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Distanze tra edifici violate. Nessun risarcimento senza prova del danno

La violazione normativa in tema di distanze legali tra costruzioni non comporta automaticamente un danno risarcibile, essendo necessario dimostrare la concreta compromissione del diritto e, in caso di contestazione, la prova del pregiudizio subìto. E’ il nuovo chiarimento reso dalla ordinanza della Cassazione n. 12879 pubblicata il 14 maggio 2025.

Il caso concreto: veduta compromessa da sopraelevazione

Nel caso deciso dalla odierna ordinanza, il ricorso riguardava una sopraelevazione abusiva del solaio di un edificio.

La stessa aveva comportato una riduzione dello spazio minimo di tre metri previsto per le vedute dal terrazzino di un immobile confinante (ai sensi dell’art. 907 c.c.).

L’attore sosteneva di aver subìto la compromissione del proprio diritto di veduta. Dopo una istruttoria che ha tenuto conto del dislivello esistente tra i fondi e della concreta configurazione dei luoghi, i giudici hanno accertato che effettivamente il diritto di veduta era stato leso.

In base a tali elementi, è stato disposto l’obbligo di ripristino della altezza originaria dell’edificio e il pagamento di diecimila euro a titolo di risarcimento. Gli Ermellini hanno confermato tale decisione precisando che anche la presenza di una rete metallica sul terrazzino del vicino non escludeva l’esistenza della veduta e non ostacolava il riconoscimento del danno.

  

Il danno derivante dalle violate distanze non si presume

L’aspetto centrale della pronuncia è il principio secondo cui la sola inosservanza delle distanze previste dalla legge non comporta automaticamente un diritto al risarcimento: il danno non si presume in modo assoluto, ma va allegato e provato.

ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE. La pronuncia conferma l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che rifiuta la presunzione automatica di danno (cosiddetto in re ipsa) nei casi di violazione edilizia, in particolare quando si tratta di distanze minime tra costruzioni ai sensi dell’art. 873 ss. c.c.

 

Serve la prova del pregiudizio concreto

Il principio espresso dalla Corte è nitido: non ogni illecito urbanistico determina automaticamente un danno risarcibile.

È necessario che la parte che lamenti la violazione dimostri, anche tramite presunzioni semplici o nozioni di esperienza comune, l’esistenza di un concreto pregiudizio patrimoniale o personale.

La Cassazione richiama in tal senso anche l’orientamento delle Sezioni Unite (n. 33645/2022) in tema di occupazione senza titolo ribadendo che non può più farsi riferimento ad un automatismo risarcitorio fondato solo sulla illiceità della condotta. Il risarcimento, pertanto, presuppone una lesione effettiva di un interesse tutelato, come ad esempio il diritto di veduta, la limitazione del godimento dell’immobile, o una diminuzione del valore del bene.


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Un indirizzo giurisprudenziale sempre più rigoroso

La Cassazione frena sull'automatico risarcimento per costruzioni troppo vicine: serve dimostrare il danno.

L’ordinanza si inserisce in un percorso giurisprudenziale che tende a rafforzare i criteri di accertamento del danno in àmbito edilizio, specialmente nei rapporti tra privati.

Sottolinea, poi, che l’illiceità formale - violazione di una norma edilizia - non è sufficiente per ottenere un risarcimento quando non sia accompagnata dalla prova del danno effettivo. Tale approccio intende anche evitare un uso distorto del contenzioso edilizio favorendo una gestione più razionale delle controversie tra vicini. Inoltre, valorizza strumenti come le presunzioni semplici e le nozioni di esperienza comune per ricostruire il quadro probatorio.

  

Precedenti confermativi dell’indirizzo giurisprudenziale

D’altronde, l’ordinanza n. 12879/2025 è in linea con altre pronunce recenti della Corte di Cassazione. Tra le più significative si segnalano: Cassazione, Sez. II, ordinanza n. 7290/2025 (ha ritenuto che la violazione delle distanze va provata con allegazioni specifiche e il danno non è automatico); Cassazione, Sez. II, ordinanza n. 17758/2024 (ha chiarito che il danno può essere presunto solo in presenza di elementi che dimostrino una riduzione della fruibilità dell’immobile); Cassazione, Sez. II, ordinanza n. 1079/2023 (ha riconosciuto la possibilità di chiedere il ripristino e il risarcimento, ma solo a fronte della dimostrazione di un danno effettivo).

  

Conclusioni

L’evoluzione giurisprudenziale conferma un cambio di paradigma nella gestione delle controversie edilizie: non basta la violazione delle norme urbanistiche per ottenere un risarcimento, ma è necessario dimostrare un effettivo pregiudizio alla propria sfera giuridica.

In questa prospettiva, l’ordinanza n. 12879/2025 della Cassazione rappresenta un tassello importante verso una giustizia civile più equilibrata e fondata su criteri oggettivi di valutazione del danno.

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