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Coordinatore Sicurezza e verifica di idoneità del Piano Operativo

Il CSE deve assicurare la coerenza del POS con il PSC, non deve verificare il contenuto delle misure di prevenzione dei rischi specifici. Ecco un articolo di approfondimento

Il Coordinatore per la sicurezza in fase di Esecuzione (CSE) deve assicurare la coerenza del Piano Operativo di Sicurezza (POS) con il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC), non deve verificare il contenuto delle misure di prevenzione dei rischi specifici. Ecco un articolo di approfondimento.

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La verifica del POS come strumento di gestione del cantiere

La elaborazione giurisprudenziale del ruolo del CSE è finalmente giunta ad affermare in maniera oramai definitiva che il  CSE non è un “garante della sicurezza nel cantiere”, bensì un “gestore dell’infrastruttura”; l’area di rischio di cui si occupa il CSE è diversa da quella gestita dal datore di lavoro, che afferisce al rischio specifico della lavorazione; il CSE si occupa del rischio interferenziale, ed infatti presupposto indispensabile la presenza del CSE è che sussista in cantiere una pluralità di imprese e che l’infortunio sia riconducibile ad un rischio derivante dalla interferenza di lavorazioni riconducibili a ditte diverse

Nel gestire la “infrastruttura”, il CSE è destinatario di un obbligo fondamentale, che in questi ultimi anni ha cominciato ad essere esplorato dalla giurisprudenza: l’obbligo di verificare l’idoneità del POS dell’impresa esecutrice (art. 92 comma 1 lettera b).

La Suprema Corte (Cass. Pen. n. 45862/2017 e n. 50537/2017) ha affermato che ricade nella sfera di controllo del CSE “la verifica della congruità delle misure antinfortunistiche previste nel POS dal datore di lavoro in relazione al piano di sicurezza e coordinamento già predisposto”,  e se nella fattispecie il POS non prevedeva alcuna misura di prevenzione  in relazione ai lavori da eseguire in copertura e contro il rischio di caduta, affermare la responsabilità del CSE  non significa che vengano addebitate al CSE “responsabilità sovrapposte a quelle del datore di lavoro”.

Prima della svolta definitiva della giurisprudenza in punto di “alta vigilanza” del CSE, e cioè quando più sentenze estendevano l’obbligo di vigilanza del CSE a qualsiasi violazione prevenzionale in cantiere, occuparsi dei documenti di sicurezza e del loro impatto sull’organizzazione del cantiere era sostanzialmente superfluo; il ruolo del CSE come “gestore dell’infrastruttura” include invece ed anzi valorizza i profili di natura documentale.

Sono oramai numerose le sentenze che affrontano questo aspetto, affermando la responsabilità del CSE per non avere rilevato la carenza del POS in quanto privo della disciplina prevenzionale, che avrebbe consentito di evitare l’infortunio.

Naturalmente, è sancita espressamente la necessità che l’evento sia causalmente riferibile alla omissione del CSE (Cass. Pen. n. 24104/2018). La giurisprudenza riconduce questa funzione al generale ruolo di “alta vigilanza” del CSE, e questo è condivisibile se si legge la nozione di alta vigilanza come espressione del ruolo gestorio del CSE; semmai può essere opportuno sottolineare che, se si guarda ai diversi profili in cui l’art. 92 del Decreto 81/08 suddivide l’attività del CSE, la verifica di idoneità del POS si colloca all’interno della lettera b) dell’art. 92, che ricollega  strettamente tale obbligo di verifica con quello di assicurarne la coerenza con il PSC.

Il CSE  dunque, come gestore dell’infrastruttura-cantiere, gestisce i soggetti del cantiere, ma anche i documenti che da quei soggetti promanano, nella misura in cui quei documenti costituiscono parte di un  insieme coordinato di regole da cui scaturisce l’insieme della sicurezza del cantiere.

Leggi anche: Coordinatore per la Sicurezza in fase di Esecuzione (CSE) e alta vigilanza: a che punto siamo?

Qual'è l'oggetto della verifica del Piano Operativo di Sicurezza?

E’ importante tenere ben fermo, che verifica di idoneità non significa obbligo di valutazione dei contenuti puntuali del POS, né obbligo di critica e di intervento sulle misure prevenzionali previste dal datore di lavoro dell’impresa esecutrice: ancora una volta, come per l’azione di vigilanza, occorre tenere ben distinte l’area di rischio del CSE da quella del datore di lavoro legata ai rischi specifici dell’impresa.

Questo aspetto traspare, anche se non espressamente dichiarato, in  Cass. Pen., n. 15535/2019, sentenza di condanna di un CSE per un infortunio sul lavoro a seguito di caduta dall’alto da un trabattello, di cui il lavoratore (irregolare) aveva rimosso il parapetto.

Nella fattispecie, il datore di lavoro dell’impresa esecutrice di quella lavorazione non aveva redatto né consegnato al CSE alcun POS.

Ebbene, ciò che la Suprema Corte contesta al CSE è di avere “omesso di proporre l’immediata sospensione dei lavori, pur sapendo che difettava ogni reale prescrizione volta a prevenire i rischi di caduta dall’alto”.

La disposizione specificamente violata dovrebbe ritenersi la lettera e) dell’art. 92 (poiché la Corte parla di “proposta di sospensione dei lavori”) o la lettera f), ove si ritenga che si configuri un pericolo imminente; ma la individuazione formale dell’obbligo violato non modifica i termini della questione che qui si vuole affrontare.

