Calcestruzzo Armato
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Considerazioni e confronti tra gli antichi e i moderni calcestruzzi

In questo documento vengono presentate alcune considerazioni sul calcis-structio antico e sul conglomerato cementizio dei giorni nostri. Completa la relazione il confronto tra le caratteristiche dello opus caementicium e dei moderni calcestruzzi.

Calcis-Structio

Il termine calcestruzzo deriva dal latino calcis-structio che, letteralmente, significa struttura a base di calce.
In realtà il termine utilizzato da Vitruvio per definire un conglomerato, molto simile al calcestruzzo che attualmente impieghiamo, era opus caementicium, formato da pietre, o rottami di mattone, mescolati con calce sabbia ed acqua. Per le opere idrauliche, o esposte all’azione delle acque piovane, la sabbia era sostituita in parte da pozzolana (pulvis puteolana) o da coccio pesto. Il rottame di pietra usato per confezionare il calcestruzzo era non più grosso di una mano e chiamato caementum, dal latino caedo “tagliare pezzi”.
La scelta dei materiali, la composizione e le modalità di messa in opera del calcestruzzo utilizzato all’epoca dall’impero Romano vengono dettagliatamente riportate da Vitruvio nei suoi 10 libri di De Architectura.

La principale differenza tra il calcestruzzo antico e moderno, al di là degli aspetti etimologici, sta nel tipo di legante: i Romani utilizzavano calce e pozzolana o calce ed impurità a base di silice ed allumina che conferivano alla miscela proprietà idrauliche, mentre nel calcestruzzo moderno il legante è il cemento, sia esso Portland o di latro genere. Altra importantissima differenza sta nella specie di inerte e nella sua distribuzione granulometrica (figura 1.1).

Figura 1.1 - Distribuzione granulometrica discontinua nell’aggregato del calcestruzzo antico (con diametro massimo di 60mm) e continua in quello del calcestruzzo moderno (con diametro massimo di 30mm).

Prima dell’avvento del calcestruzzo la realizzazione di grandi costruzioni poteva durare secoli a causa della difficoltà e della lentezza nel movimentare le grandi pietre che si utilizzavano. Per avere l’ordine di grandezza dei tempi di cantiere prima e dopo il calcestruzzo basta ricordare che per la costruzione in saxum quadratum, tra l’altro incompiuta, del tempio di Apollo a Didima accorsero 462 anni (dal 332 a.C. al 130 d.C. circa), mentre per costruire in opus caementicium il Pantheon si impiegarono solo sette anni (dal 118 d.C. al 125 d.C.).
La tecnica era semplice: si costruivano due paramenti murari che fungevano da
casseri e si colava all’interno il calcestruzzo
(fig. 1.2).

Tuttavia, tale rapidità di esecuzione fu soprattutto dovuta all’uso della pozzolana che mescolata con calce conferiva al conglomerato un accelerato indurimento. La scoperta della pozzolana segnò un rivoluzionario progresso nelle antiche costruzioni in calcestruzzo grazie alla capacità della miscela calce-pozzolana di indurire, non solo in assenza della CO2, anche con velocità molto maggiore di quella richiesta dal processo di carbonatazione della calce.

Oggi sappiamo che la pozzolana è un materiale di natura inorganica, prevalentemente costituito da silice SiO2 e da allumina Al2O3 mal cristallizzate o completamente amorfe. Essa è in grado di provocare l’indurimento della calce e di rendere il conglomerato indurito resistente all’azione dell’acqua grazie alla formazione di silicati di calcio idrati (C-S-H)1 e alluminati di calcio idrati (C-A-H) per reazione della calce con la silice e l’allumina della pozzolana. Infatti, la calce non avendo proprietà idrauliche, si idrata solo a contatto con l’anidride carbonica che permea con difficoltà attraverso i giunti dei paramenti-casseforme; questo processo d’indurimento, fortemente legato al grado di penetrazione dell’aria, risultava più scadente quanto più compatta ed impermeabile era la barriera offerta dai paramenti in pietra o in mattoni.

Figura 1.2 - Muro in calcestruzzo romano che mostra tra i paramenti in mattone il conglomerato a base di malta e grossi rottami di pietra o mattone (Pompei).

