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L’evoluzione dei ponti: materiali e schemi strutturali

Nel presente articolo si ripercorre la storia dei ponti con la loro evoluzione sia in termini di materiali che di schemi strutturali.

Ferro e cemento armato hanno reso possibili opere impensabili con legno e muratura

I disastri che negli ultimi anni hanno interessato diverse opere stradali hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica la sicurezza di ponti e viadotti e accresciuta la curiosità a saperne di più di queste opere la cui costruzione affonda le radici nella storia, risalendo al periodo neolitico.

La costruzione di un ponte ha sempre avuto la motivazione di superare, con un percorso carrabile o pedonabile, un ostacolo dovuto alla configurazione del terreno, per esempio una valle o un fiume, e l’obiettivo di facilitare gli spostamenti, i contatti con i popoli vicini, gli scambi, i commerci. L’evoluzione dei ponti ha accompagnato la storia dell’umanità, seguendo e rappresentando i tempi. Ad esempio, mentre i romani furono dei grandi costruttori di ponti avendo bisogno di collegamenti veloci e sicuri per il mantenimento e il controllo dell’impero, alla caduta dell’Impero Romano e fino al IX secolo d.C., invece, l’interesse per i ponti diminuì notevolmente perché le unità politiche si estendevano su superfici ridotte e, di conseguenza, non potevano affrontare le spese per la costruzione e la manutenzione di opere così impegnative.

Costruire un ponte è sempre stata una sfida contro le forze della natura, accompagnata dalla paura dell’insuccesso e proprio queste difficoltà hanno affascinato i popoli. La disponibilità di nuovi materiali e l’utilizzo di nuove tecnologie hanno rivoluzionato il modo di costruire e di concepire un ponte, anche se l’ammirazione per i ponti antichi, sopravvissuti fino ai nostri giorni, non è minore di quella verso i moderni ponti di grande luce.
Nel presente articolo, che riprende e aggiorna un articolo precedente, si esaminano i materiali e le tipologie utilizzate per superare luci sempre maggiori con costi sempre più sostenibili. La disponibilità di materiali come il ferro e il cemento armato ha offerto nuove possibilità, impensabili con legno e muratura.

Allo stesso tempo, la necessità di adottare sistemi ad arco, che meglio sfruttavano le proprietà della muratura di resistere bene soltanto a compressione, grazie all’utilizzo di acciaio e cemento armato, ha lasciato posto anche a tipologie di più semplice realizzazione, quali i ponti a travata, o caratterizzate da elementi tesi, come i ponti strallati e sospesi.

I materiali nella costruzione di ponti

I materiali organici

I ponti primitivi furono costruiti in fibra naturale ed erano simili ai moderni ponti sospesi. La testimonianza più antica è fornita da una Fune sul fiume Indus, vicino Swat, del 400 a.C., ma probabilmente il ponte sospeso era in uso già molto prima nel Sud Est Asiatico, nel Sud America e nell’Africa Equatoriale. In India, tra gli alberi usati come piloni, venivano disposti uno o due cavi principali in bambù, a cui era sospesa una strada pedonale a canne trasversali, provvista di cavi corrimano. Ponti simili, a volte costruiti con funi di vimini e viti ritorte, esistono ancora in Himalaya e altrove nel Sud Est Asiatico. Gli Incas, in Sud America, costruivano ponti sospesi con cavi in aloe (genere di piante delle liliacee) o intrecciati con vimini e con piloni di roccia naturale. Gli ancoraggi erano realizzati attaccando i cavi a pesanti travi di legno incrociate, tenute ferme da rocce. La manutenzione era affidata ai villaggi vicini, che dovevano provvedere ogni pochi anni alla riparazione e alla sostituzione dei cavi. Nell’Africa Equatoriale venivano utilizzate piante rampicanti di vario tipo per costruire i ponti.

Successivamente fu adoperato il legno. I primitivi ponti a travata erano costituiti da tronchi di alberi tra le sponde dei corsi d’acqua. Il legno si prestava bene alla costruzione delle travate, grazie alla sua capacità di resistere bene sia a sforzi di trazione che di compressione nella direzione parallela alle fibre; la sua leggerezza lo rendeva, inoltre, particolarmente adatto al superamento delle “grandi luci”. Era, però, molto vulnerabile all’umidità e al fuoco, presentava una certa deformabilità e una certa difficoltà nella realizzazione delle giunzioni, veri punti deboli delle strutture in legno. Per questi motivi, i ponti in legno antichi non hanno retto al passare dei secoli e per questo abbiamo soltanto testimonianze indirette.

