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Condono edilizio e opere aggiuntive: quando gli interventi successivi compromettono la sanatoria

La realizzazione di opere aggiuntive su immobili oggetto di domanda di condono edilizio si inserisce in un contesto normativo complesso e pone interrogativi per i proprietari. La recente sentenza del TAR Sicilia n. 761/2025 evidenzia come solo specifici lavori di completamento siano ammessi, purché autorizzati secondo precise modalità. Qualsiasi opera aggiuntiva, anche se apparentemente minore, può comportare l’improcedibilità della domanda di condono, aggravata dall’eventuale sopravvenienza di nuovi vincoli urbanistici o ambientali.

Condono edilizio e opere aggiuntive: quando si rischia l’improcedibilità

Un dilemma che spesso coinvolge i proprietari degli immobili riguarda i casi in cui il condono edilizio possa essere compromesso dalle cosiddette opere aggiuntive, cioè quegli interventi edilizi realizzati successivamente alla presentazione della domanda del condono stesso.

Sorge quindi spontaneo chiedersi se si possano eseguire ulteriori lavori su un immobile oggetto di istanza di condono, in attesa che vi sia la pronuncia dell’autorità competente.

Il tema delle opere aggiuntive si inserisce in un contesto normativo complesso per via delle varie leggi sul condono edilizio che si sono susseguite nel tempo. È, infatti, sempre necessario garantire un equilibrio tra la regolarizzazione degli edifici esistenti e la tutela del territorio, nel rispetto delle regole urbanistiche.

Ecco perché se vengono realizzate opere non incluse nella richiesta di condono si può incorrere nella possibilità di perdere il beneficio concesso.

Questa dinamica solleva questioni di particolare interesse, dal punto di vista teorico e pratico, riguardando non solo la corretta interpretazione delle norme sul condono, ma anche le conseguenze concrete per i proprietari degli immobili.

Molto interessante in tale contesto è l’art. 35 comma 13 della L. 47/1985, secondo il quale “Decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all'articolo 31 non comprese tra quelle indicate dall'articolo 33.

A tal fine l'interessato notifica al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione. L'avvenuto versamento della prima e della seconda rata, seguito da garanzia fideiussoria per il residuo, abilita gli istituti di credito a concedere mutui fondiari ed edilizi. I lavori per il completamento delle opere di cui all'articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che siano stati espressi i pareri delle competenti amministrazioni. I lavori per il completamento delle opere di cui al quarto comma dell'articolo 32 possono essere eseguiti solo dopo che sia stata dichiarata la disponibilità dell'ente proprietario a concedere l'uso del suolo.”

L’articolo disciplina, quindi, le condizioni e le modalità con cui sia possibile eseguire lavori di completamento su un immobile oggetto di domanda di condono edilizio. È necessario prestare attenzione, poiché non si tratta di un'autorizzazione automatica per qualsiasi tipo di lavoro: si parla solo di lavori di completamento, quindi niente ampliamenti o modifiche sostanziali. In assenza dei requisiti indicati le ulteriori lavorazioni possono essere considerate come nuovi interventi abusivi.

Un esempio emblematico di questa complessa dinamica è offerto dalla recente sentenza del TAR della Sicilia n. 761/2025, che affronta il caso di un'istanza di condono presentata per una villetta, successivamente oggetto di interventi aggiuntivi, realizzati in pendenza del procedimento di condono.

  

Modifiche non autorizzate e vincoli sopravvenuti: quando il condono decade

Nel 2005, una coppia acquista una villetta ad un piano, già realizzata abusivamente dall’allora proprietario, che aveva presentato regolare istanza di condono nel 1986, versando integralmente l'oblazione dovuta e tutti gli oneri concessori.
L'immobile, non era una casa isolata ma faceva parte di un residence. Il tutto sembrava destinato a una regolarizzazione senza intoppi, tanto più che nel 2005 era stato ottenuto il nulla osta idrogeologico dall'Ispettorato Ripartimentale delle Foreste.