È appena il caso di precisare che mentre nei mediocri calcestruzzi a base di calce (Resistenza a compressione dai 2 ai 4 N/mm2) l’indurimento è dovuto solo alla reazione di carbonatazione, in quelli arricchiti con pozzolana (Resistenza a compressione dai 10 ai 20 N/mm2) la carbonatazione stessa non è esclusa e dunque l’idratazione della calce avviene con entrambe le relazioni espresse in precedenza.
Le doti idrauliche della sabbia vulcanica di Cuma, ovvero della pozzolana, erano ben note a Vitruvio che nel libro quinto al capo XII del De Architectura, nel merito delle costruzioni dei porti scrive:

"La struttura del molo destinata a rimanere sott’acqua deve essere fabbricata con polvere pozzolana importata da quella regione che si estende da Cuma fino al promontorio di Minerva, mescolata con calce nel rapporto di due a uno. Quindi occorrerà calare in acqua, nella zona prestabilita, dei cassoni senza fondo che verranno saldamente serrati con pali di quercia e ancorati per mezzo di catene, poi si procederà a livellare e a ripulire la parte di fondale tra loro compresa, provvedendo a fare una gettata di malta e calcestruzzo com’è s’è detto sopra, fino a che la struttura muraria non avrà completamente riempito il vuoto dei cassoni"

A proposito della sabbia, inoltre, Vitruvio nel libro secondo al capo IV del suo trattato, scriveva:

"Nelle costruzioni in calcestruzzo bisogna in primo luogo trovare la sabbia adatta non mista a terra, per impastare la malta. Le varietà di sabbia da cava sono: nera, bianca, rossa e rossa scura. Ottima è quella che sfregata tra le dita produce un leggero crepitio. Quella mischiata a terra, invece, non presenta caratteristiche di ruvidezza. Altrettanto buona di qualità si rivela quella che gettata su un lenzuolo bianco non lascerà tracce di terra né di sporco dopo essere stata scossa via. In assenza di cave si potrà ricavare la sabbia dai fiumi, dalla ghiaia o anche dalla rena del mare. Questo tipo presenta però degli inconvenienti nelle costruzioni: fa fatica ad asciugarsi e di conseguenza per non appesantire la struttura muraria occorre ad intervalli farla riposare(..)".

Gli operai addetti alla produzione della calce, chiamati calci cocitore, non sceglievano una pietra di calcare puro ma una con un elevato contenuto di CaO, andando verso un elevata grassezza della calce. Per non lasciare dubbi sui materiali di base da impiegare, Vitruvio suggeriva nel libro settimo del De Architectura al capo II indicazioni sulla qualità della calce:

"A macerazione ultimata e dopo aver tutto scrupolosamente predisposto per la messa in opera, si prenda una cazzuola e allo stesso modo con cui si taglia il legname con l’ascia, si tagli con quella della calce. Se si troveranno dei grumi vorrà dire che la calce non è pronta; se la cazzuola uscirà asciutta e pulita vorrà dire che la calce è fiacca e arida, mentre per essere grassa e ben macerata dovrà restare attaccata come colla al ferro della cazzuola".

Dall’opera di Vitruvio è possibile anche desumere quali dovevano essere i rapporti delle sabbie con la calce per formare le malte da utilizzare per unire i mattoni nelle murature, per gli intonaci, per la formazione del calcestruzzo da aggiungere ai caementi, cioè ai frantumi di pietre, marmi, tufo e mattoni (libro secondo, capo V):

La calce (…) una volta raffreddata la si mescola con sabbia nel rapporto di uno a tre se questa è di cava, di uno a due se invece è di fiume; così si ottiene un dosaggio ben equilibrato. Ma il risultato sarà ancora migliore se alla sabbia di fiume o di mare si aggiungerà la terza parte di frammenti di coccio pestato e setacciato.
Le proporzioni d’impasto possono essere sintetizzate come segue nella tabella 1.1.

Tab. 1.1 – Mix-design degli antichi calcestruzzi

Nel calcestruzzo antico erano impiegati, dunque miscele di inerti a base di sabbia (0-5mm) e rottami di pietra o mattoni (30-50mm) (fig1.3), risultando praticamente assenti le frazioni intermedie, contrariamente a quanto accade per il calcestruzzo moderno (fig. 1.1).

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Questo articolo è tratto dalle MEMORIE di CONCRETE 2022, sesta edizione della manifestazione

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Emanuele La Mantia

Dottore di ricerca in Ingegneria delle costruzioni presso la Federico II; Tutor e Cultore di Architettura Tecnica e di Tecnologia dei conglomerati cementizi presso l’Università Telematica Pegaso.

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