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Demolizione e ricostruzione di edificio con cambio destinazione d'uso: se c'è incremento di volume e cambio di sagoma è nuova costruzione

Consiglio di Stato: l’intervento edilizio che comporta sia incremento di volume che modificazioni di sagoma e cambio di destinazione d’uso, con incremento del carico urbanistico visto che si passa da un forno/porcilaia ad una civile abitazione, rende necessario il permesso di costruire in assenza del quale scatta l'abuso edilizio e l'ordinanza di demolizione.

Quando un intervento edilizio, che consiste nella demolizione e ricostruzione di un edificio con cambio di destinazione d'uso dello stesso, si inquadra come ristrutturazione edilizia e quando invece si tratta di nuova costruzione?

Ce lo spiega ancora una volta il Consiglio di Stato, stavolta nella sentenza 8900 del 19 ottobre scorso, relativo ai lavori di ristrutturazione e cambio di destinazione d’uso ad abitazione civile di tre locali prima adibiti ad uso fienile e forno/porcilaia.

Per tali interventi l'amministrazione comunale comunicava l’avvio del procedimento volto all’adozione di un provvedimento repressivo in relazione all’edificio “ex forno-porcilaia” ritenendolo interessato da lavori di “sostituzione edilizia, consistenti nella demolizione e ricostruzione dell’edificio con telaio in cemento armato, nel tamponamento in muratura e rivestimento esterno, con aumento della volumetria per 48,65 mc. e delle superficie per 36,35 mq.

Ristrutturazione ricostruttiva: la decisione del TAR

Da qui il contenzioso: per la società ricorrente, l’opera costituisce un intervento di ricostruzione imposto anche dalle condizioni lesionate dell’immobile originario e l’incremento volumetrico è successivo alla ristrutturazione del manufatto e, in ipotesi, costituisce la sola opera suscettibile di essere interessata dalla sanzione demolitoria.

Si giunge al Tar Toscana che respinge l'impugnazione evidenziando tra l'altro come:

  • è pacifico che si tratti di intervento edilizio “per i lavori di ristrutturazione del fabbricato principale, del forno e della porcilaia, del fienile e per la costruzione di una piscina” e, in relazione al locale “ex forno/porcilaia”, i lavori di fatto eseguiti siano consistiti nella demolizione del manufatto esistente e nella costruzione di quello attuale;
  • ciò pone la questione del corretto inquadramento giuridico degli interventi edilizi di demolizione e ricostruzione e delle condizioni in presenza delle quali gli stessi possano essere inquadrati nel concetto di “ristrutturazione edilizia”, condizioni in assenza delle quali gli interventi stessi ricadono invece nella nuova edificazione e (per quel che riguarda la legislazione edilizia toscana) nella figura giuridica della “sostituzione edilizia”;
  • la questione subisce una complessa evoluzione normativa, giacché nella formulazione iniziale del testo unico dell’edilizia è possibile ricondurre gli interventi di demolizione e ricostruzione alla “ristrutturazione edilizia” solo se e in quanto il manufatto ricostruito rispetti la volumetria e la sagoma del precedente e si sia in più in presenza di una fedele ricostruzione, cioè rispettosa dei materiali utilizzati, caratteristiche costruttive, etc.;
  • successivamente, il D.Lgs. n. 301 del 2002 elimini il requisito della “fedele ricostruzione”, continuando a richiedere, tuttavia, gli altri requisiti della riedificazione con medesima volumetria e sagoma;
  • l’art. 30, co. 1, del decreto-legge 69/2013 elimini, poi, il requisito del rispetto della sagoma, così che si ha demolizione e ricostruzione di manufatto che rientra nella “ristrutturazione edilizia”, a condizione che si rispetti la volumetria del precedente, anche se con sagoma diversa;
  • non potrebbe configurarsi una parziale difformità dell’intervento rispetto al titolo trattandosi di una sostituzione edilizia e, quindi, di un intervento edilizio giuridicamente del tutto diverso da quello frutto di autorizzazione e quindi realizzato senza titolo, con qualificazione giuridica che coinvolge necessariamente l’intero manufatto posto in essere;
  • non sarebbe condivisibile la censura relativa all’applicazione del massimo edittale della sanzione pecuniaria prevista dal TUE atteso che l’Amministrazione, nell’annunciare la sanzione pecuniaria che applicherà in caso di inottemperanza all’ordine demolitorio, fornisce nell’atto gravato una motivazione della quantificazione della sanzione medesima, rilevando che essa è determinata “in ragione della consistenza dell’abuso soggetto a demolizione e che, nella circostanza, riguarda, appunto, un intero fabbricato, con telaio in cemento armato e tamponamenti in pietra, della superficie di mq 84,78 e del volume di mc 318,47”.

Ristrutturazioni edilizie e sagoma dell'edificio: cosa è cambiato col Decreto del Fare del 2013?

Palazzo Spada entra nella questione osservamdo che tutto nasce dal primo motivo di ricorso che pone, in primo luogo, la questione relativa all’operatività nel caso di specie della regola introdotta dall’art. 30, co. 1, lett. a), del decreto-legge 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla Legge 98/2013 (cd. Decreto del Fare).

Nell’edizione del disposto normativo di cui all’art. 3, co. 1, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001 - Testo Unico Edilizia, antecedente alle modifiche apportata dal d.l. n. 69/2013, si definiscono interventi di ristrutturazione edilizia quelli “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”; “tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”; inoltre, “nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.

