenza di manufatti di natura pertinenziale non possono bastare a legittimarne la conservazione dell’opera abusiva. Per la giurisprudenza resta quindi fermo il principio per cui il tempo non sana l’abuso.

 

LA SENTENZA È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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