In legno era il Ponte Sublicio, il più antico ponte di Roma, reso famoso dalla leggenda di Orazio Coclite. In legno erano, in genere, i ponti costruiti in guerra: nel De Bello Gallico (Cap. 17, Libro IV) è riportata la descrizione dettagliata della costruzione di un Ponte sul Reno; un bassorilievo della Colonna Traiana riproduce il famoso Ponte sul Danubio, costruito da Apollodoro presso Kladora in Serbia all’epoca della spedizione di Traiano contro i Daci, composto da 20 piloni in muratura, sui quali poggiavano arcate in legno di 55 m di luce.

Dopo il periodo di distruzione dei ponti, che caratterizzò la caduta dell’Impero Romano, il ponte in legno fu adottato raramente per strutture permanenti. Ciononostante, non mancarono esempi notevoli, come il Ponte sul Canal Grande a Venezia, dove ora si ammira quello di Rialto, il Ponte sul Brenta presso Bassano e il Ponte sul Cismone, nel Trentino, ad arco con luce di 36 m, questi ultimi disegnati da Andrea Palladio (XVI secolo). Veri capolavori nel campo dei ponti in legno furono costruiti in Svizzera nel XVIII secolo:

  • il Ponte di Zurigo con luce di 40 m, e il Ponte di Sciaffusa sul Reno su due luci di circa 60 m, costruiti dallo svizzero Johann Ulrich Grubenmann nel 1770;
  • il Ponte di Wettingen del 1788, con una campata di 118 m.
Fig.1: Primitivo ponte in fibra naturale (a sx)
Fig.2: Ponte sul Brenta a Bassano (a dx)

Notevole è stato l’utilizzo del legno per i ponti in America sia nell’800 che nel ‘900, mentre in Europa oggi si costruiscono ponti in legno soprattutto nei paesi nordici ma anche altrove, specialmente per passerelle pedonali e nelle zone montuose. Un interessante esempio è il Traversina Footbridge (1996) sulle Alpi svizzere, che supera una luce di 47 m, ed i cui elementi sono stati trasportati in sito con un elicottero; particolare cura è stata posta nella protezione degli elementi strutturali e nello studio delle oscillazioni indotte dal vento.

L’arco in muratura

Uno sviluppo notevole nella costruzione dei ponti si ebbe con quella che è stata definita la più alta invenzione dell’arte classica in campo tensionale, ossia l’arco. L’arco ha consentito l’impiego di materiali non resistenti a trazione, come la muratura e ha costituito fino alla metà del XX secolo la tipologia di gran lunga più impiegata nel campo dei ponti.

Insigni esempi sono stati lasciati soprattutto dai romani, ma anche da altre civiltà: l’arco era già conosciuto nelle antiche civiltà dell’Egitto, della Babilonia, della Persia, e nella Magna Grecia. Grande merito dei romani è stato quello di avere impiegato largamente l’arco, ma anche di aver utilizzato come legante il cemento naturale basato sulla pozzolana. La costruzione dei ponti sul Tevere era presieduta dal Collegio dei Pontefici, cioè dei costruttori di ponti, con a capo il Pontefice Massimo. Il titolo di Pontifex, che poi passò agli imperatori romani ed è ancora in uso per designare il Papa, è stato interpretato etimologicamente con riferimento a questa grande opera di ingegneria civile.

Può apparire strano, ma l’arco è stato utilizzato per molti secoli senza che se ne comprendesse il funzionamento statico. Leonardo da Vinci propose delle regole pratiche per la progettazione di un arco e alcuni suoi schizzi dimostrano come egli si sia posto il problema di determinare la spinta, ossia l’azione orizzontale trasmessa dall’arco alle fondazioni in corrispondenza delle imposte. Nel primo trattato sui ponti, del francese Henri Gautier (1714), si suggerivano rapporti tra le dimensioni delle varie parti e si raccomandava di fare attenzione alla spinta, ma non venivano fornite indicazioni su come valutarla. Successivamente Claude Antoine Couplet (1730) propose le prime teorie sulla determinazione della linea delle pressioni e, quindi, della spinta.

Dell’argomento si interessarono altri insigni studiosi, come Charles Coulomb (1773), Gabriel Lamé e Émile Clapeyron (1823): finalmente si scoprì il mistero della spinta e come proporzionare la spalla. Carlo Alberto Castigliano (1879) eseguì studi approfonditi sul regime statico degli archi; notevole è la sua analisi sul comportamento del Ponte Mosca di Torino.

La costruzione di un arco avviene per conci, posti in opera a secco o intervallati da malta, e necessita di una centina fino alla posa in opera dell’ultimo concio in chiave, che rappresenta l’operazione di “chiusura dell’arco”. L’altezza della sezione in chiave rispetto alle imposte è la freccia dell’arco. Il segreto dell’arco in muratura risiede non tanto nelle buone qualità dei materiali adoperati, quanto nella sua forma che deve essere tale da garantire che almeno una possibile curva funicolare dei carichi agenti si trovi ovunque all’interno della sagoma dell’arco.

