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Condono edilizio e unicità della costruzione: no al frazionamento per eludere i limiti di volumetria

Il frazionamento immobiliare consente la suddivisione di un immobile in unità indipendenti, ma come tutto in edilizia deve rispettare precise norme (in questo caso urbanistiche e catastali). Nel contesto del condono edilizio, la normativa impone limiti volumetrici rigorosi per la sanatoria delle opere abusive. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47639/2024, ha ribadito che non è ammesso il frazionamento artificioso delle istanze di condono volto a eludere tali limiti, considerando ogni costruzione nel suo insieme e non come un insieme di unità separate.

Frazionamento immobiliare e condono edilizio: regole, limiti e divieti

Il frazionamento immobiliare è un’operazione attraverso la quale un immobile viene suddiviso in più unità indipendenti. Tale intervento è spesso utilizzato, a seconda delle necessità, per motivi personali, familiari o economici, consentendo di ottimizzare l’utilizzo degli spazi.

Il frazionamento generalmente si suddivide in:

  • frazionamento catastale quando la divisione è registrata al Catasto, assegnando a ogni nuova unità un proprio numero identificativo (subalterno);
  • frazionamento urbanistico che comporta modifiche fisiche all’immobile, che devono essere comunicate e autorizzate dal Comune.

Tuttavia, esso non può realizzarsi senza una chiara cognizione delle normative vigenti, nonché una buona pianificazione dell’intervento. In particolare va premesso che ogni nuova unità deve avere funzionalità autonoma ed essere conforme alle leggi vigenti (tecniche ed urbanistiche). Per tale motivo a volte si presentano delle situazioni per le quali non è possibile realizzare un frazionamento ossia:

  • utenze indivisibili a causa della disposizione impiantistica;
  • ambienti che non permettono la creazione di ingressi separati;
  • divisione degli spazi e dei servizi difficilmente operabile dovendo mantenere una data funzionalità alle subunità frazionate.

È inoltre importante anche mettere in relazione la disciplina della sanatoria e del condono edilizio con l’esigenza di tutela del territorio, ossia le istanze di regolarizzazione di abusi ormai consolidati nel tempo con gli aspetti urbanistici, storico-culturali e paesaggistici.

La normativa sul condono, dalla legge n. 47 del 1985 fino al più recente DL n. 269/2003 stabilisce quali siano i presupposti e limiti volumetrici per l’accesso alla sanatoria delle opere edilizie.

In questo contesto, assume particolare importanza il cosiddetto frazionamento artificioso della domanda di condono, ossia la presentazione di più istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari fittiziamente separate, ma che in realtà sono riconducibili a un'unica nuova costruzione abusiva. Tale artificio rappresenta un tentativo illecito di aggirare i limiti volumetrici previsti per ciascuna unità abitativa (750 mc) e per l’intera costruzione (3.000 mc), eludendo così la ratio della normativa che consente la sanatoria solo per abusi di modesta entità.

Tali limiti sono dettati dall’art. 32 comma 25 del DL n.269/2003, n. 269, coordinato con la legge di conversione n. 326/2003, secondo il quale “Le disposizioni (…) si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 mc. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 (metri cubi) per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, (a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi).”

Il caso affrontato nella sentenza n. 47639/2024 della Corte di Cassazione riguarda tale problematica, riaffermando il principio secondo cui ogni costruzione va considerata nel suo complesso e non può essere artificiosamente frammentata al solo fine di rientrare nelle soglie consentite dalla legge.

 

Sanatoria edilizia: il limite volumetrico non si aggira con più domande

Il caso nasce dalla richiesta, rifiutata dal Tribunale di Napoli, in merito alla domanda di sospensione dell’ordine di demolizione di un edificio abusivo. Questa disposizione era stata emessa in seguito a una condanna con patteggiamento risalente al 1997. I ricorrenti sostenevano che il condono edilizio era stato negato per un errore nel calcolo dei volumi, affermando che le domande erano state fatte da persone diverse e riguardavano unità immobiliari già separate e indipendenti. Secondo loro, non si trattava di un’unica costruzione, ma di più parti che potevano essere sanate singolarmente.