Quest’ultima porzione del disposto legale muta per opera dell’art. 30, co. 2, lett. a), del decreto-legge 69/2013, che elimina il riferimento alla sagoma facendo, inoltre, salvi gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

La questione posta dall’appellante riguarda, quindi, la regola corretta da applicare nel caso di specie atteso che l’intervento è realizzato prima dell’entrata in vigore della previsione inserita dall’art. 30, co. 2, lett. a), del decreto-legge 69/2013 (avvenuta in data 21 agosto 2013), ma l’ordinanza espressione del potere repressivo comunale è, invece, adottata nel 2015.

Come si qualifica l'intervento edilizio?

La sentenza di primo grado risulta in parte condivisibile atteso che, nel caso di specie, non si tratta di verificare la legittimità della sanzione al quadro normativo vigente al momento dell’adozione del provvedimento espressione di tale potere ma di qualificare un intervento già realizzato secondo le categorie vigenti al momento in cui la consistenza di tale intervento si apprezza.

In sostanza, nel caso di specie la legittimità dell’ordinanza repressiva comunale non va saggiata con riferimento all’aderenza alla normativa sopravvenuta rispetto all’intervento ma alla corretta qualificazione giuridica dello stesso che deve, quindi, operarsi secondo le regole operanti al momento in cui lo stesso si realizza e la sua consistenza si apprezza da parte dell’Amministrazione.

In altri termini, occorre considerare il dato normativo che consente la qualificazione dell’intervento realizzato a prescindere dalle successive evoluzioni della categoria che, diversamente opinando, si tradurrebbero nell’applicazione retroattiva dello ius superveniens al fine di qualificare un intervento in precedenza realizzato.

Nel caso di specie, i lavori terminano nell’aprile del 2007, come attestato anche nella Relazione depositata dalla parte presso il Genio civile.

La consistenza degli stessi è poi accertata in data 15.7.2013.

In questo contesto la qualificazione dell’intervento eseguito non può che tener conto dei dati normativi di riferimento rispetto al momento di realizzazione del manufatto e, quindi, della versione della previsione di cui all’art. 3, co. 1, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001, operante in relazione agli interventi antecedenti alla data del 20 agosto 2013.

Dopo tale data opera, infatti, la nuova formulazione dell’art. 3, co. 1, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001, come disposto, del resto, dall’art. 30, co. 6, del decreto-legge n. 69/2013 il quale testualmente prevede che le disposizioni di tale articolo si applichino dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge.

La sagoma: è rilevante o no?

Con la seconda parte del motivo l’appellante evidenzia l’irrilevanza del tema della sagoma osservando come, in realtà, la porzione del manufatto da cui deriverebbe il locale forno/loggia risulterebbe preesistente agli interventi tanto che, per tale incremento volumetrico, il Comune non avanza alcuna contestazione.

Ma tale deduzione è smentita dall’accertamento eseguito dal comune che, diversamente da quanto evidenziato dall’appellante, riscontra la chiusura della originaria loggia antistante il locale-forno e della trasformazione della ex loggia e del locale-forno, in locali o porzione di abitazione.

Gli incrementi volumetrici sul fabbricato

Aldilà dei rilievi di parte (per i quali si rimanda al testo integrale della sentenza), qui val la pena sottolineare che, secondo Palazzo Spada, non può omettersi di considerare come ciò che occorre valutare sia la misura complessiva dell’intervento realizzato in difformità da quanto assentito constatando, pertanto, come l’opera ultimata determini un incremento volumetrico in ragione della copertura e chiusura della corte che è trasformata in ulteriore locale abitabile e conseguente incremento della superficie residenziale dell’immobile.

Incremento derivante sia dalla chiusura della corte che dalla chiusura della originaria loggia antistante il locale-forno e della trasformazione di tali porzioni in locali o parte di abitazione.

In questa situazione risulta corretta la qualificazione dell’intervento effettuata dall’Amministrazione e condivisa dal TAR Toscana secondo la quale l’intervento complessivamente realizzato costituisce una sostituzione edilizia, intesa ex art. 78, co. 1, lett. f) della L.r. della Toscana n. 1/2005 (operante ratione temporis), come “demolizione e ricostruzione di volumi esistenti non assimilabili alla ristrutturazione edilizia, eseguiti anche con contestuale incremento volumetrico, diversa articolazione, collocazione e destinazione d'uso, a condizione che non si determini modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale e che non si renda necessario alcun intervento sulle opere di urbanizzazione”.

Infatti, l’intervento porta al complessivo mutamento della struttura originaria con diversificazione della sagoma (che si individua nella conformazione planivolumetrica della costruzione e nel suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero nel contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti; cfr.: Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 marzo 2013, n. 1564) nonché incremento della volumetria, entrambi strumentali al cambio di destinazione d’uso dell’immobile da forno-porcilaia a civile abitazione.

L’intervento trascende, quindi, i limiti della ristrutturazione edilizia. Si tratta di nuova edificazione (nuova costruzione) con tutti gli annessi e connessi del caso.

L'entità della sanzione pecuniaria

In ultimo, si segnala che la previsione di cui all’art. 31, co. 4-bis, del D.P.R. n. 380/2001 sanziona non la realizzazione dell’abuso edilizio in sé ma la mancata spontanea ottemperanza all’ordine di demolizione impartito dall’Amministrazione.

Pertanto - anche se preannunciata e, persino, quantificata nella misura - la sanzione deve irrogarsi con un nuovo provvedimento che constati l’inottemperanza ed irroghi la sanzione.

Allegati

Abuso Edilizio

L'abuso edilizio rappresenta la realizzazione di opere senza permessi o in contrasto con le concessioni esistenti, spaziando da costruzioni non autorizzate ad ampliamenti e modifiche illegali. Questo comporta rischi di sanzioni e demolizioni, oltre a compromettere la sicurezza e l’ordine urbano. Regolarizzare tali abusi richiede conformità alle normative urbanistiche, essenziale per la legalità e il valore immobiliare.

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