Gli archi romani erano di forma circolare a tutto sesto, non idoneo al superamento delle grandi luci, mentre l’arco ribassato, ossia con un rapporto freccia/luce basso, apparve in Europa intorno al ‘300, dopo il ritorno di Marco Polo (1254-1324) dalla Cina, dove invece era già utilizzato. Insigni esempi di archi ribassati costruiti in Europa sono:

  • il Ponte Vecchio a Firenze, completato nel 1325 e costituito da tre archi di luce pari a 28.7 m e freccia di 4.2 m, che è anche uno dei “ponti abitati” più famosi al mondo;
  • il Ponte di Rialto, aperto nel 1591, che attraversa il Canal Grande a Venezia, con una luce di 27 m;
  • il Pont de la Concorde a Parigi, con luci di 31.2 m e rapporto freccia/luce pari a 1/8, completato nel 1791 su progetto di Jean-Rodolphe Perronet, fondatore della Ecole Royale des Ponts et Chaussées;
  • il Ponte Mosca (dal nome dell’architetto che ne curò progettazione e realizzazione), primo ponte in pietra costruito a Torino sulla Dora Riparia; completato nel 1827, il ponte ha una luce di 55 m e una freccia di soli 5.5 m, la larghezza è 13.70 m.
Fig.3: Il Pont du Gard (a sx)
Fig.4: Il Ponte Elio (a dx)
Fig.5: Il Ponte Vecchio (a sx)
Fig.6: Il Ponte Mosca (a dx)

Si inseriva magnificamente tra gli edifici delle due sponde, dei quali sembrava far parte, lo Stari Mostar sul fiume Neretva a Mostar, probabilmente il ponte a singolo arco più lungo al tempo della sua costruzione, avvenuta nel 1566 ad opera dell’architetto turco Mimar Hajrudin su incarico del sultano Solimano il Magnifico.

Il ponte fu distrutto il 9 novembre 1993 durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina; al termine delle ostilità, fu ricostruito così com'era prima del conflitto, recuperando blocchi originari dalle acque del fiume e modellando i nuovi blocchi, provenienti dalla stessa miniera nel villaggio di Ortijes, in modo che ognuno riproducesse fedelmente il corrispondente elemento originale perduto. Il nuovo ponte fu completato il 22 luglio 2004.

L’arco in muratura, già da tempo considerato superato nel mondo occidentale, è invece ancora utilizzato in altre civiltà, come testimoniano gli straordinari ponti cinesi, di realizzazione relativamente recente, caratterizzati da un rapporto freccia/luce molto basso:

  • il Changhung Bridge sul fiume Nanpan, Yunnan, con luce di 112.5 m, completato nel 1961;
  • il Chiuhsikou Bridge, a Fengtu, Szechuan, di luce 116 m, completato nel 1972;
  • il Dan River Bridge, sul fiume Xindan, lungo l’autostrada Jin-Jiao a 10 km da Jicheng nello Shanxi, completato nel 2000 che, con i suoi 146 m di luce e freccia di 82 m, è il ponte in muratura più lungo al mondo.

Al riguardo, va ricordato che Leonardo da Vinci, per attraversare il Corno d’Oro a Istanbul, propose al sultano Bayazid II un ponte ad arco con luce netta di 240 m, freccia di 57 m e spessore variabile da 42 m alle imposte a 9 m in chiave. L’opera non fu realizzata per le allora insormontabili difficoltà esecutive, ma la sua staticità è stata dimostrata dallo Stüssi in tempi recenti.

Fig.7: Il Pulteney Bridge sul fiume Avon (a sx)
Fig.8: Lo Stari Mostar sul fiume Neretva (a dx)
Fig.9: Il Changhung Bridge (a sx)
Fig.10: Il Chiuhsikou Bridge (a dx)

Utilizzando grossi elementi, sono stati realizzati rudimentali ponti a travata di pietra. Un esempio è sull’East Dart River a Postbridge on Dartmoor nel Devon, che si pensa risalga al XII secolo ed è costituito da enormi lastre di granito poggianti su pile anch’esse in granito. Il più antico, costruito nell’850 a.C., è un ponte sul fiume Meles a Smyrna, l’odierna Izmir, in Turchia. Molto suggestivo è l’Anping Bridge a Chuanchow, importante porto marittimo cinese durante la dinastia Sung; completato nel 1152, è costituito da 331 pile di pietra, sulle quali poggiano travate formate da più blocchi di pietra affiancati, per un percorso complessivo di oltre 2000 m.
I materiali metallici

Nel 1779, Abraham Darby III costruì il primo ponte in ghisa sul fiume Severn a Coalbrookdale, in Inghilterra, che nel 1795 sopravvisse a uno straripamento dello stesso fiume che aveva distrutto molti ponti, dimostrando la migliore tenuta dei ponti metallici e incoraggiandone il successivo sviluppo. Il Ponte di Darby è oggi considerato World Heritage Site dall’Unesco.

