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Condominio e parti comuni: ecco quando il tetto si può trasformare in terrazza

Cassazione: il condomino proprietario del piano sottostante al tetto dell'edificio può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, a condizione che la modificazione del bene comune preservi la sua funzione di copertura e protezione delle strutture sottostanti

Parti comuni: non sono immodificabili

Nella sentenza 2126/2021 dello scorso 29 gennaio la Cassaizone, accogliendo un ricorso di alcuni condomini, afferma che le parti comuni non vanno intese come un qualcosa di intangibile e immodificabile.

Al contrario, giusto il principio generale di cui all'art. 1102 cc, ogni condomino può attingere da esse la maggiore utilità possibile, ovviamente nei limiti in cui ciò non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri comproprietari di farne pari uso.

 

Sottotetto trasformato in mansarda

Il Tribunale aveva condannato i proprietari delle aree sottotetto poste al terzo piano di un condominio trasformate in mansarde con modifica dell'originaria sagoma del tetto condominiale, a ricostruire per intero le falde del medesimo tetto, anche in corrispondenza dei tre terrazzi realizzati dai convenuti ed a sostituire le tegole utilizzate.

Contestualmente, era stata respinta la domanda riconvenzionale dei convenuti diretta al rimborso delle spese sostenute per il consolidamento e la ricopertura del tetto.

La Corte d'Appello aveva rigettato il ricorso e si era quindi giunti in Cassazione.

 

Il sottotetto della discordia

La Cassazione, nella sua disamina, inizia precisando che, allorquando si sia verificato non il perimento dell'intero edificio condominiale, o di parte che rappresenti comunque i tre quarti del suo valore (casi nei quali vien meno lo stesso condominio e permane soltanto la comunione pro indiviso tra gli ex condomini sull'area di risulta), ma la distruzione di minor parte di esso (come si assume avvenuto nella specie, per effetto del crollo del tetto), ciascun condomino può esigere, ai sensi dell'art. 1128 c.c., che le parti comuni crollate siano ricostruite, rivolgendosi all'assemblea perché provveda, con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 4, c.c., a deliberare la ricostruzione della parte comune, dettando altresì le modalità di esecuzione tecniche, statiche ed estetiche dell'intervento (cfr. Cass. Sez. 2, 02/08/1968, n. 2767).

Nel medesimo caso in cui l'edificio condominiale sia perito per meno di tre quarti del suo valore, la mancanza della delibera assembleare di ricostruzione delle parti comuni prevista dal secondo comma dell'art 1128 c.c. (o, addirittura, l'esistenza di una eventuale delibera contraria) non impedisce ai singoli condomini di ricostruire le loro unità immobiliari di proprietà esclusiva parzialmente perite e, conseguentemente, le parti comuni necessarie a ripristinare l'esistenza ed il godimento di esse - come, appunto, fatto dai ricorrenti - non potendosi negare a chi aveva il diritto di mantenere la sua costruzione sul suolo (quale comproprietario dello stesso ex art 1117 c.c., ovvero, in caso di diversa previsione del titolo, quale titolare di un diritto di superficie) il potere di riedificarla ai sensi dell'art 1102 c.c., salvi il rispetto delle caratteristiche statico-tecniche preesistenti, in maniera da non impedire agli altri condomini di usare parimenti delle parti comuni secondo il proprio persistente diritto di condominio, e il divieto di attuare innovazioni, per le quali è indispensabile la delibera assembleare ai sensi degli artt. 1120 e 1136 c.c.

Conseguentemente, avendo i condomini, nell'eseguire la ristrutturazione dei sottotetti di loro proprietà individuale, ricostruito altresì parte del tetto condominiale andato distrutto, realizzando tre terrazzi in corrispondenza dei medesimi sottotetti, va riconosciuto il diritto dei restanti condomini di opporsi a quelle opere edilizie che, ripristinando con difformità o varianti le precedenti strutture edilizie, portino concreto pregiudizio alloro diritti di proprietà esclusiva o condominiale, nonché il diritto degli stessi ulteriori condomini a conservare la proprietà condominiale sulle parti ricostruite dai condomini autori dell'intervento edilizio in conformità alla situazione preesistente al parziale perimento dell'edificio; in particolare, ove le opere realizzate dai condomini ricorrenti abbiano annesso alla proprietà esclusiva porzione del tetto comune ricostruito, deve intendersi fondata la pretesa del condominio volta alla riduzione in pristino relativamente al bene comune illegittimamente occupato (si vedano ancora Cass. Sez. 2, 05/03/1979, n. 1375; Cass. Sez. 2, 21/10/1974, n. 2988).

Condominio e parti comuni: ecco quando il tetto si può trasformare in terrazza

Differenze tra innovazione e modificazione

La Suprema Corte evidenzia, inoltre, che l'intervento di parziale ricostruzione del tetto comune eseguito, nella specie, dai condomini ricorrenti, è riconducibile non alla nozione di innovazione ex art. 1120 c.c., ma a quello di modificazione ex art. 1102 c.c.

Le innovazioni di cui all'art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall'art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per quanto concerne, poi, l'aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell'assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte.

 

La trasformazione del sottotetto in terrazza

A confutazione del quinto motivo del ricorso principale, la Cassazione sottolinea inoltre come il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali.

La Corte d'appello di Napoli ha tuttavia accertato in fatto che l'intervento di ricostruzione del tetto crollato aveva lasciato "scoperte" tre piccole zone dello stesso per annetterne l'utilizzo a vantaggio della mansarda-sottotetto di proprietà individuale.

E' evidente - spiegano i giudici supremi - come l'accertamento circa la significatività del taglio del tetto praticato per innestarvi terrazze di uso esclusivo e circa l'adeguatezza delle opere eseguite per salvaguardare la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto è riservato al giudice di merito e, come tale, è censurabile in sede di legittimità non per violazione dell'art. 1102 c.c., ma soltanto nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.c.

Come ogni forma di uso particolare o più intenso del bene comune ai sensi dell'art. 1102 c.c., la legittimità della trasformazione di parte del tetto condominiale in terrazza postula altresì che non ne risulti arrecato pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.

Nella specie, sempre per quanto accertato in fatto, si ha riguardo ad un intervento di trasformazione di parte del tetto comune, con realizzazione di "tre terrazzini a trincea", che hanno annesso le rispettive zone del tetto alla mansarda-sottotetto di proprietà dei ricorrenti.

La conseguente condanna giudiziale deve consistere unicamente nella eliminazione della situazione provocata dall'illecito utilizzo del bene condominiale e nella riproduzione della situazione dei luoghi modificata o alterata, ovvero anche nell'esecuzione di un quid novi, ma solo qualora il rifacimento pure e semplice sia inidoneo a conseguire il ripristino dello status quo ante, avuto riguardo alla utilità recata dalla res prima della contestata modificazione.

Il tutto mentre la Corte d'Appello ha confermato l'ordine del giudice di "rifare il tetto in corrispondenza dei tre terrazzini in modo da renderlo conforme alla sagome originaria" e di sostituire le "tegole marsigliesi" con tegole del tipo "piani e contropiani", così eccedendo rispetto al ricordato limite della condanna alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi abusivamente modificati.

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