Tuttavia, tra il 2005 e il 2007, i nuovi proprietari decidono di apportare alcune migliorie alla proprietà, realizzando:

  • pergolati;
  • tettoie da giardino;
  • una piccola piscina.

Opere che potrebbero apparire semplici abbellimenti o accessori di modesta entità, ma che determineranno il fallimento dell'intera istruttoria della sanatoria richiesta.

A tal proposito, il Tar fornisce una chiara spiegazione ossia “(…) non è consentita la prosecuzione dei lavori di completamento su opere abusive, sino all'eventuale intervento della sanatoria, salva l’attivazione della procedura prevista dall'art. 35 comma 13 della L. 47/1985. Infatti, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (quand'anche riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione (…).

Tale orientamento trova giustificazione, nell'esigenza di evitare che le opere abusive vengano portate a ulteriore compimento: infatti, poiché il condono straordinario non si fonda sulla conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente ma costituisce espressione di un’eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi a determinate condizioni, vi è l'esigenza di conservare lo stato originario delle opere, così da consentire all’amministrazione di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità e di concedibilità del beneficio, oltre che di valutare l'effettiva natura e portata dell'intervento da condonare”.

In sintesi il Tribunale chiarisce che in presenza di manufatti abusivi non ancora sanati, qualsiasi intervento aggiuntivo, indipendentemente dalla sua natura tecnica o dimensionale, assume automaticamente il carattere di illegittimità dell'opera principale. Questo principio vale anche per quelle che, in condizioni normali, sarebbero considerate mere pertinenze urbanistiche o opere di manutenzione straordinaria.

Lo scopo di tale principio risiede nella necessità di preservare lo stato originario delle opere abusive, consentendo all'amministrazione di accertare con precisione la sussistenza delle condizioni di ammissibilità del condono e di valutare l'effettiva natura e portata dell'intervento da sanare.

Il TAR precisa, tuttavia, che sono possibili delle eccezioni, ossia sono ammissibili solo le opere richiamate dall’art. 35, comma 13, della Legge 47/1985, (che disciplina i lavori di completamento di cui all’articolo 31 non presenti nell’istanza di condono), permette di intervenire su un immobile abusivo durante la pendenza dell'istanza di condono. Tuttavia, ciò richiede una specifica autorizzazione amministrativa, non certo interventi autonomi e non comunicati come quelli realizzati nel caso in esame.

La situazione del caso in esame è poi stata complicata dall’ulteriore incidenza dei vincoli normativi sopravvenuti durante la lunga pendenza delle procedure di condono, infatti l'entrata in vigore del Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico nel 2007 ha richiesto nuove valutazioni tecniche e pareri specialistici.

Tuttavia, il Tribunale chiarisce che il vincolo sopravvenuto “(…) non è automaticamente ostativo ma rende necessaria l’acquisizione del parere dell’autorità preposta alla sua tutela (cfr. sentenza di questa Sezione 10/3/2025 n. 529).” Quindi la presenza di opere aggiuntive, non autorizzate, comporta una valutazione non corretta dell'impatto dell'immobile originario rispetto ai nuovi vincoli ambientali.

Pur confermando l'improcedibilità della domanda di condono per le opere aggiuntive, il Tribunale ha comunque accolto, nel caso di specie, il ricorso per un vizio procedurale commesso dal Comune. L'amministrazione aveva infatti concesso solo trenta giorni per integrare la documentazione richiesta, anziché i novanta previsti dalla normativa di settore. Questo errore ha comportato l'annullamento del diniego e la riapertura del procedimento, offrendo ai ricorrenti una seconda opportunità, seppur condizionata alla rimozione delle opere aggiuntive, comunque ritenute abusive per i motivi di cui sopra.

In definitiva, la tentazione di migliorare un immobile abusivo durante l'attesa del condono può rivelarsi fatale per l'intero progetto di regolarizzazione. Ogni intervento, per quanto modesto possa apparire, deve essere valutato con estrema cautela e, se necessario, preventivamente autorizzato.

 

LA SENTENZA DEL TAR SICILIA È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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