Condono edilizio e ultimazione dei lavori: quando un’opera è sanabile
A differenza degli edifici residenziali, per i quali è richiesto il completamento strutturale e impiantistico, le opere non destinate all’uso residenziale (depositi, magazzini, stalle, ecc.) possono considerarsi ultimate se idonee allo svolgimento della funzione cui sono destinate, anche in assenza di finiture o impianti. Il principio è stato ribadito dal Consiglio di Stato, che ha accolto il ricorso avverso il diniego di condono per un manufatto in lamiera destinato a magazzino, ritenendolo funzionalmente completo.
Manufatti non residenziali e condono edilizio
Quando si parla di condono edilizio ci si confronta sempre con un argomento che rappresenta una nota dolente nel rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione. Ciò è dovuto principalmente alla diffusa presenza di costruzioni realizzate in assenza di titoli abilitativi o in difformità dagli stessi.
Un aspetto fondamentale che emerge nel condono è senza dubbio la condizione del completamento dell’opera edilizia. Risulta infatti essenziale per l’ammissibilità alla sanatoria straordinaria prevista dalle leggi sul condono che l’opera possa essere ritenuta nella condizione di assolvere le funzioni per cui sia stata destinata all’entrata in vigore della norma. Tale questione si complica quando si tratta di manufatti destinati a usi diversi da quello residenziale, come depositi, magazzini, laboratori, stalle o rimesse agricole. In queste situazioni, il concetto di completamento deve tenere conto della specifica funzione cui è destinata l’opera.
Da qui nasce la nozione di completamento funzionale, ossia proprio la capacità del manufatto di svolgere l’uso per il quale è stato realizzato, che in alcune situazioni può essere ritenuta soddisfatta anche in assenza di alcuni elementi strutturali o impiantistici normalmente richiesti per altri tipi di edifici. In tal senso, assume particolare rilievo l’utilizzo concreto del manufatto da parte del proprietario, oltre alla sua idoneità strutturale. Ciò ha contribuito a rendere più flessibile l’interpretazione delle norme sul condono, adeguandole alle peculiarità delle diverse tipologie edilizie presenti sul territorio.
Secondo l’art 31 comma 2 della legge 326/03 (L. di conversione del DL 269/2003) “si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente.”
Quindi si tracciano due situazioni a seconda delle quali un edificio si considera ultimato ai fini del condono edilizio, ossia:
- per edifici nuovi si considera ultimato quando è stato completato il rustico e la copertura anche se mancano ancora finiture o impianti interni;
- per interventi interni su edifici esistenti o per edifici non destinati a essere si considera ultimata quando l’opera è funzionalmente completa, cioè l'opera deve essere già in grado di svolgere la funzione per cui è stata realizzata, anche se mancano elementi come impianti o finiture.
Non serve che l’edificio sia completamente rifinito o abitabile per essere ultimato ai fini del condono, basta che abbia la struttura essenziale o, se si tratta di un’opera non residenziale, che sia funzionalmente pronta per adempiere allo scopo previsto.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2991/2025, ha ribadito l’importanza del completamento funzionale dell’opera abusiva quale criterio ultimo per accedere alla sanatoria prevista dalla legge n. 724/1994 (secondo condono).
Il completamento funzionale prevale sull’aspetto costruttivo
Il ricorrente della sentenza aveva presentato una domanda di condono edilizio, rigettata dal Comune, per un manufatto, a servizio di un supermercato, adibito a deposito e magazzino. La struttura presentava un’intelaiatura realizzata con tubi innocenti, con copertura e tamponature laterali in lamiera grecata.
Secondo il Comune al 31/12/1993 (data entro cui le opere dovevano essere completate per ottenere il condono) il fabbricato era ancora in uno "stato grezzo", cioè non completamente ultimato, e mancava di impianti e rifiniture. Per questo motivo non poteva essere considerato completato, requisito necessario per ottenere il condono.
Anche il TAR del Lazio riteneva che non fosse stata fornita alcuna prova dell’ultimazione dell’opera in termini di funzionalità prima della scadenza del termine di legge.