Tuttavia, la Corte non ha accettato questa tesi e ha considerato l’edificio come un unico blocco edilizio abusivo.
La Suprema Corte ha, infatti, ribadito il principio secondo cui non è ammissibile un condono edilizio ottenuto mediante il frazionamento fittizio dell’opera abusiva, sostenendo che essa “(…) ha costantemente interpretato l'art. 39, comma 1, I. n. 724 del 1994 nel senso che ogni edificio deve intendersi come un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato e le istanze di oblazione eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono essere riferite a una unica concessione in sanatoria, che riguarda quest'ultimo nella sua totalità. Ciò in quanto la ratio della norma è di non consentire l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso edificatorio (…).

Dalle considerazioni che precedono, ne discende che non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione interamente abusiva, quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando invece le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica (…).

In altri termini, nel caso di bene immobile in comproprietà, per il quale non sia stata operata alcuna divisione né costituito un distinto diritto di proprietà su una porzione dello stesso, la presentazione di distinte istanze di sanatoria da parte di diversi soggetti legittimati in forza degli artt. 6 e 38, comma 5, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, richiamati dall'art. 39, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, costituisce un frazionamento artificioso della domanda, da imputare ad un unico centro sostanziale di interesse onde non consentire l'elusione del limite legale di volumetria dell'opera per la concedibilità della sanatoria”.

In sintesi, quando un edificio, seppur suddiviso in più appartamenti, è stato sottoposto ad un intervento unitario da una sola persona o da più soggetti, la sanatoria comunque deve essere valutata con riferimento all’intera consistenza del manufatto. Tale esigenza nasce per evitare che un abuso edilizio venga dissimulato mediante una fittizia suddivisione in appartamenti autonomi, raggirando i limiti di volume previsti dalla legge per ottenere il condono.
Nel caso in questione, era stato costruito un edificio in cemento armato di circa 330 metri quadrati su tre piani, con due appartamenti per piano e una scala centrale.

Nonostante la presenza di quattro richieste di condono presentate da persone diverse, la Cassazione ha ribadito che si trattava di un unico edificio e, quindi, non lo si poteva suddividere artificialmente solo per rientrare nei limiti di volume previsti dalla legge sul condono, ossia 750 metri cubi per appartamento (fermo restando i 3.000 mc per l’intero edificio), come stabilito dal DL 269/2003.

Inoltre la Corte evidenzia che “Dalle dichiarazioni rese *** *** è emerso, infatti, che in due delle unità immobiliari è stata riscontrata l'esistenza di due piccole verandine (…). Orbene, come esattamente ritenuto dal Tribunale, tali opere o erano già esistenti al momento della presentazione del condono, oppure sono state realizzate in epoca successiva al 31 dicembre 1993, termine ultimo per la presentazione dell'istanza di condono, aggiungendo altri volumi illegittimamente edificati a quelli, parimenti illegittimi, indicati nelle istanze di condono. (…) A tal proposito, va ribadito il principio (…) secondo cui la volumetria eccedente i limiti previsti (…) non è suscettibile di riduzione mediante demolizione eseguita successivamente allo spirare di detto termine, integrando la stessa un intervento, oltre che di per sé abusivo, volto ad eludere la disciplina di legge (…)”.

Quindi, rispetto alle domande di condono iniziali, le due delle unità oggetto di sanatoria risultavano modificate per la presenza di verandine. Tali interventi avrebbero comportato un incremento volumetrico non sanabile. Di conseguenza c’è stato successivamente il tentativo dei ricorrenti di sanare l’abuso con lavori di demolizione, ma ciò non è servito in quanto contrario alla ratio della normativa, che consente la sanatoria esclusivamente per le opere esistenti e concluse entro la data di riferimento.

Il condono edilizio non si può usare per sanare un edificio abusivo troppo grande, suddividendolo in più appartamenti per restare dentro i limiti di legge.

Presentare più domande di condono separate, riferite a parti di un unico edificio totalmente abusivo, è un escamotage che non può essere tollerato. Il condono edilizio non può, quindi, essere utilizzato per regolarizzare, mediante frazionamento fittizio, una costruzione abusiva di dimensioni complessive superiori ai limiti di legge.

 

LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE È SCARICABILE IN ALLEGATO.

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