Il punto è piuttosto, di sottolineare che la Corte non rimprovera al CSE di non avere dettato lui le misure da adottare; ai fini della responsabilità del CSE, non si pone tanto il tema della misura prevenzionale in sé e per sé, nel suo contenuto specifico; la misura di sicurezza è considerata in quanto regola che avrebbe dovuto esistere, essere scritta, e che avrebbe dovuto essere contenuta all’interno di un documento (il POS), invece mancante.

La Corte di Cassazione dunque pone la questione in termini di profilo gestorio: ed infatti, l’art. 92 comma 1 lettera b) presuppone ovviamente a monte la consegna del POS da parte del datore di lavoro al CSE, il quale ha naturalmente il potere (e con esso l’obbligo) di pretenderlo dall’impresa e di condizionare a tale consegna l’ingresso stesso dell’impresa nel cantiere.

Se si ritiene che il profilo gestorio, organizzativo e programmatorio costituisca elemento rilevante del ruolo del CSE, non si può non convenire sul fatto che la presenza in cantiere di una impresa priva di POS equivale alla presenza in cantiere di una impresa totalmente non gestita: condizione questa che nessun CSE può accettare né consentire, pena il venir meno di qualsiasi reale gestione del cantiere di qualsiasi reale organizzazione dei lavori in termini di sicurezza.

POS mancante, POS carente, POS "sbagliato"

Naturalmente, nel caso esaminato dalla sentenza la situazione era netta, posto che il POS mancava completamente.

(Della responsabilità del CSE potrebbe dubitarsi (anzi, andrebbe esclusa) se ad essere priva di POS fosse un’impresa non conosciuta o non conoscibile per il CSE in quanto il suo ingresso fosse stato non comunicato, non previsto e non prevedibile, né verificabile per essere tale ingresso appena avvenuto; ma questa fattispecie riconduce ad altro tema, quello della adeguata modulazione dell’alta vigilanza e della interruzione dei canali informativi.)

Ma può contestarsi al CSE non la mancanza del POS, bensì la mancanza, all’interno del POS, della disciplina di una certa lavorazione e delle sue misure prevenzionali?

In altre parole, può contestarsi al CSE il fatto che il POS sia “carente”? 

A nostro avviso, la risposta a queste domande non può essere data, se non viene esplorato prima un dato fondamentale: occorre verificare se quella lavorazione – più precisamente, se l’affidamento di quella lavorazione a quella impresa esecutrice – sia stata portata a conoscenza del CSE.

Nel concreto dell’indagine, spesso viene quasi dato per scontato che il CSE sia a conoscenza dei lavori affidati alle imprese; vero è invece che il CSE rimane all’oscuro del reale contenuto degli obblighi contrattuali dell’impresa molto più spesso di quanto si pensi; del resto, la normativa non prevede (e questa può considerarsi una lacuna del sistema) un obbligo esplicito del committente di trasmettere al CSE il contratto di appalto (o almeno di informare il CSE sulle lavorazioni affidate all’impresa), né un obbligo corrispondente dell’affidatario di informare il CSE rispetto alle lavorazioni affidate al proprio subaffidatario.

Solo se il CSE ha la certezza che le lavorazioni elencate nel POS sono effettivamente tutte quelle che l’impresa ha ricevuto l’incarico di eseguire, allora può parlarsi di una valutazione di “completezza” del POS rispetto alle lavorazioni che saranno eseguite.

Infine e da ultimo, l’ulteriore domanda da porsi è se l’obbligo di verifica di idoneità del POS significhi, che al CSE può essere contestata la inadeguatezza di una misura di prevenzione prevista nel POS, rispetto al rischio specifico che quella misura deve gestire.

In altre parole, si può contestare al CSE il fatto che il POS è “sbagliato”?

Quello che dalla sopra citata sentenza della Suprema Corte si evince in maniera indiretta, ma nitida, è proprio che l’intervento del CSE non riguarda i contenuti specifici della misura prevenzionale; il CSE esercita un potere gestorio, ma sicuramente non sta al CSE valutare la “qualità” dei contenuti della valutazione dei rischi specifici compiuta dal datore di lavoro che ha redatto il POS.

Una conclusione diversa non sarebbe accettabile perché presupporrebbe a monte un potere e un obbligo del CSE di entrare nel merito delle scelte prevenzionali dell’impresa e delle modalità con le quali essa decide di gestire i rischi specifici propri delle sue lavorazioni. Questo potere il CSE non lo possiede, e certo non può imporre all’impresa una propria scelta diversa; né esiste una norma che attribuisca al CSE un tale potere nei confronti dell’impresa.

Ma soprattutto, esiste una norma che chiaramente esclude questo obbligo, nel momento in cui chiarisce che la verifica di idoneità ha un fine ben preciso, e cioè “assicurarne la coerenza con il PSC”. Al CSE, in altre parole, è affidata la funzione di verificare che i contenuti del POS siano idonei non già rispetto alla astratta rispondenza alla normativa di sicurezza, bensì in relazione all’applicazione che, di quella normativa, il CSP ha fatto in relazione a quello specifico cantiere e per i rischi interferenziali di esso. Scopo della disposizione è evitare che scelte errate del datore di lavoro dell’impresa esecutrice possano vanificare le misure preventive previste nel PSC: in sostanza, evitare che le scelte (autonome) dell’impresa per i propri rischi specifici vadano a pregiudicare le misure previste nel PSC per i rischi interferenziali. Ciò che va bene per l’impresa esecutrice quando lavora da sola, non necessariamente va bene anche quando essa lavora in un cantiere con altre imprese: e questa valutazione viene demandata dal legislatore al CSE, in quanto naturale gestore del rischio interferenziale.

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