Di conseguenza l’edificio non poteva considerarsi effettivamente completato, mancando elementi strutturali e funzionali necessari per essere qualificato come un vero e proprio edificio commerciale. Decisioni non condivise dai ricorrerti, che hanno quindi proposto appello al Consiglio di Stato che ha accolto il ricorso.
Il Consiglio di Stato ha evidenziato che “(…) l’opera così accertata dalla polizia locale era già idonea a garantire la sua funzione. L’amministrazione ha invece riposto la propria attenzione unicamente sullo “stato costruttivo” del fabbricato e delle relative caratteristiche (tubi innocenti e lamiere), trascurando ingiustificatamente la sua effettiva destinazione e la sua capacità di assolvere alla stessa. In altre parole l’opera, così come risultante dai suddetti sopralluoghi (struttura portante in tubi innocenti e coperture superiori e tamponature laterali in lamiera) non è stata individuata nelle sue connotazioni strettamente funzionali, così come richiesto dall’art. 31, comma 2, della legge n. 47 del 1985, ossia nella sua capacità a svolgere la funzione di magazzino.”
La valutazione sulla legittimità del condono non può fondarsi esclusivamente sullo stato costruttivo dell’opera, ma secondo la giusta interpretazione della legge tale valutazione deve tener conto della sua effettiva destinazione d’uso e della capacità di assolvere a tale funzione.
D'altronde, secondo la circolare del Ministero dei lavori pubblici del 30 luglio 1985 prevede proprio che: “per le opere … non destinate alla residenza, l'ultimazione corrisponde al completamento funzionale delle opere medesime. Esse, pertanto, possono essere completate "al rustico" e cioè senza le finiture civili, ma debbono essere tali da permetterne l'uso in relazione alla funzione cui sono destinate. Ciò che occorre valutare non è dunque lo stato della costruzione o le modalità realizzative del manufatto quanto, piuttosto, la capacità del manufatto di assolvere alla destinazione per il quale è stato realizzato (…)”.
L’opera non essendo residenziale ma un semplice deposito annesso ad un’attività commerciale, deve essere sottoposta al criterio del completamento funzionale, come chiaramente indicato anche dalla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 30 luglio 1985.
Ciò significa che l’edificio può considerarsi finito anche in mancanza di finiture e impianti, purché sia già in grado di svolgere la funzione per cui è stato costruito. In questo caso, l’uso come magazzino per il vicino supermercato è risultato compatibile con lo stato al rustico dell’edificio, perché basterebbero la struttura, il tetto e le pareti per un utilizzo come deposito merci.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che il Comune si è focalizzato solo sui materiali usati per costruire l’edificio e sull’assenza degli impianti, senza considerare che il fabbricato non fosse destinato ad uso residenziale ma fosse semplicemente a deposito merci. Inoltre, ha chiarito che anche l’utilizzo di materiali ritenuti leggeri o comunque non convenzionali non dovrebbe essere ostativo al riconoscimento della possibilità del condono, qualora l’edificio fosse comunque considerato adatto a svolgere la funzione per cui è stato costruito.
Quindi, anche una struttura con involucro esterno non in muratura, senza rifiniture e servizi igienici, può essere considerata ultimata se è effettivamente idonea ad un uso accessorio come può essere quello del magazzino.
Quindi il Consiglio di Stato ha annullato il diniego del condono e ha accolto l’istanza della ricorrente, precisando che l’edificio in questione dovesse ritenersi funzionalmente ultimato e, pertanto, ammissibile a sanatoria.
La pronuncia della Corte assume carattere rilevante perché riafferma la distinzione tra opere residenziali e non residenziali nella valutazione dei requisiti per il condono. Se infatti per le prime è generalmente richiesto un livello avanzato di finitura come requisito, per le seconde è sufficiente che l’opera sia utilizzabile secondo la sua destinazione d’uso. Considerare il completamento unicamente sotto il profilo edilizio-costruttivo potrebbe compromettere la corretta applicazione del criterio funzionale previsto dalla normativa di riferimento.
Concludendo, la sentenza ribadisce che, in materia di condono edilizio, l’idoneità funzionale, per gli edifici non residenziali e per le opere interne di edifici esistenti, costituisca il vero parametro da valutare tra i requisiti di accesso.
LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO È SCARICABILE IN ALLEGATO.
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