La ghisa, però, presentava una certa fragilità e una scarsa resistenza a trazione; pertanto, non ha avuto lunga vita ed è stata sostituita dall’acciaio. Va anche osservato che nei primi ponti metallici la tecnica risentiva ancora fortemente delle conoscenze relative alle costruzioni in legno: per le giunzioni si utilizzavano ancora incastri a coda di rondine e a tenone e mortasa.

Con l’utilizzo dell’acciaio, furono superate luci sempre più grandi, grazie anche all’evoluzione dei sistemi strutturali, dalla trave semplicemente appoggiata alla trave continua, dalla trave ad anima piena alla travatura reticolare, ai sistemi spingenti a piedritti inclinati o ad arco, fino al ponte sospeso. Tra i progettisti che hanno fatto la storia dei ponti, è doveroso ricordare:

  • Robert Stephenson, che nel 1850 progettò il Britannia Bridge sul Menai Strait nel Galles settentrionale, un ponte a travata continua su quattro luci, di 72 m le laterali e 142 m le centrali, che rispecchiava magistralmente la moderna concezione dei ponti a travata in acciaio;
  • Gustave Eiffel, che nel 1884 realizzò il Viadotto di Garabit sul fiume Truyère nel Massif Central in Francia, di circa 560 m di lunghezza complessiva e comprendente un ponte ad arco di 165 m di luce, alto 120 m rispetto al fiume.
    Della stessa epoca sono;
  • il Ponte Luiz I sul fiume Douro a Oporto, ad arco di luce 172.5 m, a due vie, superiore e inferiore, completato nel 1885;
  • il Ponte di Paderno sull’Adda, ad arco parabolico di luce 150 m, sovrastato da una travatura reticolare con doppia carreggiata, stradale quella superiore, ferroviaria quella inferiore, completato nel 1889.
Fig.11: Il Ponte di Darby (a sx)
Fig.10: Il Viadotto di Garabit (a dx)

Il cemento armato

Nel 1867 un giardiniere francese, Joseph Monier, ottenne un brevetto riguardante la costruzione di vasi e recipienti in cemento con armatura di ferro: fu l’inizio del cemento armato, poi largamente utilizzato nel ventesimo secolo. In esso c’è una perfetta collaborazione tra il conglomerato cementizio, cui sono affidati gli sforzi di compressione e il compito di conferire rigidità agli elementi strutturali, e l’acciaio, cui sono affidati gli sforzi di trazione. Il nuovo materiale modificò radicalmente il mondo delle costruzioni: consentiva di realizzare qualsiasi forma e risultava molto competitivo anche dal punto di vista economico.
Nella costruzione dei ponti il cemento armato è stato inizialmente adattato alle vecchie forme dei ponti, tipiche della muratura, non sfruttando pienamente le sue potenzialità; successivamente è stato utilizzato liberandosi dai vincoli tradizionali, consentendo nuove forme e anatomie di strutture. Per quanto riguarda le luci superabili, il cemento armato non ha le potenzialità dell’acciaio, anche se rispetto ad esso presenta i pregi di una maggiore durevolezza e plasmabilità.

Il primo grande progettista di ponti in cemento armato fu François Hennebique, che utilizzò questo nuovo materiale con grande intuizione, piuttosto che con grande approfondimento teorico. Nei ponti ad arco, per ottenere un aumento della freccia effettiva rispetto a quella geometrica, e di conseguenza una riduzione della spinta, propose la tecnica del disarmo (ossia della rimozione della centina) anticipato, procurando delle parzializzazioni all’estradosso alle imposte, con conseguente abbassamento del baricentro delle sezioni resistenti. Con tale tecnica fu costruito il Ponte Risorgimento sul Tevere a Roma (1911), ad arco molto ribassato con luce di 100 m e freccia di 10 m, un’opera audace per geometria e modalità esecutive.

Un nuovo modo di pensare l’architettura del cemento armato fu introdotto da Robert Maillart, il quale intuì le grandi potenzialità del nuovo materiale, realizzando ponti di grande eleganza e dinamicità, opportunamente alleggeriti rispetto ai tradizionali ponti in muratura. Tra le opere che hanno segnato la professione di Maillart ricordiamo il Ponte di Tavanasa sul Reno (1905), di 51 m di luce, nel quale arco e impalcato sono collegati in una zona centrale e si separano verso le imposte, e il Ponte di Salgina, a Schiers (1930), di 90 m, dove arco e impalcato erano collegati anche da alcuni setti.

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Dedico questo articolo alla memoria di Aldo Raithel, indimenticabile e ineguagliabile Maestro di Costruzioni di Ponti.

Paolo Clemente


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